venerdì 28 febbraio 2014

"Lauritano è bello! Lo giuro"





“Lauritano è bello! Lo giuro!”. L’avrò letta migliaia di volte questa scritta su un muro di un palazzo a Via Nocera, ogni volta che passavo in circumvesuviana, e come me chissà quante altre persone la leggevano.“ Lauritano è bello ! Lo giuro!”, con vernice nera spruzzata su un muro giallo di un palazzo anonimo e fatiscente. Era una lettura involontaria la mia. La scritta mi appariva dopo un sonno comatoso consumato tra lo sferragliare di vagoni sgangherati gelidi e piovosi d’inverno, roventi d’estate, tra il cicaleccio molesto di maestrine d’asilo e le urla di operai che giocavano a carte. Quella scritta mi riportava in vita avvertendomi che tra due fermate sarei arrivato a casa. Ora quella scritta è sparita mentre, come velocemente succede anche ciò che scorreva attraverso il finestrino del treno è cambiato. Chi sa chi era Lauritano? Chissà chi voleva ricordare al mondo che lui era bello? Dai quei finestrini della circumvesuviana sono passate le trasformazioni del tempo sui luoghi. Ho trascorso più di quarant’anni su quei treni, se ci penso, gran parte della mia vita e mi viene ancora in mente Lauritano. Da bambino con mio padre e mia madre, quando ci recavamo a Napoli dai parenti, appena lasciavi Castellammare di Stabia eri immediatamente precipitato in una campagna florida, vedevo contadini curvi tra cavoli, broccoli, carciofi, che si stendeva a perdita d’occhio fino al campanile del santuario di Pompei che si stagliava alto nella pianura. Io invece dei contadini immaginavo cow boy e indiani che si rincorrevano perché mi portavo i soldatini che poi scaricavo nella borsa di mia madre. Il paesaggio, quel paesaggio, poi continuava ancora e alle falde del Vesuvio tra Torre Annunziata e Torre del Greco il treno correva veloce senza tutte le interruzioni di oggi tra alberi da frutta in fiore o blocchi di lava raggrumata e nera come segno tangibile della relazione con il Vesuvio, il mare e il golfo; la lava, come memoria e realtà di violenza e pietrificazione; la storia dell’uomo e ma soprattutto la storia di quella terra. L’ondulato paesaggio della campagna vesuviana scorreva veloce, illuminato a tratti da un sole vivido che faceva capolino dalle nubi e io come al solito mi addormentavo per svegliarmi a Napoli. Dio quante ore di sonno avrò fatto in vesuviana! Dormivo e crescevo, dormivo e invecchiavo e a volte sono rimasto ipnoticamente incantato a guardare il riflesso del mio viso nel vetro del finestrino: una sequenza metodica che mi restituiva me bambino, me studente universitario, me uomo, me come sono adesso: vecchio. Una vita intera trascorsa in treno in un ottuso e insopportabile pendolarismo. Tra veglia e sonno cominciati in un lontanissimo passato: un passato infantile di viaggi domenicali che parevano interminabili, di sedili di doghe di legno verniciate, di risate allegre di bambini felici. Il paesaggio scorreva dentro e fuori e non sapevo mai a quale mi abbandonavo. Il paesaggio fuori scorreva via veloce, aprivo e chiudevo gli occhi con rapidità inseguendo pensieri che rincorrevano pensieri ma ne ricavavo solo immagini in movimento, un po’ come i quadri futuristi che neanche conoscevo e che avrei conosciuto poi. Poi, negli anni 70 cambiò tutto e negli anni 80 apparve la scritta “ Lauritano è bello!lo giuro!” e insieme a quella scritta sparì la campagna e i cavoli e i broccoli e i carciofi , sparì il Sarno che pure si vedeva e oggi è sparito pure il paesaggio. Oggi il treno arranca tra case e palazzoni e stazioni e stazioncine ne fermano la corsa lenta  scomoda  ed è sparita pure la scritta e al suo posto campeggiano le campiture colorate e fluorescenti di graffiti aggressivi il segno tangibile dell’avvenuta trasformazione e il Vesuvio lo puoi vedere bene solo da Leopardi e un poco prima di Ercolano. Così non viaggio più da un posto all’altro ma attraverso solo un’  estesa e caotica megalopoli cementizia fatta di muri e di case tra le quali corre il  treno. Spesso guardo qualcuno, rifletto che, come me, si siede sempre allo stesso posto: guardo com’é vestito, le sue mani , le scarpe, probabilmente lui farà lo stesso. Guardo fuori e riprendo a correre, penso: non sono triste ma neanche allegro. Poggio la testa al finestrino e l’alito caldo appanna il vetro. Ogni cosa e illuminata dalla luce del passato… dall'interno guardo l'esterno, il cervello mi rimanda immagini e ricordi e ricordi di luoghi persone, fatti caoticamente senza una connessione tra loro. Chi dice di non pensare più al passato mente a se stesso… in questo modo io sarò sempre lungo il fianco delle vite degli altri e gli altri  sempre dentro la mia vita. Il treno si affolla, un grassone si siede accanto e mi schiaccia. Lo spingo a mia volta infastidito nel frattempo la signora di fronte sbuffa: ecco, le vite degli altri dentro la mia vita!    Mi concentro sulle cose, ogni cosa mi suggerisce un’idea, ogni idea dei pensieri sulle cose. A Miglio d’ Oro noto la brutta architettura, brutta d’ovunque per la verità. Il paesaggio è distrutto dalla brutta architettura. Vedo il Vesuvio ma anche la brutta architettura. Immagino un’eruzione, la signora mi urta col ginocchio, il signore grasso scende ma il posto è subito occupato da una ragazza con gli auricolari che sparano musica nelle sue orecchie a svariati decibel, perché la sento anch’io. La brutta architettura ha distrutto tutto. L’assenza di progetto ha distrutto tutto. Prima grandi spazi, oggi brutta architettura. Povertà e rifiuti. Tra Via del Monte e Sant’Antonio i rifiuti di un campo Rom diventati montagna tra poco collasseranno sul nostro treno o su tutti treni e anche il puzzo. Le cose succedono i mie pensieri pure… 
Perché mi sono reso conto di questa cosa? I pensieri e le cose, le parole e le cose. Tanto tempo fa, non mi capacitavo del fatto che le persone non cambiassero idea. Delle volte dicevo o scrivevo delle cose che mi sembravano molto convincenti, e trovavo inconcepibile che le persone mantenessero la propria opinione senza fornirmi (e soprattutto fornirsi) un’obiezione. Ma la questione è sempre di metodo: Descartes insegna: come è possibile non darsi gli strumenti per ammettere la possibilità di un ravvedimento? Due persone di intelligenza paragonabile, che partono da premesse simili, non possono non giungere a una conclusione condivisa. Quanti anni ho trascorso su questi treni sporchi e rumorosi e quante cose ho pensato e quante cose ho dimenticato. Ho elaborato milioni  di pensieri, milioni di fantasie, ma il protagonista principale dei miei pensieri in treno a pensarci bene è stato sempre il paesaggio e le cose e le case nel paesaggio. Sono incattivito? Forse sì è così quarant’anni di circumvesuviana incattivirebbero anche il più buono degli uomini e io, non sono mai stato un buono. Anzi, sicuramente è così. Vivo meglio? Non lo so ma oggi sono più egoista. Scelgo alcune persone, quelle delle quali – penso di essere stato fortunato a incontrare – una volta discutevo anche per ore della stessa cosa, non capacitandomi che l’altro non si convinca della mia idea, o non mi convinca della sua, idea. Alcune di queste persone non ci sono più, erano le più care, succede sempre così. Poi, sempre, arriva una nuova epifania: e in un secondo, dopo ore di discussione, si cambia discorso e non se ne parla più, perché il fatto che uno abbia cambiato idea non è un fatto degno di nota né tanto meno un’umiliazione. Non sono certamente una persona migliore di un’altra, ma mi impegno nel migliorare me stesso, e non solo per gli altri. Non ho lavorato molto su me stesso ( Dio quanto detesto questa frase!), ma ho pensato molto a me stesso, e ogg ho affinato gli strumenti per elaborare in fretta un necessario cambio d’opinione, ma lo stesso pretendo dagli altri. Il paradosso sapete qual è:  è che, forse oggi, se incontrassi quel me di qualche anno fa mi starei sul cazzo.


giovedì 27 febbraio 2014

Non sono più i tempi di Ugo Mulas

Jacopo Benassi


Ho letto un post di Jacopo Benassi, un autentico artista della macchina fotografica che apprezzo molto. Il post è questo :“Siete inevitabilmente portati a fotografare ragazze nude nelle fabbriche? Gattini davanti al caminetto? Vecchi pescatori con le rughe in bianco e nero? Mare con tempo lungo e HDR? Vi vantate con gli amici dell'ultima reflex con super teleobiettivo? Non conoscete Ugo Mulas?
E' vero, sono cose brutte. Un unico rimedio è possibile, la cura di tutti i mali: smettere di fotografare. Non è facile, lo so.  Ma con il giusto aiuto potete anche riuscirci.”
Non sono riuscito a non rispondergli:

Caro Benassi chiedere oggi di non fotografare più mi sembra una pretesa assurda soprattutto perché con uno smartphone ma anche un telefonino vecchia maniera chiunque fotografa qualunque cosa. La fotografia che già deprivò l'arte dell'"aura" come scrisse all'inizio del '900 Walter Beniamin, oggi - democratizzata e volgarizzata- ha deprivato se stessa della sua funzione artistica che aveva usurpato all'arte. Io capisco e condivido il tuo orrore per i pescatori rugosi in bianco e nero o per i tramonti o i mari increspati, ma spesso, le foto servono solo a comunicare ciò che il linguaggio verbale non vuole più proferire e/o forse non sa più descrivere. La fotografia supplisce l'afasia che affligge tutti e le immagini - il proliferare eccessivo delle immagini - oggi è solo il segno più manifesto del nostro linguaggio scaduto e in questo scadere generale le stesse immagini sono spesso scadenti, scadute, inutili, enfatiche, retoriche, prolisse ecc.ecc. ecc.Tu sei un artista e le tue foto vanno nella direzione opposta che, credo di capire e correggimi se sbaglio, vuole conferire alle foto che fai e come le fai una valenza che intende denudare lo sguardo dalla stupidità celebrativa della rappresentazione. Bene, fallo ! E distinguiti in questa melassa perché lo fai bene, ma non puoi chiedere a tutti gli altri di non fotografare più, perché  significherebbe 1) non tener conto che la tecnologia ha dato a tutti la possibilità di fotografare e 2) non tener conto che fare foto oggi equivale a parlare e siccome si parla male, perché si pensa male anche le foto sono quel che sono.

giovedì 20 febbraio 2014

DORIAN WOOD ( USA )





Dorian Wood, Nuovo brillante Protagonista della effervescente scena losangelina gay, è "dotato di ONU carisma vocale Che SI addirebbe un predicatore delle Nazioni Unite, e Una vena sperimentale Che farebbe svenire Gli avanguardisti" (WNYC Cultura). Ha Portato citare in giudizio le prestazioni cariche di emotività drammatica in vendita da concerto, Musei, Teatri e club di negligenza statisti Uniti, in Messico e in Europa, con Una Voce Che Incarna l'abilita e la ferocia di Autori venire Scott Walker, Nina Simone, Nick Cave e Tom Waits.
Nel Mese di gennaio / febbraio 2014, Dorian Sara in giro per promuovere il Suo ultimo album, Rattle Rattle, recentemente ripubblicato in vinile DA atonali Industries. Rattle Rattle e Una collezione epica di brani Originali un Tema apocalittico Che formano ONU unica SOLIDA opera (compensare una Scott Walker Che rielabora Sorriso di Brian Wilson). Per la SUA Realizzazione Sono staticamente Coinvolti Oltre 60 Musicisti, TRA cui ONU coro di 45 Members assemblati da Dorian Stesso, Le Donne difficili, cosi venire il bassista Sebastian Steinberg (Fiona Apple), il trombettista Daniel Rosenboom (Josh Groban), il violinista Paul Cartwright (Father John Misty) e la cantante Francese Nina Savary.
Sia venire solista con il Che la SUA banda stellare, Dorian ha Condiviso il palco con Artisti venire Tom Brosseau, Bebé Dee, Little Annie, Lisa Germano e Jason Webley, per citarne alcuni. Vieni artista performativo, Dorian also ha Lavorato con Marina Abramovic Nel Suo Pezzo del2011 " D'artista Vita Manifesto "a Los Angeles, e ha presentato le proprie opere pressoterapia Istituzioni Quali il Museum of Contemporary Art (Los Angeles), Los Angeles County Museum of Art, Yerba Buena Center for the Arts (San Francisco), The Stone (New York) e la Stockholm Fringe Fest (Svezia).

www.bornmusic.org
http://www.youtube.com/watch?v=muCrQEgUjok
http://www.youtube.com/watch?v=YPxWavUw0ew
http://www.youtube.com/watch?v=n5W_-aljYow
http://www.youtube.com/watch?v=zrnvAXNruc0

DORIAN WOOD ( USA )






Dorian Wood, Nuovo brillante Protagonista della effervescente scena losangelina gay, è "dotato di ONU carisma vocale Che SI addirebbe un predicatore delle Nazioni Unite, e Una vena sperimentale Che sarebbe svenire Gli avanguardisti" (WNYC Cultura). Ha Portato citare in giudizio le prestazioni cariche di emotività drammatica in vendita da concerto, Musei, Teatri e club di negligenza statisti Uniti, in Messico e in Europa, con Una Voce Che Incarna l'abilita e la ferocia di Autori venire Scott Walker, Nina Simone, Nick Cave e Tom Waits.
Nel Mese di gennaio / febbraio 2014, Dorian Sara in giro per promuovere il Suo ultimo album, Rattle Rattle, recentemente ripubblicato in vinile DA atonali Industries. Rattle Rattle e Una collezione epica di brani Originali un Tema apocalittico Che formano ONU unica SOLIDA opera (compensare una Scott Walker Che rielabora Sorriso di Brian Wilson). Per la SUA Realizzazione Sono staticamente Coinvolti Oltre 60 Musicisti, TRA cui ONU coro di 45 Members assemblati da Dorian Stesso, Le Donne difficili, cosi venire il bassista Sebastian Steinberg (Fiona Apple), il trombettista Daniel Rosenboom (Josh Groban), il violinista Paul Cartwright (Father John Misty) e la cantante Francese Nina Savary.
Sia venire solista con il Che la SUA banda stellare, Dorian ha Condiviso il palco con Artisti venire Tom Brosseau, Bebé Dee, Little Annie, Lisa Germano e Jason Webley, per citarne alcuni. Vieni artista performativo, Dorian also ha Lavorato con Marina Abramovic Nel Suo Pezzo del 2011 "La vita Manifesto d'artista" a Los Angeles, e ha presentato le proprie opere pressoterapia Istituzioni Quali il Museum of Contemporary Art (Los Angeles), Los Angeles County Museum of Arte, Yerba Buena Center for the Arts (San Francisco), The Stone (New York) e la Stockholm Fringe Fest (Svezia).
 

mercoledì 19 febbraio 2014

La recensione: ARREDO CASA E POI M’ IMPICCO di Massimiliano Virgilio, Rizzoli Editore, 2014; pp. 292 € 17,00.

<< Perché abbiamo trent’anni. E a trent’anni il tempo comincia a diventare un problema.>>
[…] << E’ che alla nostra età entri nell’ordine di idee di un tempo non infinito>> aggiunse.<<Per carità non sei a tre quarti e nemmeno a metà. Ma è come un’infiltrazione, di cui sei a conoscenza e che prima o poi sgorgherà in tutta la sua potenza. Hai come il presentimento di essere a buon punto, ma di non essere ancora diventata nulla. Per la prima volta ti dai uno sguardo alle spalle e ci resti male. Quel che è peggio e che ti senti senza ancoraggio. E il tempo per trovarlo sta per finire. Non credi che questo basti e avanzi per avere paura?>>

Ecco, dopo aver letto questo brano a pag.170, stavo per chiudere il libro e lasciarlo incompiuto. Ho pensato: “ Che palle ‘sti trentenni che si vivono già come  dei Matusalemme! 
Poi ho pensato che forse, liquidare un romanzo a metà, sarebbe stato ingiusto e dunque, sono andato avanti superando la iniziale ritrosia e insofferenza. Sto parlando dell’ultimo romanzo di Massimiliano Virgilio edito da Rizzoli.

Massimiliano Virgilio è uno scrittore napoletano, poco più che trentenne che ha già al suo attivo altri due romanzi, collabora con vari giornali ed è anche sceneggiatore. In effetti il romanzo narra di Michele, scrittore napoletano che sceglie di rimanere a Napoli, mentre la sua compagna Chiara e i suoi amici l'abbandonano per invivibilità culturale e sociale. Impegnato nella stesura di ciò che sogna essere il capolavoro letterario della sua vita e che, alla per lui, fatidica età di trent’ anni appunto, decide di comprare una casa con un mutuo e di arredarla e dei suoi incontri con i personaggi più importanti della sua formazione letteraria. Michele infatti, come suo nonno che invece diceva di incontrare il diavolo, incontra le figure letterarie che hanno segnato il suo sviluppo emotivo e culturale: dal Giovane Holden, a Ismaele di Moby Dick, a Arturo Bandini il litigioso emigrante di Fante, fino a Martin Eden di London . Tutti antieroi o eroi negativi ai quali l’esistenza urbana di Michele sembra ispirata. Così ho ripreso la lettura ma ho mantenuto tutte le mie riserve, trovando forse troppo comuni o scontati i riferimenti letterari scelti, e l’estetica complessiva di degrado urbano e di vite bohémien descritte con una lingua troppo simile ai ritmi di una sceneggiatura da fiction televisiva (limite, ma anche risorsa della scrittura di MassimilianoVirgilio): la figura di Miss Vrenzola per esempio e dell’amica, quella di Daniel J Russo pornografo, eroinomane, impotente. Insomma un’estetica troppo abusata dai trentenni con ambizioni letterarie cresciuti tra Bim Bum Bam e Il Mio amico Arnold, che bevono solo Negroni, che si fanno le canne, che sono democratici, ma anche aristocratici nello stesso tempo, che hanno la puzza sotto al naso, che sono elettivamente attratti dalla diversità ( neri, omosessuali, puttane moldave da emancipare) ma che poi coltivano in segreto  il culto dell’amore in coppia e dei buoni sentimenti anche se tra dubbi e spossatezze emotive. Diciamo che fino a pagina. 235 sono stato convinto di aver letto un “niente di che” arrancando tra citazioni spesso non richieste e ambientazioni di maniera con una Napoli in sottofondo tutto sommata già descritta da altri – me compreso – sempre uguale, sempre sciatta, sempre assolutamente insalvabile. Poi, improvvisamente, stamattina, in circumvesuviana (ho letto tutto il romanzo in treno, non in una volta) alla pagina 239 ho capito perché Massimiliano Virgilio è uno scrittore forte uno scrittore che è capace di smuovere emozioni e perché il suo romanzo si riscatta improvvisamente, con un brutale e secco schiaffo, ma anche con una ruvida carezza che ti graffia l’anima e ti scaraventa pienamente nella storia. La storia, mentre sembrava lasciare intuire altre soluzioni, improvvisamente vira bruscamente e in questa virata,  - che preferisco scopriate da soli per non togliere togliere il gusto della lettura a chi decidesse di leggerlo - , cambia radicalmente tutto il romanzo dall’inizio alla fine. Così, mentre continuavo a leggere è sparito tutto intorno a me: la calca, i rumori sferraglianti, il tempo stesso che si è come dilatato. Sono stato risucchiato dalla storia senza più avere il tempo di fare quello che avevo fatto nelle pagine precedenti ovvero distrarmi con le mie riflessioni su quella scrittura. E quella scrittura che mi era sembrata manierata fino a quel momento, è diventata letteratura alta,  ovvero: un’esperienza che ti lascia un segno profondo, che ti apre spiragli di valutazioni di senso, che ti commuove e ti agita. E Michele, a quel punto,  è diventato per me ciò che Ismaele, Arturo Bandini, Martin Eden, erano stati per lui: una presenza vera e non un’invenzione letteraria. Quando ho chiuso il libro perché l’ho finito quasi dimenticandomi che dovevo scendere, ho dovuto faticare non poco a uscire da quella storia e per tutta la mattinata ho ripensato alla conclusione racchiusa nel lucido fotogramma finale e magistralmente sintetizzato in 5 righi intensi, senza una sbavatura, senza un aggettivo di troppo, di quello che, alla fine, è stato un bellissimo romanzo.

Franco Cuomo








lunedì 17 febbraio 2014

Il Cinema Aequa e le statue di sale

Su FB :"Stasera, dopo una giornata di lavoro intenso e faticoso, sono andato in Consiglio con lo spirito di chi, anche se da una posizione critica su alcuni aspetti che non mi avrebbero consentito un voto pienamente favorevole, è contento di partecipare ad una seduta per certi aspetti storica: quella che avrebbe permesso alla mia Città di riavere il suo cinema. Purtroppo inghippi procedurali hanno portato ad un ulteriore rinvio della decisione."



Ho letto su Punto Rosso questa citazione che riporto. Confesso che l’avevo letta anch’ io, subito dopo quella pesantissima ( nel senso di asfissiante e lunga) seduta del Consiglio Comunale nella quale – tra le altre cose – si discusse a tarda serata del Cinema Aequa. Non sono intervenuto subito, per stanchezza, per le molte versioni (quella della ditta che fa i lavori, quella del proprietario, quella del Comune) che circolano su questa costruzione che non si farà per ora e non si farà com’era stato previsto che si facesse, , non sono intervenuto perché altrimenti si sarebbe detto che cercavo la polemica con In Movimento per Vico. Poi Gianni, l’ing. Esposito, col quale molti interventi e denunce abbiamo fatto come VAS per le molte illegittime varianti di progetto presentate,  si è aggravato, e ora che non c’è più, mi rimbombano nella testa le parole che mi disse, già stanco e provato, qualche mese fa :” Caro Franco io il cinema a Vico non lo vedrò” e così è stato e chissà chi vedrà e quanto il cinema di nuovo a Vico Equense. Proprio per questo, il leggere questa dichiarazione così taroccata, così vistosamente ipocrita, così inopportuna del dottore Maresca mi ha suscitato un’insofferenza e un fastidio senza pari: Io non ero presente al quel Consiglio Comunale, ma – per documentarmi – ho guardato la lunghissima e snervante ripresa on line di 4 ore e più e chiedo al dottore Maresca : come mai durante tutto l’intervento dell’avvocato Migliaccio e la successiva replica dell’avvocato Dilengite, non ha proferito una sola parola, che sia una, sull’argomento? Perché non ha aperto bocca su quelli che lui ha definito con un eufemismo patetico “ inghippi procedurali” ? E com’è che anche i suoi compagni hanno taciuto, immobili come farinose statue di sale? 



giovedì 13 febbraio 2014

Se ne è andato un caro amico, compagno di battaglie civili.

Stamattina ho avuto la notizia che è morto Gianni, l’ingegnere Esposito per tutti. E' morto ieri sera .Mi aspettavo la notizia. Stava male da tempo e ultimamente era peggiorato. Con Gianni se ne va un altro compagno di ideali della mia vita,  e mi sento ancora più solo, ma con Gianni se ne va soprattutto un uomo che, pur nella sua timida e schiva partecipazione alla vita pubblica e politica della città, molto ha rappresentato per la difesa dei valori autenticamente democratici, oggi spesso abusati dai molti dai troppi millantatori che affastellano l’universo politico. Un’amicizia quarantennale, che si era fatta più intensa negli ultimi dieci anni, Un’amicizia che mi riporta con la mente sulla spiaggia di Acquappesa marina, con i suoi figli piccoli e con noi allora giovani pieni di ideali e grandi speranze.  Un signore nel più autentico senso della parola, che ha coltivato sempre con grande dignità le passioni nobili dell’impegno prima come vecchio repubblicano poi come socio del circolo VAS che avevamo fondato insieme, un manipolo di poche persone sinceramente e gratuitamente votate alla difesa della causa ambientale. Gianni  era la mia correzione attenta, il freno della mia irruenza, la metodica prudenza verbale che però si concretava sempre in denunce circostanziate e puntuali. La sua scomparsa è una perdita immensa  per chi, come me, aveva trovato in lui un valido sostegno, un amico di cordata in battaglie condotte insieme per dieci anni. Mi mancherà molto Gianni, mi mancherà l’amico, come già mi mancano amici che se ne sono andati troppo presto e con i quali la vita aveva un ben altro senso, mi mancheranno i suoi incontri settimanali, sempre molto operativi, il suo fare infinite fotocopie di articoli e volantini che scrivevamo insieme, la consultazione del suo curatissimo archivio nel quale sono conservati documenti e testimonianze di una operosissima attività politica pubblica. Quando se ne va un uomo così è come se morisse un grande albero secolare, insieme ad esso spariscono anche le numerose vite che prosperavano su esso e intorno ad esso. Mi associo al dolore di Lella e a quello dei suoi figli, Gianni mi ha insegnato moltissimo e di lui non dimenticherò nulla.

Franco Cuomo – Coordinatore del Circolo VAS

( Verdi Ambiente e Società ) –Vico Equense  

lunedì 10 febbraio 2014

Intervista a Roberto De Simone sulla cultura

l senso alto di una una invettiva da parte di un intellettuale ed artista che molto ha dato a questa città che oggi, più che mai, manifesta i segni la pratica della colonizzazione e della mafia politica nell'arte, come nel teatro. La denuncia veemente del maestro Roberto De Simone contro un ceto oligarchico che, attraverso la pratica delle prebende, gestisce in maniera familistica amorale il patrimonio artistico di  Napoli. Sconcerta l'indifferenza della classe politica che va per conto suo, quasi a dire: " ma cosa vuole questo vecchio pazzo? Ha già fatto il suo tempo!", in analoga consonanza con un altro grande vecchio: Gerardo Marotta. Si dirà, si dice, lo dicono in molti, che qualsiasi cosa gli si offre loro diranno sempre di no, troveranno sempre il pelo nell'uovo e, se non si potrà mai dar seguito o accontentarli nelle loro richieste, la colpa è soltanto la loro . Sono troppo difficili e, come tutti i vecchi, sono bizzosi e insofferenti. La verità è un'altra. Chi ormai si muove negli ambiti della cultura a Napoli - come in Italia, paese condannato alla catastrofe e alla ignoranza - si muove in ambiti affaristici che ormai poco o niente hanno più a che fare con la ricerca culturale. Contano, la visibilità, la facile fruizione, e soprattutto far girare soldi facili per la creazione a sua volta di camarille, potentati, affiliazioni. Devi buttarti sul carro del politico di turno e questi, a sua volta, si fregerà poi del titolo di uomo di cultura mentre artisti, giovani e meno giovani che non si sono abbassati o, non hanno avuto la conoscenza giusta, annaspano tra frustrazione e indifferenza. E' un refrain un deja vu, che a Napoli si è suonato e visto in epoca bassoliniana e che felicemente prospera ancora oggi con gli stessi nomi e le stesse facce, che vestono abiti apparentemente diversi ma in fondo sempre uguali. Resta l'underground - come dice De Simone - la sperimentazione di chi magari ci rimette in proprio soldi e faccia, i teatri lab locali, che si barcamenano tra gestioni cooperativistiche e abbonamenti tra soci,per garantirsi la sopravvivenza, mentre chi era "alternativo " trenta o quaranta anni fa, oggi è governativo D.O.C anche loro sul caro del più forte e mi riferisco soprattutto a chi si muove nel teatro. I vecchi un tempo ascoltati ascoltati, oggi sono derisi dai più. I vecchi che una volta erano patrimonio ricco di esperienza e cultura, oggi sono guardati con sospetto e avversati con malcelata insofferenza, si sa, va di moda la rottamazione. Napoli è una città di anime morte, in questo perfettamente allineata col paese Italia. Ci si illude di partecipare ad eventi al San Carlo, di mantenere in vita manifestazioni evento, teatrali o artistiche tout court  fatte su misura per l'amico di, il figlio di. Si certo,  qualcosa di interessante si può anche trovare in genere non negli ambiti deputati,  mentre la qualità è sempre più scadente e soprattutto ciò di cui si sente maggiormente il bisogno è l'esigenza di una fuga sempre più necessaria.
Franco Cuomo

Caricato da Antonio Vitale
Intervista a Roberto De Simone sulla "CULTURA"... bilancio disastroso a Napoli ed in Campania, De Simone esprime il suo disappunto sul modo in cui è stata gestita la Cultura a Napoli....un escursus sulla ingerenza della Politica ... sulle azioni clientelari che hanno favorito i 

mercoledì 5 febbraio 2014

In margine ad alcuni commenti sulla fotografa Vivian Meier vissuta tra New York e la Francia all’inizio degli anni ’50.

Viviane Meier fotografa, 1926-2009


Forse sarebbe più giusto dire che oggi immagini e scrittura sono alla portata di tutti nel senso che tutti possono realizzarne ( arte , fotografia, saggi, romanzi, video, ) il punto è vedere chi lascia una traccia ma soprattutto riflettere se ha ancora senso in questo universo mediatico lasciare tracce.

Forse, sarebbe meglio non lasciarne affatto. Bisognerebbe riflettere molto sul senso della fotografia della Maier: lei ha scattato foto per circa quarant'anni senza mostrarle mai a nessuno. Rullini interi mai aperti. Lei passeggiava e il suo occhio scattava attraverso la sua Rolleiflex. Poi è morta e poi ok la storia della scoperta. Ma siamo sicuri che la Meier volesse lasciare una traccia? Ecco a cosa mi riferisco quando parlo di non lasciare tracce. Oggi una cosa difficilissima perché ognuno di noi  vuole leggersi e vedersi soprattutto o sentirsi. Oggi capisco pure il senso di un vecchio  libro come Esthétique de la disparition  di Virilio e anche il suo più recente L’arte dell’accecamento. La Meier ha praticato una sublime ed inaccessibile estetica della sparizione. Una cosa oggi, a mio avviso, assolutamente impraticabile perché dovrebbe presupporre un'etica del privato in un mondo in cui ognuno fa vedere tutto di sé. E poi sono convinto che il mondo non è mai stato così “estetico” come ora. E lo è in un modo preciso: perché siamo talmente immersi dentro l’Arte che non abbiamo più bisogno di essa: è solo precipitando nell'accecamento della visione che smettiamo di vedere e poi di pensare e poi di riflettere. Dove si vede troppo non si può più immaginare nulla e noi oggi vediamo troppo e dunque non riusciamo ad immaginare più niente, ma soprattutto ogni cosa ci appare banale nel suo essere, già vista o già sentita, scontata, ovvia. E allora? Io credo che questo valga per tutto il sistema dell'arte. Oggi molti lavori artistici o fotografici o letterari sono gonfiati - nel valore monetario- dai critici, dalle gallerie disoneste, da editori commerciali, mentre appare sempre più difficile rintracciarne la valenza spirituale di questi valori, ma anche quella etica.
Non so cosa dire. Un convegno? Forse, ma non risolverebbe. Nel tempo di esposizione sempre più ridotto di ogni evento, nel susseguirsi degli shock che si anestetizzano a vicenda, tutto è visto e quasi simultaneamente dimenticato. Una irriflessa democrazia umorale non razionale, una stimmung che viene fatta coincidere con uno stato d’animo momentaneo subentra alla democrazia di opinione, ma, non riesce a trattenere nessuna delle emozioni che il suo regime di simultaneità produce e immette senza posa nel mondo. E’ un processo che si estende ad ogni evento mediatico: per le immagini come per le parole. L’arte di vedere esce di scena insieme alla filosofia politica, al linguaggio perché, non solo ogni fissità, ma ogni durata è ostaggio dell’ “inerzia panottica”, ovvero di tutto ciò rimane da un eccesso di esposizione, una sovraesposizione visiva. E in questa nebulosa in cui la “violenza delle immagini” sembra l’unico mezzo di espressione, solo l’opera oggettiva – dice Virilio – “emerge come fenomeno di resistenza,un gesto reale, infilato come un cuneo nella macchina celibe di una banale surrealtà”[1]. Ma che cos’è alla fine l’opera oggettiva? L’opera oggettiva è la scrittura e la parola: la resistenza si attua tramite la parola scritta e letta e più lunghe e complesse sono le parole più efficace è la resistenza all’oblio, in pratica l’opera oggettiva è l’esatto contrario di un Tweet, di un post. Ma l’opera oggettiva è anche quella che sa coltivare l’estetica della sparizione . Per ritornare all’arte o alla fotografia, forse dovremmo riconoscere che queste oggi possono praticarle chiunque, perché queste non sono più da tempo “auratiche" ( la fotografia poi forse non lo è mai stata neanche in origine per la sua riproducibilità intrinseca)  per dirla con Benjamin, oppure l’arte è talmente diffusa come estetismo nella società che non se ne sente più la necessità e poi magari sperare, ma neanche, che tra trenta o quaranta anni, quando si è morti, qualcuno scopre il tuo lavoro e lo fa diventare un business, ma questo è un’altra cosa e ciò che si continua a chiamare arte non è più tale già da tempo. Quell’arte è morta.

Oggi bisognerebbe fidarsi solo di se stessi. Ti piace una cosa? Anche di uno sconosciuto? La compri e imponi di pagarla per quello che essa vale in materiali , procedimenti usati e idea, basta , niente di più..



[1] Paul Virilio, L’arte dell’accecamento, Raffaello Cortina editore, 2007