lunedì 6 maggio 2013

A scuola con i bambini per una giornata molto speciale: però che tristezza il degrado della struttura scolastica!


venerdì 26 aprile 2013

1959


Una giornata bellissima regalatami, dalla maestra Lena Parlato che insegna alla scuola materna di Vico Equense alla SS. Trinità e Paradiso. Mia nipote Alessia la settimana scorsa mi chiese: “ Zio, ti andrebbe di venire a scuola e raccontare i giochi della tua infanzia ai bambini e a Mattia. Le maestre stanno facendo un progetto didattico nel quale, i nonni devono comunicare il loro sapere e creare un ponte tra loro e i nipotini”. Ora, a parte il dettaglio che io non sono il nonno ma un prozio, che comunque è la stessa cosa, le dissi immediatamente di si con entusiasmo e insieme a Enzo – il papà di Mattia - decidemmo di costruire un aquilone. Quelli che facevamo noi da ragazzi erano costruiti con le canne, che di solito andavamo a prendere ai bordi delle scale della marina di Aequa o nelle scale sotto il castello Giusso, che spesso risultavano essere  taglienti e pericolose, invece, invece per i bambini, Enzo ha  trovato delle confezioni in vendita, sicure e adatte a loro e così è cominciata l’avventura. Nella piccola aula tutta decorata di fiori tra banchetti e sedioline, Enzo ed io, circondati da tante piccole testoline vocianti abbiamo cominciato ad intagliare le canne per il telaio e poi la carta velina colorata e loro, attentissimi ed eccitatissimi, ci davano il nastro adesivo, le forbicine, mentre altri con stampini, ritagliavano farfalline, piccoli soli e striscioline da usare come decorazione, mentre avveniva tutta l’operazione. Loro chiedevano ogni cosa curiosissimi e io e Enzo tentavamo di dare  loro risposte semplici e raccontavamo come li facevamo noi da bambini: è difficile dare risposte semplici ai bambini. Dopo siamo usciti nel cortile, abbiamo legato l’aquilone ad un filo di lana colorata e tra lo stupore nostro ( mio e di Enzo) e la gioia dei bambini, l’aquilone si è alzato in volo anche se per poco perché era una giornata ventosa. Cosa, dire: un’emozione unica! I bambini, due dei quali mi avevano adottato e non mi lasciavano la mano anche se non mi avevano mai visto, comunicano una immensa gioia di vivere e penso che accudirli ed educarli a quell’età ( tre anni) sia un lavoro gratificate ed appagante e che le maestre di scuola materna svolgono un compito importantissimo e delicato nella formazione di queste giovani coscienze. Non voglio essere retorico, ma a me piacerebbe tantissimo lavorare con questi bambini, mi sentirei veramente utile a qualcosa. Con tristezza però ho dovuto constatare la fatiscenza dei luoghi in cui si è svolta tutta la bella giornata. La SS. Trinità è stato il posto dove sono venute su intere generazioni di vicani  da più di centocinquanta anni. Io stesso sono stato piccolo in quel posto e ho fatto le stesse cose che oggi hanno fatto  questi bambini con me, ma, particolare avvilente e non da poco, quel cortile era meglio tenuto 60 anni fa che non oggi: Le aiuole sono distrutte e non vengono riparate, le palme sono state tagliate e non è stato piantato più niente, i bagni dei bambini sono vecchi e cadenti i corridoi abbandonati all’incuria del tempo e tutta la struttura che ospita la scuola versa in condizioni di degrado estremo. Qualche anno fa una petizione pubblica chiese l’annessione del complesso al patrimonio comunale, ci fu una mobilitazione di molti cittadini e associazioni, ora che – a quanto si dice- i debiti sarebbero stati sanati e l’Ente ha un nuovo Consiglio di Amministrazione con persone che si dicono molto sensibili a tutto il sociale possibile, non si parla più di questa acquisizione e, al di la di dichiarazioni di facciata, la scuola materna continua ad essere lasciata nell’abbandono reggendosi solo sul lavoro e l’impegno di queste bravissime professioniste dell’infanzia. Mi hanno invitato a ritornare, magari a raccontare favole inedite: ho detto loro di  si con gioia perché sono stato bene con i bambini, anche perché vorrei leggergli favole a loro sconosciute che ho sui libri antichi della Scala d’Oro della Utet che mi aveva regalato papà.

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