mercoledì 22 aprile 2015

La rancorosa antipolitica: un mio commento ad Ernesto Paolozzi




Un commento mio  ad un post di Ernesto Paolozzi, studioso di Benedetto Croce e docente storia della filosofia contemporanea  presso il  Suor Orsola Benincasa di Napoli che riporto integralmente. “La questione morale si è lentamente degradata, prima in cupo moralismo, poi in perbenismo piccolo borghese,quindi si è trasformata in rancorosa e invidiosa antipolitica. Oggi sta diventando un gioco di società sostitutivo del burraco.Speriamo che la moda passi. Al grido di viva Sandra Mondaini, che barba, che noia”.  
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Si parla spesso di antipolitica, ma mi chiedo: e la politica? Qual' è quella "cosa" alla quale oggi si può attribuire il sostantivo di Politica, così come l'ho studiato per anni sui testi di Storia delle Dottrine Politiche, o nelle letture di Gramsci, di Omodeo, di Croce, Habermas? Quello che c'è oggi in giro, quello che il marketing e il mercato ci offrono oggi col termine di politica, a mia modestissima opinione, è solo comunicazione mutagena, ovvero un linguaggio che serve a controllare e a nascondere la realtà di ciò che attiene alla sfera dell'opinione pubblica – oeffentlichkeit-  per dirla con Jurgen Habermas. A conti fatti oggi, quella  politica non esiste più , perché sostituita da  una tecnica amministrativa finalizzata alla conservazione e al mantenimento  di potentati economico/ finanziarii.  Questo  linguaggio della comunicazione utilizza un formulario concettuale e simbolico che ha estromesso definitivamente le categorie valoriali dei diritti e del sociale, mentre l’idea stessa di cittadinanza sparisce per fare posto a quella di utenza.  Ergo sostengo, in opposizione a ciò che afferma Ernesto Paolozzi, che: come non esiste più la politica così non esiste nemmeno il suo contrario ovvero l'antipolitica e Sandra Mondaini forse era più avanti solo perché oltre a far parte dell’universo spettacolo dei media poteva ancora annoiarsi. Vorrei ricordare ad Ernesto che  prima di scagliarmi contro l'antipolitica inviterei a riflettere su cosa e su chi fa politica oggi. Posso fare dei nomi a ... caso, eccoli: quella di Renzi è politica? Matteo Renzi è un politico? Berlusconi ha fatto politica ? Maria Elena Boschi è una politica? Lo è Daniela Santanchè ? Voglio spiegarmi meglio: non entro nel merito delle persone in quanto tali e delle cose che hanno fatto e stanno facendo, che sono un prodotto di questa mutazione ,entro invece nei modi di presentarsi in qualità di personaggi completamente avulsi da nozioni storiche e politiche, nel senso antico e per loro desueto del termine . Entro nei linguaggi usati, ma soprattutto sulla acultura che ostentano. Mi scuserete se uso dei paradossi, ma lo faccio solo per dimostrare che oggi la politica è sparita e al suo posto c'è solo una tecnica amministrativa con i suoi esecutori al servizio del primato dell'economico. Allora ecco che pongo un esempio.  Ravvisate differenze - ovviamente oltre quelle epocali - tra Walter Rathenau, Winston Churchill, François Mitterrand e Angela Merkel, François Hollande Matteo Renzi? La mia opinione è che la prima triade aveva una storia della cultura politica che era composta di una grande considerazione verso la Humanitas, di un grande rispetto verso i principi della Morale pubblica e privata per i ruoli istituzionali ricoperti e di un'alta considerazione del senso dello Stato. In altri termini questi uomini erano degli autentici politici il cui fine era quello di tenere alti i valori del primato della Humanitas contro lo scadimento della vita verso la barbarie, si inserivano cioè in quella formazione storico culturale che da Hobbes, passa per Locke e poi per Rousseau, e poi per Kant e per Voltaire fino ad arrivare alle basi dei dettati costituzionali. La seconda triade invece si occupa di far quadrare i conti di un sistema economico l’unico che si fa passare per essere il migliore dei mondi possibili ( quello capitalista/finanziario) e di curarne gli interessi a discapito della Humanitas che per essi rappresenta un intoppo, un incidente di percorso. Per la seconda triade lo scadimento della vita è un dato necessario anzi quasi naturale: si ritorna cioè a considerazioni ante Adam Smith, ovvero che l’essere poveri è una colpa e chi lo è lo è solo per colpa sua, questa triade continua a conservare modelli rappresentativi del secolo scorso: parlamenti, democrazia parlamentare, elezioni, ma di fatto li esautora e li modifica fino a renderli completamente finalizzati alla  sola conservazione di questo stesso sistema economico. Rifkin e ultimamente Piketty, da punti di vista differenti, hanno sottolineato l'estrema pericolosità della deriva o, se volete, del primato dell’ economico rispetto al primato del politico, come lo si intendeva un tempo, ovvero al primato delle vite umane che compongo il sociale. Questo stato di cose potrebbe portare a gravissimi conflitti su scala planetaria, alla scomparsa dei diritti alla fine delle autonomie governative: poche nazioni amministrate da “facenti funzioni” della finanza internazionale. Questa tecnica di far quadrare i conti è supportata da un linguaggio asettico molto povero con scarsissimi concetti, nel quale prevalgono acronimi e sigle, lingua inglese o un inglese mondializzato molto usato sia dai media che dagli attori amministrativi che lo pongono in essere: i primi ministri e i ministri stessi . Tutto questoallora non ha più niente da spartire con quello che una volta si definiva politica e dunque tutto questo, per ritornare al tuo post iniziale caro Ernesto, è per me la vera antipolitica.

venerdì 17 aprile 2015

Si, ma come ha fatto?


 Quando certe mattine, soprattutto quelle di primavera, quando uscivi di casa e fuori c’era già la luce, l’idea di salire su quei vagoni  e di lasciare la costiera per Napoli, mi preparava ad una crisi di nervi che vibrava sempre nel mio corpo e poi finiva per non venire mai, influendo non poco sul mio umore e sulle mie relazioni col prossimo. Ogni stagione assumeva su quei vagoni sgangherati una sua particolare specificità, la primavera accentuava i lati nevrotici della mia personalità. Il corpo in primavera mi diventava più indolente, le mattine ventose finivano per farmi starnutire e lacrimare in continuazione, nel curvone grande, sia che ci fosse la tramontana, sia che ci fosse lo scirocco era tutto un turbinare di polveri di ogni genere, però io guardavo il mare e l’idea, di per sé già soffocante, di dover fare un’ora in circumvesuviana, mi restituiva tutto il mio totale rifiuto verso quella ferrovia. Si, certo, in quelle ore avrò divorato centinaia di libri, li leggevo poche pagine per volte, ma li leggevo e li finivo, perché, come vi ho già spesso detto, per il resto del viaggio mi addormentavo. Ma in quelle mattine di primavera avrei voluto sempre, con tutto me stesso, essere altrove o avere un’auto con l’autista che seguisse solo i miei desideri. Come avrei mai potuto formulare un nuovo patto con l’umanità che mi aspettava in quei vagoni? Quella umanità poi. E che patto avrei mai potuto stabilire?  Per anni ho pensato, ma solo nell’ultimo periodo ho realizzato che quegli uomini che pensavano di aver capito tutto, per i quali io non ero niente altro che un perdente radicale, avevano già compreso che la visione e la cecità sono strettamente legate l’una all’altra e dunque stavano più avanti della mia presunzione e dunque avevano realmente capito tutto. Devo confessare che in quelle mattine di primavera, quand
o nel mio paese la luce restituisce la gioia di vivere e il sole illumina la collina circostante che degrada pigra verso il mare, in me covava la rabbia profonda di non essere ricco o  benestante. L’unico pensiero che mi consolava era che, se riuscivo a conquistare un posto seduto fino a Napoli, avrei potuto amoreggiare con il libro di turno che avevo nel mio zainetto. I libri sono stati i miei veri amanti e nell’abbandonarmi ai loro amplessi ho compreso che l’intelligenza umana consiste nella capacità di rendere durevole la sua improbabile forma di vita mediante lo sviluppo di costruzioni supplementari. Così, con Ovidio o Montaigne, con Musil o Kafka, con Heidegger o Sloterdijk, con Camus o Mann nello zaino, attraversavo i tornelli, pronto alla mia lotta quotidiana, lasciandomi alle spalle, il mare, il sole e i mulinelli  pieni di polvere e di pollini. Quella mattina non trovai il posto seduto.
Appena le porte si aprirono, mi sentii contagiato e disfatto, contagiato dalla massa di gente pigiata una sull’altro e disfatto da quella esperienza che si ripeteva sempre uguale tutte le mattine, c’era gente in piedi già sulla piattaforma centrale del vagone. La mia era una desolata ipersensibilità nervosa che mi coglieva in quei momenti, dandomi spesso nausea o capogiri o extrasistoli che sembravano sfociare in crisi di panico che però non venivano mai. In quei momenti, all’inpiedi  tra la folla niente riusciva a catalizzare la mia attenzione, o un mio pensiero su qualcosa che potesse solo semplicemente essere per me una distrazione. Le stabili condizioni dello spirito, che dovrebbero essere garantite da un’umanità sensibile, in quella calca finivano per avere scarso valore  e vacillare, mentre ogni passione era annichilita in una grigia apatia. Qualche volta, solo il profumo che emanava da qualche corpo femminile riusciva a concentrare la mia attenzione: bisognava stare molto vicini e spesso non erano profumi quelli che riuscivo a captare. Quella mattina, credo a Torre del Greco, entrò una giovane donna, entrò è un eufemismo, perché la poverina fu violentemente spinta da tutti gli altri che volevano entrare, contro quel muro di corpi che già stava dentro. Era elegante e ben truccata, pensai a quanto tempo mettesse per truccarsi con quella cura, alle ore che sottraeva al suo sonno ogni mattina: fondo tinta ben steso, correttore nei punti giusti per togliere il lucido, rossetto pieno e voluminoso assolutamente perfetto su belle labbra piene.  Avvertivo la sua borsa sulla mia coscia e avevo quasi la faccia immersa nei suoi folti capelli neri. Era ben vestita e ben truccata e mi sembrava molto infastidita di trovarsi tra me, un uomo molto corpulento con una tuta e una vecchia maleodorante che sbraitava e imprecava ogni qual volta qualcuno la urtava, ovvero sempre. Nel momento in cui pensai di voler essere portato fuori da me stesso, in un’incredibile lontananza inaccessibile, furono forse semplicemente quei capelli neri che, prepotentemente con la loro sorda presenza, sfioraronono il mio viso e il mio naso sotto quell’inevitabile spinta. Se fosse successo con chiunque altro, avrei provato – come mi succedeva – fastidio e repulsione. Invece  in quel momento il mio cervello usci dall’apatia e considerai che il di fuori vuoto dell’attrazione, ovvero la mia indifferenza verso la giovane donna, si stava tramutando nel suo opposto. La mia era un’attrazione dissimulata, perché essa si poneva come pura presenza ravvicinata da una spinta opprimente dell’intero vagone. Un’attrazione ostinata, ridondante, superflua, un’attrazione respingente piuttosto che non attraente, un’attrazione non voluta ma che ti costringeva ad un rapporto molto simile ad un corpo a corpo. Era un sentirsi minacciati di essere assorbiti o compromessi da essa in una confusione smisurata. Fu in quell’attimo che un effluvio intenso, caldo, misterioso e infinitamente attraente, si sprigionò da quella folta capigliatura nera. Più l’avvertivo e più il mio viso si spingeva tra i capelli della giovane donna. Avvertivo un’opulenza orientale e ne riconoscevo le note. Ho sempre amato i profumi e a naso ne potrei distinguere moltissimi anche se col tempo sto perdendo questa qualità. Mi spinsi ancora più che potevo vicino alla donna. La donna reagì infastidita, ma, poverina, non poteva muoversi incastrata com’era tra il grassone e la vecchia imprecante. C’era sicuramente il gelsomino, e il mandarino, c’era pure l’opoponax, ma c’era anche del patchouly, del sandalo. Il treno tra scossoni e sobbalzi ci accostava e ci scostava. Ero piacevolmente frastornato e stordito e solo a quel punto mi accorsi di quanto vicini fossero i nostri corpi. Mi assalì un imbarazzo per me sconcertante, ma nonostante avvertissi tutto questo il mio pensiero elaborava velocemente tutta una serie di nomi: opium, oud royale, macassar, red door, coco, amarige. Poi, quasi come un flash, superai l’imbarazzo e sussurrai all’orecchio della donna ormai vicinissimo alla mia bocca un nome. Bisogna sempre parlare per difendersi, bisogna sempre dar voce e parole ai propri pensieri e darli nel modo più chiaro possibile se si vuole veramente percepire pienamente il mondo che ci sta intorno e bisogna farlo ininterrottamente e altrettanto definitamente. Difendersi dall’imbarazzo ma anche da quella improvvisa attrazione soprattutto se questa era dissimulata. Sussurrai un solo nome ponendo una domanda che pretendeva una risposta: Cinnabar ? La donna come in un sussulto sembrò rilassarsi, si distese, si tranquillizzò, si girò di scatto e sembrò finalmente rassicurata, anzi sembrò quasi volersi abbandonare alla mia vicinanza, mi sorrise e disse: “si, è Cinnabar, ma come ha fatto?


sabato 11 aprile 2015

Ma basta Parlare di Gennaro Cinque ! E' una storia vecchia ormai!


“Pagliacciata suprema, la legalità ridotta a letame”, qualcuno lo ha postato e lo faccio mio, in sintesi estrema di questo si tratta; commentassero pure i giornali, i giornalai, pardòn, giornalisti . Ormai ci si inebetisce e ci si annoia su queste notizie, ma la verità è che la vita sta altrove. Negli affetti veri, nella salvaguardia della natura, nella difesa dei diritti dei più deboli. Chissenefrega di Gennaro Cinque e dei suoi giochini vistosamente palesi per conservare la poltrona in un modo o nell’altro! Chissenefrega dei suoi calcoli, delle sue furberie pulcinellesche. E non è neppure una blandissima opposizione consiliare che cambierà lo stato di cose: fossi io mi sarei già dimesso, che governassero da soli questo paese di para…ninfi! O se vi piace di più, di lenoni, di ruffiani, di mezzani!  È la popolazione che dovrebbe reagire, ritrovare dignità, se questo non succede ma che si azzuffino tra loro. Ma di cosa stiamo Parlando !?! Qui concorrono tutti per un morso di pane, per un piacere, per una prebenda! Qui tutti si calano le braghe, per aggiustare un affaruccio loro, tutti servi per una pacca sulle spalle data da gente che nella cosa pubblica ha trovato la panacea per fare e aggiustare i fatti propri. E’ una storia vecchia ormai! Faccioni di signore sorridenti e vistosamente truccate e incannaccate su gigantografie che da Napoli, all'aereoporto, alla penisola sorrentina sorridono tronfie del loro potere e dicono che loro sono come voi, voi però non campeggiate su gigantografie, non siete ingioiellate! Il  potere smargiasso esibito alla faccia di chi arranca giornalmente. E allora? Di cosa vogliamo parlare ? Di tutta questa miseria umana? Di questa volgare pantomima spacciata per democrazia, di questo cattivo gusto, di questo arraffa arraffa? Mai termine è stato più stracciato e stravolto di questo! Ma via ! Cominciamo noi ad esibire i nostri stili di vita diversi dai loro, la nostra cultura, i nostri valori, facciamo comprendere attraverso questo orgoglio di essere diversi da loro e disprezziamoli con l’indifferenza che si meritano! Non spetta ai pochi ma a tutta la popolazione dire basta, se questa non lo fa, allora la gente è collusa con tutti ciò e l'unica cosa da fare è differenziarsi nelle scelte, badando bene che quelle dominanti non limitino le tue: tutto qua, e vi assicuro che non è poco, vi assicuro che fare scelte diverse da quelle dominanti e saperle mantenere è un lavoro faticosissimo: bisogna crederci. Non mi riguarda proprio, se la gente vuole questi rappresentanti, che se li tenesse pure. In più quello che sta facendo Gennaro Cinque credo che lo abbia fatto pure De Luca e altri sindaci, ormai e diventata semplice routine. Questa è la deriva della legalità niente altro. Ora tutti i giornaletti ci ammorbano sul destino di Gennaro Cinque che vuole andare alla Regione, ma vuole rimanere anche in sella a Vico Equense, due piedi in una scarpa: ma ci andasse alla Regione, se ci riesce ( cosa di cui dubito), ma se lo tenesse il Comune o lo affidasse ad un suo luogotenente! Cosa cambia se tutta la popolazione è amorfa? Cosa cambia se tutta la popolazione ne confermerà il suo potere? Il punto è un altro: il punto è, anzi uno dei tanti punti è che pochi giorni, fa sono stati espiantati 7 o 8 tigli, perché qualcuno ha scritto da qualche parte che forse il marciapiede si stava spaccando, che forse quegli alberi non dovevano stare lì perché piantati da vent’anni prima da un’amministrazione precedente: ebbene quegli alberi frondosi sono stati divelti in una giornata con un ordinanza. Poi ci sono cancelli sulle spiagge, poi c’è  una collina circostante dove ognuno ha costruito quello che poteva e quello che voleva senza un piano, poi ci sono rivi pieni di amianto e discariche abusive. Ma di cosa altro vogliamo ancora parlare? Sempre di Gennaro Cinque ? Ma basta! Tutto quello che ha fatto questo sindaco sta sotto gli occhi di tutti, ma sembra andar bene a tutti. E allora? Poi magari ci metti pure che tra quelli che dovrebbero essere i cittadini, diciamo illuminati, si erge qualche agronomo competente e di sinistra ( anche questa, parola devastante e devastata) che dice: vabbé ma in fondo sono tigli, non sono alberi di pregio, e allora capisci che fine ha fatto ogni singola possibilità di scampo, liberazione, rimedio, via d’uscita, redenzione.  Di fronte a tutto questo mi vengono solo in mente le parole che Franco Autiero fa scrivere a  Rusinella,  ovvero, la gatta del condominio interno undici della piéce Espiantati , in defecati messaggi sul tappetino di nostra signora delle polveri: S A L V A T E V I.

mercoledì 8 aprile 2015

LE NUVOLE

Pier Giorgio Paterlini- giornalista, scrittore, saggista 
Il motivo della mia stanchezza e della mia tristezza lo ha descritto magistralmente Paterlini in questo post. Lo condivido tutto. Leggetelo fino alla fine.


LE NUVOLE (un richiamo velato a Pasolini n.d.r.)
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NON VALE LA PENA
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Per questo Paese, dico. Non vale la pena sbattersi. Non vale forse nemmeno la pena continuare a prendersela con la politica e con i politici, comunque impresentabili.

Non che sia un discorso nuovo, lo so bene. Che la famosa “gente” non sia meglio dei politici che manda in Parlamento, che la classe politica sia (anche) specchio della società, che i rappresentanti siano come i rappresentati, non il Male appeso là in alto, chissà come, e noi, la base della piramide, i Buoni, non è analisi esattamente originale. Già Cuore, e prima di tangentopoli, se la prendeva con “la gente” più ancora che con la politica, con la “mutazione antropologica”, con il brutto e il cattivo che imperversavano in ogni angolo, e questa fu probabilmente la piccola rivoluzione che con quel giornale compimmo.

Ma ci sono momenti in cui la vergogna di essere italiani (o forse esseri umani e basta, ma qui parliamo di esseri umani italici, non si scappa) è così visibile, schiacciante, incommentabile che appunto uno si chiede se valga la pena, e per chi, prima ancora del fatidico che cosa.

Come si fa a leggere lo striscione contro la mamma di Ciro Esposito e non invocare su quello stadio i fulmini degli Dei?

Uno degli striscioni contro la madre di Ciro Esposito esposti in curva sud a Roma il 4 aprile scorso


Come si fa, ancora, ancora, e ancora a leggere (commentare) che dei genitori si sono lanciati in cori razzisti contro dei campioncini di calcio di 11 anni a Forte dei Marmi, calciatorini che giocavano “con” prima che “contro” i loro figli, come si fa senza avere voglia di espatriare, più per questo che per la mancanza di lavoro?

E come si fa a credere ai propri occhi leggendo che ancora dei genitori di ragazzi sospesi da scuola perché avevano violentato un compagno  - sì violentato, non c’è un’altra parola, violentato poi filmato la violenza e postato il video sui social – che quei genitori, dunque, invece di interrogarsi sul proprio ruolo educativo e comunque prendere a sputi in faccia quelle bestie di figli li abbiano difesi, poveri cocchini di mamma, che le vittime erano loro, e che la punizione era troppo pesante per uno “scherzo da ragazzi”? Come si fa a leggere una storia del genere e non pensare che questo Paese, tutto, sia senza speranza, irriformabile come diciamo – giustamente – della politica? (Quando perfino un ministro come Stefania Giannini – dio mi perdoni, che, con tutto il rispetto, non le farei fare nemmeno la bidella – riesce a capire e a dire che se i genitori smettessero di difendere sempre la propria indifendibile progenie la scuola andrebbe meglio, capisco che il fondo lo abbiamo toccato, perché ha ragione il ministro, ovviamente).

Incendiare la baracca, poi scappare. Forse bisogna fare questo. Per salvarsi. Salvarsi. Forse è rimasto l’ultimo dovere. Mettersi in salvo. Entrare nell’Arca, prima che il diluvio spazzi via ogni cosa.

Se ne riparla fra un centinaio di anni, quando le acque si saranno ritirate e il sole sarà tornato a splendere.

Ci fosse un solo giusto, a Gomorra  la città potrebbe ancora farla franca, scamparla, evitare la collera. Ma un giusto, uno solo, non si trova.

E allora.

E allora, vieni via, vieni via con me.

Via, via, vieni via di qui / niente più ti lega a questi luoghi / neanche questi fiori azzurri…

Pier Giorgio Paterlini




martedì 7 aprile 2015

Le Nuvole

Il motivo della mia stanchezza
lo ha descritto magistralmente Paterlini in questo scritto. Lo condivido tutto. Leggetelo fino alla fine.


LE NUVOLE
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NON VALE LA PENA


Per questo Paese, dico. Non vale la pena sbattersi. Non vale forse nemmeno la pena continuare a prendersela con la politica e con i politici, comunque impresentabili.

Non che sia un discorso nuovo, lo so bene. Che la famosa “gente” non sia meglio dei politici che manda in Parlamento, che la classe politica sia (anche) specchio della società, che i rappresentanti siano come i rappresentati, non il Male appeso là in alto, chissà come, e noi, la base della piramide, i Buoni, non è analisi esattamente originale. Già Cuore, e prima di tangentopoli, se la prendeva con “la gente” più ancora che con la politica, con la “mutazione antropologica”, con il brutto e il cattivo che imperversavano in ogni angolo, e questa fu probabilmente la piccola rivoluzione che con quel giornale compimmo.

Ma ci sono momenti in cui la vergogna di essere italiani (o forse esseri umani e basta, ma qui parliamo di esseri umani italici, non si scappa) è così visibile, schiacciante, incommentabile che appunto uno si chiede se valga la pena, e per chi, prima ancora del fatidico che cosa.

Come si fa a leggere lo striscione contro la mamma di Ciro Esposito e non invocare su quello stadio i fulmini degli Dei?

Come si fa, ancora, ancora, e ancora a leggere (commentare) che dei genitori si sono lanciati in cori razzisti contro dei campioncini di calcio di 11 anni a Forte dei Marmi, calciatorini che giocavano “con” prima che “contro” i loro figli, come si fa senza avere voglia di espatriare, più per questo che per la mancanza di lavoro?

E come si fa a credere ai propri occhi leggendo che ancora dei genitori di ragazzi sospesi da scuola perché avevano violentato un compagno  - sì violentato, non c’è un’altra parola, violentato poi filmato la violenza e postato il video sui social – che quei genitori, dunque, invece di interrogarsi sul proprio ruolo educativo e comunque prendere a sputi in faccia quelle bestie di figli li abbiano difesi, poveri cocchini di mamma, che le vittime erano loro, e che la punizione era troppo pesante per uno “scherzo da ragazzi”? Come si fa a leggere una storia del genere e non pensare che questo Paese, tutto, sia senza speranza, irriformabile come diciamo – giustamente – della politica? (Quando perfino un ministro come Stefania Giannini – dio mi perdoni, che, con tutto il rispetto, non le farei fare nemmeno la bidella – riesce a capire e a dire che se i genitori smettessero di difendere sempre la propria indifendibile progenie la scuola andrebbe meglio, capisco che il fondo lo abbiamo toccato, perché ha ragione il ministro, ovviamente).

Incendiare la baracca, poi scappare. Forse bisogna fare questo. Per salvarsi. Salvarsi. Forse è rimasto l’ultimo dovere. Mettersi in salvo. Entrare nell’Arca, prima che il diluvio spazzi via ogni cosa.

Se ne riparla fra un centinaio di anni, quando le acque si saranno ritirate e il sole sarà tornato a splendere.

Ci fosse un solo giusto, a Gomorra  la città potrebbe ancora farla franca, scamparla, evitare la collera. Ma un giusto, uno solo, non si trova.

E allora.

E allora, vieni via, vieni via con me.

Via, via, vieni via di qui / niente più ti lega a questi luoghi / neanche questi fiori azzurri…

Pier Giorgio Paterlini




sabato 4 aprile 2015

Illuminazione alle Calcare di Vico Equense ( Costiera sorrentina)




Qualcuno dirà che non sono mai contento, qualche altro che sono perennemente infelice, qualche altro ancora che non sono utile a me stesso e all’altra metà del  cielo e che sono vecchio, decrepito, insomma un relitto umano. Smentisco, non sono giovanissimo ma mi sento molto utile ancora a molti e ho cura di me stesso e di altri e proprio per questo mentre mi godevo la pensione passeggiando giù alla marina di Seiano, alle Calcare per la precisione, insieme ad alcuni amici, non ho potuto fare a meno di vedere quegli orrendi lampioni da autostrada di periferia urbana piantati in maniera selvaggia e senza alcun criterio lungo quel tratto di spiaggia e, sulla sabbia, i resti di tubi di plastica bianche e azzurri sparsi d’ovunque. Ho provato una pena profonda per il mio territorio, non ho avuto neanche la voglia di fotografarli quei lampioni tanto sono brutti, chi vorrà vederli non faticherà molto a notarli. Chi li ha scelti? Chi ha potuto pensare che quel tipo di illuminazione potesse essere sistemato in un posto simile? Chi li ha commissionati? Ma li ha visti qualcuno prima di interrarli? I raffinatissimi assessori che pure si dice facciano parte di questa Giunta hanno permesso un simile acquisto? Quella spiaggia un tempo era una pietraia assolata, che si concludeva con le rovine cinquecentesche di un vecchio arsenale, con alle spalle piccoli vigneti e ulivi e fichi d’india. Oggi, dalla Torretta normanna al vecchio arsenale è solo un continuum di baracche di legno, di ferro arrugginito, di cancelli davanti alle quali spesso sono state gettate colate di cemento per improbabili piattaforme e ancora più improbabili ristoranti o paninoteche o bar che alla rinfusa d’estate servono di tutto. Qualche piattaforma vuole essere più pretenziosa, ma resta il fatto che quel posto è stato orrendamente devastato e lo è ancora con permessi e autorizzazioni e concessioni che il sindaco Gennaro Cinque continua a rinnovare. Oggi con questa illuminazione voluta da questo sindaco, e tutti quei cancelli pure questi autorizzati da lui che vengono chiusi di notte, quel posto somiglierà ulteriormente ad un tremendo lager. Allora la mia riflessione, perché di questo si tratta è: ma perché ci si ostina a distruggere un territorio con manufatti bruttissimi e, questi si, inutili, che un tempo aveva in sé, nella sua intima costituzione una sua bellezza e un suo equilibrio naturale? Sarebbe bastato dotare quella pietraia di docce e servizi igienici  e lasciarla così com’era . A cosa o a chi servirà tutta quella luce sulla spiaggia di notte? A nessuno o forse a proteggere solo tutte quelle baracche di ferro arrugginito che si aprono solo per tre mesi estivi  a contendersi  quel piccolo tratto di mare. Questa è l’estetica del sindaco Gennaro Cinque e della sua Giunta  e questa purtroppo è anche il suo modo di amministrare il territorio.

Franco Cuomo - VAS -Circolo Giovanni Esposito 
Vico Equense

giovedì 2 aprile 2015

Ma siamo davvero più avanti della DANIMARCA?








CONDIVIDO IN TOTO I POST DI DOMENICO BUONOCORE UN GIOVANE DELLA ZONA ALTA DI VICO EQUENSE - IN COSTIERA SORRENTINA- PUBBLICATI SU FB, MOLTO FERRATO SULL'ARGOMENTO, DIGITALIZZAZIONE E CABLAGGIO, RELATIVI " AL COSI' CHIAMATO"PASSO NEL FUTURO " DI UNA CITTA' E A VICO EQUENSE CITTÀ CABLATA. TUTTA UNA SERIE DI MACROSCOPICHE E ROBOANTI DICHIARAZIONI E PROPAGANDA A BUON MERCATO   COME ORMAI SI È SOLITI FARE IN QUESTO POSTO. PURTROPPO IN QUESTO PAESE SE NON CI SI PROSTRA NON SI RIESCE A VIVERE.
"hahah spettacolare l'articolo... una tale sequela di cazzate nemmeno su lercio potevo leggerla. Purtroppo sono di sfuggita e non posso commentare passo passo, spero ci sia qualche cliente di questa fibra delle mie zone per spiegare nei dettagli il "prezzo " di questo "passo nel futuro" ...e mi pento che a causa delle numerose pulizie informatiche dei miei archivi non posso farvi ascoltare la registrazioni di uno dei tanti incontri preliminari che le frazioni hanno avuto con l'operatore che ha preso in carica tale cablatura... altro che Telecom: che scuorn!.P.s. Andrea Cocchi A Bologna però avete un doppino di rame che garantisce i servizi adsl classici e una selezione di operatori nazionali tra cui scegliere e che garantiscono competitività... non vi chiedono i soldi dell'allaccio in anticipo a oltre 2000 euro 
Emoticon smile
MI ero ripromesso di non espormi più su questa storia, non è che un incontro cambia le cose l'ho vista in azione sia dove è funzionante che dove è mal messa( tipo nella mia frazione). Ho provato prodotti simili e il paragone. IL discorso è sul fatto che non si elimina il digital divide destinando una zona ad un SOLO OPERATORE LOCALE non nazionale e che non sentirà mai il peso della competizione perché dove non c'è competizione non c'è miglioramento.Quello che avevo da dire l'ho detto sopra, sulle strategie "particolari " usate negli anni per vendere poi il prodotto spero facciano fede i tanti presenti come me agli incontri. 
Un incontro col sindaco ora come ora non mi cambia nulla e non mi serve, siamo un paese "cablato con una fibra" che termina con un collare che come sempre ci tiene legati al palo, ora stiamo scattando ma esaurita la corsa restiamo sempre qui mentre il resto del mondo va avanti.