giovedì 28 dicembre 2017

GALLERIE CHIUSE, ALLERTE METEO STATI DI EMERGENZA E POVERI IDIOTI




“Gallerie chiuse per un po’ di pioggia: qualche marchettaro disse “tutto ok” allo slogan di “grande successo”.
 Che squallore.
E pensare che i Comuni della penisola e di Castellammare si sono dovuti autotassare per la somma complessiva di 15.000 euro per rimuovere rifiuti e per mettere una pompa di aspirazione nella zona dove il rivo rischia di esondare. Anche se i lavori spetterebbero ad altri.
Dissero che in pochi giorni si sarebbe risolta la situazione evitando chiusure. Balle.
Vergogna.
L’importante però è dare voce agli auguri di Natale ai cittadini e non invece fare casino per questo scempio”
La mia opinione è che il “casino” non lo farà nessuno perché siamo inebetiti da una informazione idiota che ha come scopo quello di rendere tutti idioti. Questa è una premessa che userei come cappello introduttivo per ogni mio post o scritto sulla nostra vicenda di contemporanei. Tutte le informazioni, mai come in questa nostra epoca sono filtrate e fondamentalmente soporifere.

Ho letto il commento virgolettato e in corsivo su FB, e chi lo ha scritto è un giornalista, un bravo giornalista di una testata locale, ma io da un giornalista mi aspetterei un giornalismo di inchiesta, qualcosa che andasse a frugare e sviscerare quelle che fa comodo tacere, quelle verità di cui si sente parlare ma che poi in qualche modo bisognerebbe appunto verificare.  Purtroppo così non è in Italia, dove chi fa questa professione o si limita a trascrivere ciò che viene loro detto, diventandone cassa di risonanza, o addirittura si scrive il contrario della verità. Naturalmente con è il caso dell’amico del post che, faticosamente, è un bravo giornalista.
Dunque  ho appreso che i comuni costieri e Castellammare si sarebbero autotassati di circa 15mila euro ciascuno per far fronte ai lavori di ripristino delle gallerie di Varano e di Privati, ovvero 105mila euro circa. Domande: a chi sono andati questi soldi? Chi ha eseguito i lavori per la rimessa in funzione delle due gallerie? Li ha forse presi l’ ANAS? Ma l’ANAS non è in parte responsabile dell’accaduto? Non sapevano i suoi ingegneri del rivo tombato? E che i corsi d’acqua non andrebbero mai coperti perché prima o poi l’acqua si riprenderà la sua strada? E non sapevano i funzionari comunali di Castellammare che le tubature che hanno detto ostruite del rivo Calcarella da una strozzatura erano invece piene di materiale di una discarica nelle vicinanze e anche piene di materiale di risulta perché nelle immediate vicinanze si sarebbe dovuta edificare una costruzione?
Sono domande sulle quali voglio sperare stia facendo chiarezza la Procura della Repubblica. Ecco, dovrebbero essere queste le domande che dovrebbero rimbalzare su tutti i giornali e telegiornali del nostro paese, e, la mia opinione è che dovrebbero essere solo domande retoriche perché nei fatti sappiamo chi ostruiva il rivo Calcarella con il materiale di risulta, e sappiamo pure chi non lo puliva, e sappiamo pure chi lo ha tombato, come sappiamo anche chi ha sbagliato i calcoli d’altezza della galleria di Seiano, per cui gli autocarri superiori ad un certo tonnellaggio e con materiali infiammabili devono passare per il centro di Vico.
Ecco, noi sappiamo tutte queste cose ma facciamo finta di non saperlo,e i giornali locali e non e i telegiornali locali e non parlano d’altro e noi affidiamo tutto alla magistratura, già pesantemente oberata da una mole immensa di inchieste, perché in Italia, specie al Sud è così che si fa. Si aprono inchieste su quelli che sarebbero reati ambientali, laddove dell’ambiente non frega a nessuno, ragion per cui, si fa passare tempo, eppoi si fanno lavori che il più delle volte risultano inutili perché nessuno ne controlla l’esecuzione, così si potranno rifare un’altra volta e poi ancora e poi di nuovo ancora, così si pagano e foraggiano imprese di amici degli amici. Nel frattempo, nel paese Italia e qui da noi nel sud di una cosiddetta turistica zona sorrentina, si chiudono due  gallerie che sono l’unica via di accesso più o meno agevolmente percorribile, per raggiungere la penisola sorrentina e si scaraventato centinaia di migliaia di persone in un inferno di traffico urbano alla prima pioggia. Già,è così che ora succede, dopo l’allagamento della prima galleria e dopo aver “scoperto” che il rivo Calacarella esondava perché ostruito, nella galleria facendolo diventare un nero Stige sotterraneo per la gioia di migliaia di pantegane impazzite.
Si perché alla prima “ allerta meteo “, perché oggi le piogge e le nevicate di quelli che fino a qualche anno fa erano normali fenomeni atmosferici di stagione, si chiamano allerte meteo, e poi ci sono gli stati di emergenza e poi le protezioni civili, tutte cose di cui la mia generazione ha fatto a meno, come anche quelle precedenti .
Invece oggi si sente parlare solo di questo in apertura di telegiornali e, se per fortuna o sfortuna d’inverno non abbiamo la neve, che è normale pure quella parliamo in apertura di tg, di quella in Pensylvania, così siamo inondati di scenari apocalittici, di inondazioni nelle Filippine durante i monsoni, di neve sulla costa est degli Stati Uniti a dicembre e gennaio, cioè di cose che sono sempre accadute.
 Allora ecco scattare le emergenze meteo nazionali, gli stati di emergenza e, udite udite la famigerate “bombe d’acqua”, poi subito dopo arriva l’influenza che ha fatto due morti ( due) in Germania e in Italia un milione di persone ( su sessanta milioni) in prevalenza bambini, ovvero una cosa normale pure questa ma descritta come qualcosa di catastrofico: ma di cosa parlerebbero mai altrimenti altrimenti i tg?
Certo nessun telegiornale o giornale, se si eccettuano pochissimi programmi tematici,  ci parlerà  della rapina ambientale fatta da delinquenti spesso in giacca e cravatta che ormai stanno in uffici di enti, in amministrazioni pubbliche che provocano, alimentano e gestiscono questo stato di cose.
In questo modo, con quello che succede, il  nostro territorio, così com’è, è la degna rappresentazione di ciò che siamo, ovvero: la più plateale manifestazione del connubio diabolico di affari, politica e corruzione e di anni e anni di silenzi e connivenze colpevoli.
Ecco perché le due gallerie oggi su chiudono alla prima pioggia invernale, ma mai che qualcuno facesse i nomi e cognomi dei responsabili di tutto questo.


sabato 23 dicembre 2017

ENNESIMA VIOLENZA A UN TERRITORIO MARTORIATO. CHI DOVREBBE TUTELARE IL TERRITORIO RINTRACCI I RESPONSABILI E FORNISCA RAGIONI AMMETTENDO CHE POSSANO ESSERCENE







La violenza che si sta esercitando sul territorio di Vico Equense, sembra diventare sempre più virulenta e più cattiva, gratuitamente cattiva. Il consumo di suolo, e la distruzione del verde in aree di valenza paesaggistica sembra ormai aver raggiunto livelli parossistici non più sostenibili. Quello che potete vedere in queste foto è stato fatto nel giro di qualche giorno, in una zona di lussureggiante vegetazione, ma anche in una zona ad altissimo rischio idrogeologico R3. Le foto satellitari di Google heart, mostrano com’era la zona prima, mentre le altre mostrano lo scempio inconsulto e non ancora comprensibile  poiché non se ne conoscono ancora né gli autori, né le finalità. Di fronte a quello che  dal ponte dell’EAV di Seiano apparentemente sembrava una frana o un grosso smottamento, non ci sono parole che possano commentare quello che si vede. Un territorio barbaramente trucidato, da chi nella sua grossolana e crassa ignoranza e avidità, sicuramente intende lucrare su quel terreno una volta ricco di ulivi, lecci e macchia mediterranea. Come è stato possibile fare tutto questo? Come è possibile che nessuno sia intervenuto? Hanno forse ottenuto autorizzazione per fare questo e chi l’avrebbe mai concessa, ammettendo che ci sia autorizzazione e per cosa, per quello  che si configura essere un  autentico  reato ambientale nonché disastro annunciato, poiché quella zona gravita nel perimetro di zona R3, ovvero di grande rischio idrogeologico, mentre pochi metri più sopra vi si snoda il Corso Filangieri? La verità tristissima e drammatica che ne viene fuori è che  Il territorio è nelle mani di vandali, temendo però, che nel dire questo si offenda l’antico popolo: gente senza scrupoli che appena può distrugge alberi per edificare o cementificare  con complici connivenze di chi invece il territorio dovrebbe tutelarlo e proteggerlo. Gli ambientalisti –pochi – che denunciano questi delitti vengono descritti nel migliore dei casi  come invasati radicali, nel peggiore, come rompicoglioni, che si oppongono al turismo e all’afflusso di soldi e alle attività commerciali, ma qui, quella ferita, come già tante altre, per una zona di Vico Equense che gravita sulla pianura del  Rivo d’Arco orrendamente stravisata sembrerebbe la goccia che fa traboccare il vaso: a cosa può servire quello sbancamento con una pendenza simile? Sembra improbabile una strada o qualsiasi altra cosa. Un parcheggio? Una costruzione?. A nulla vale il richiamo dell’Unione Europea: siamo i peggiori, gli ultimi nella lista rispetto alla salvaguardia e alla conservazione delle aree di verde e delle coste. Noi ambientalisti faremo ancora una volta il nostro dovere, denunciando agli enti preposti affinché sia fatta chiarezza su questo ennesimo delitto, su questa ennesima ferita inferta al territorio per amore dei soldi, per lucrare sulla terra, per fare ancora una volta affari alla faccia di piani territoriali e normative  non rispettate col consumo di suolo, con l’aiuto di uomini senza scrupoli, con bassissima cultura e di grossolana stazza morale e non. Verso questi, poiché le denunce non ci restituiranno più quel verde mutilato e distrutto tutto quello che loro si può augurare è una sorta di anatema, una maledizione, perché chi continua a fare del male al territorio non può pensare di farla sempre franca e di restare impunito. E allora, che possano fare la stessa fine di quelle piante: essere tranciati brutalmente e finire a rinsecchire nella terra, ammonticchiati. Chi specula sul territorio non rispettando leggi è divieti non può non finire altrimenti. Salvatore Settis in molti suoi interventi  ha denunciato il consumo selvaggio del territorio e la distruzione delle coste e del paesaggio, oggi queste foto ci dicono che non possiamo più fare finta di non vedere. Ci dicono che noi sappiamo chi sono i colpevoli, li conosciamo uno per uno, ma non abbiamo le prove per denunciarli personalmente, e allora ci rivolgiamo a chi le leggi dovrebbe farle rispettare nella speranza di far pagare i colpevoli in un paese nel quale natura, paesaggio, verde non rappresentano un valore in sé ma solo un tornaconto per fare affari.  

martedì 19 dicembre 2017

la crescita e l’insurrezione dei linguaggi assoggettati


Resto comunque perplesso, oggi, dinanzi a cotanta lettura. Rileggendolo ormai istintivamente attraverso lo sguardo foucaultiano, viene da chiedersi se sia possibile sfuggire agli apparati che negano il linguaggio... O se forse non sia proprio il dispositivo del linguaggio ad averci condotto fin qui”.


E’ il commento che è stato fatto alla mia letterina filosofica dal titolo “ E’ il pensiero che compie e non il fare”. Naturalmente è un commento molto pertinente che fa un riferimento filosofico ben preciso e sarò lieto di rispondere. Per mia scelta, in rete cerco di utilizzare una forma espressiva più “accessibile” e, in questo caso, proprio perché l’oggetto è il linguaggio potrebbe sembrare che proprio per quello che ho scritto nella “letterina” precedente, io mi starei contraddicendo perché utilizzerei una forma semplice per la risposta. In realtà non è così. E’ proprio attraverso “lo sguardo foucoultiano”, che noi dovremmo usare il linguaggio e non per sfuggire agli apparati ( tecnologici, ideologici, politici o economici), ma per opporvi una resistenza ragionata, pensata, “agita”, per usare il termine heideggeriano. Il potere foucoultiano, diverso dal Moloch dei francofortesi per esempio, per sua natura parla ogni linguaggio, perché il potere per Foucault è fondamentalmente relazione[1]. Non esiste in sé ma solo nei linguaggi che esso fa parlare, ovvero nelle relazioni che istituisce, va da sé che un linguaggio che chiamerò per comodità  “di resistenza” sarà certamente diverso dal linguaggio degli apparati, nella misura in cui esso riesce ad agire veramente un pensiero articolato e concettualmente complesso, ovvero, non banale, non artificiale, non semplicemente tecnico, perché il potere in realtà non esiste, ma esiste invece tutta, più o meno organizzata piramidalmente, serie di relazioni che interagiscono, quindi è sempre presente ma nello stesso tempo costituisce o determina pure ciò che si tenta di opporgli, ma, culturalmente, con un senso completamente diversificato, con questo voglio dire che allora è necessario avanzare verso un’analitica dei linguaggi, piuttosto che verso una “teoria del potere”, perché la tua riflessione sembrerebbe andare in quella direzione; e cosa dovrebbe rappresentare o verificare questa analitica? Anzitutto una serie di negazioni, ovvero cosa non dovrebbe essere il potere ( per la precisione Foucault dice cosa non è ): il potere non dovrebbe essere un insieme di istituzioni, non dovrebbe essere un particolare tipo di assoggettamento o di dominazione, non dovrebbe essere una struttura ( carceraria, manicomiale, sanitaria), né una potenza economica o politica, né un sistema che produce informazione. Il vero potere invece si produce in ogni istante, in ogni punto in ogni relazione fra un punto e un altro, esso viene da ogni parte laddove si riattivano dei “dispositivi” di saperi locali. E’ questa liberazione dei saperi locali e la riscoperta meticolosa delle lotte e degli scontri, la “crescita e l’insurrezione di   linguaggi assoggettati”[2] che potrà agire contro l’effetto inibitore delle teorie totalitarie globali, contro  quei saperi confezionati che non definiscono relazioni ma solo soggezioni o- come dice lui- assoggettamenti, in questo modo, si creerà un nuovo potere, ovvero la capacità di attivare dei processi relazionali: è in pratica quello che è successo negli anni ’70: dei saperi liberati, hanno creato nuove istanze linguistiche che sono sfociate nelle lotte per i diritti dei carcerati, per l’abolizione dei manicomi, per l’affermazione dei diritti dei neri, degli  omosessuali, per quelli delle donne e oggi per la salvezza della natura e per il nostro ambiente o, per la conquista di un’identità linguistica diversa da quella proposta dai media o dalla tecnologia. Oggi la vera battaglia è unicamente questa ovvero: quella dei saperi locali contro gli effetti di potere del discorso globale riplobematizzando una serie di discorsi che apparentemente sembrano già conclusi e completi, ma che in realtà assoggettano creando dipendenza, ma soprattutto – ed è quello che sostengo da tempo – aprire all’interno di questi discorsi delle faglie, dei punti di rottura che producano lo scontro e dunque la nascita di un nuovo potere più consapevole di chi invece crede passivamente di non averne più. E’ la messa in pratica dei linguaggi della trasversalità: trasversali al linguaggio dei media, della politica, dell’economia, della morale che possano ridare dignità al silenzio rabbiosamente estraneo di chi è stato reso ed è tuttora muto.





[1] Michel Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli, 1978,p.84;
[2] Michel Foucault, Microfisica del potere,Einaudi, 1979,pp139 e segg;

domenica 17 dicembre 2017

LETTERINA FILOSOFICA DOMENICALE: E' il pensiero che compie, non il fare.


"Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo domi­nio della tecnica. Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è affatto preparato a questo radicale mu­tamento del mondo.  Di gran lunga più inquietante è che non sia­mo ancora capaci di raggiungere, attraver­so un pensiero meditante, un confronto ade­guato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca”,
 
M. HEIDEGGER, L’abbandono (1959), p. 36


Noi non pensiamo  ancora in modo abbastanza decisivo, anzi forse ormai non pensiamo proprio più a ciò che dovrebbe essere l’essenza, il nucleo costitutivo dell’agire o più semplicemente del fare. Ho sentito spesso un imprenditore sostenere che l’importante è fare, non perdiamo tempo a pensare, sono frasi che la televisione, ma anche i social media propagandano massivamente ogni giorno . Ecco: questa è la deriva contemporanea di ciò che già – Heidegger definiva l’essenza dell’agire. Oggi si ritiene che il fare sia solo il produrre degli effetti, i più immediati possibili, la cui realtà viene valutata in base alla loro utilità. Possiamo dire purtroppo, che tutto oggi, dall’economico al politico,  si muove in questa direzione, ma non è così, la verità è, o meglio dovrebbe essere un’altra. Questo è uno scacco troppo forte al pensiero speculativo al pensiero che dovrebbe determinare le azioni e il fare stesso. L’essenza del fare, dell’agire, come già sapevano i Greci, non è ne gli effetti prodotti, ma si manifesta nel “portare a compimento”, ovvero, sviluppare qualcosa nella pienezza della sua essenza. Allora, accompagnare in questo percorso – la pienezza del pensare, significa producere: produrre, ovvero generare, creare dal latino producere, gignere, ferre o dal greco γεννᾶν, φύειν. Allora a questi imprenditori “innovativi”, a questi sedicenti “uomini del fare” , bisognerebbe ricordare che l’agire per l’agire è l’anticamera  di un devastante deserto di miseria pratica, di azioni svuotate di senso, una corsa verso il nulla nella quale, si manifestano solo danni, economici, politici, ambientali, poiché esso è dissociato dalla sua essenza. E’ sempre  il pensiero che “compie” e mai il fare. Ogni nostro operare si dovrebbe poggiare sul pensiero e dunque sul linguaggio che è la sua “casa”. Non è che il pensiero si fa azione solo perché da esso scaturiscono effetti o perché diventa pensiero applicato a qualcosa. No, il pensiero e il pensare agiscono già in quanto tali e lo fanno nel linguaggio. Se ne deduce che se il linguaggio è debole o  povero o trascurato, avremo un producere, un agire, debole, povero o trascurato. Tutto oggi si muove nella direzione di negare il linguaggio e dunque di negare il pensiero a favore di un agire e di un fare fini a se stessi. Ridurre linguaggio e pensiero ai minimi termini è oggi l’imperativo categorico che gli apparati tecnologici e mediatici impongono a tutti. Comprendere e smascherare questo processo è il compito di chi lavora con i bambini e i giovani, se si abdica a questo compito, come ormai accade da più parti significa consegnare il mondo futuro all’assenza definitiva e inesorabile dell’umano.   

venerdì 15 dicembre 2017

Perché per il capitalismo il presepe non è innovazione e come tale va bandito


Sicuramente l’argomento non sembra essere  di particolare rilievo filosofico, ma come si sa- è proprio dalla manipolazione e /o  trasformazione delle piccole cose e del quotidiano che chi detiene il potere attua le più potenti forme di controllo. E’ il caso del presepe, si, proprio il presepe , quello di Eduardo De Filippo di “ Te piace ‘o presepe ? ”  e Lucariello rispondeva con un gesto di diniego della testa “ No, nun me piace ‘o presepe”. Ebbene forse il presepe non piace nemmeno all’ideologia economica capitalistica. Come si sa, il diavolo si nasconde nel dettaglio, e la hegeliana bestia selvatica del mercato, gli spiriti aggressivi e cosiddetti “innovativi” del libero mercato, avrebbero dichiarato guerra al presepe, ma perché mai il capitalismo vincente, dopo la caduta del muro di Berlino dovrebbe accanirsi contro un simbolo della tradizione e della cristianità? Ebbene si può con certezza affermare che in questo accanimento il capitale manifesta apertamente la lotta che esso ha ingaggiato non solo contro la cristianità, ma- come si è già scritto in altri miei post- contro tutte le religioni della trascendenza e contro tutti i simboli nelle quali esse si manifestano ,sul pianeta. Il capitale deve ridurre tutto al piano immanente del mercato, l’ideologia dominante, quella che passa per essere innovativa, sostiene che queste idee marxiane siano idee del secolo scorso, anzi di due secoli fa, ma di fatto , la riduzione di tutto a mercato globale è sotto gli occhi di tutti. Lo scorrimento delle merci senza più norme di tipo morale, etico o religioso  è l’unica realtà potente del nostro tempo, Quindi, il capitale ha dichiarato guerra a tutte le religioni, e non una guerra di religione come l’ideologia mediatica che esso veicola vuol far passare, dove una sola religione l’Islam attenterebbe al sistema di valori dell’occidente: niente è più falso di questa mega menzogna  planetaria.  Mentre la verità è una sola, ovvero il capitale è in guerra contro tutte le religioni della trascendenza, Islam e Cristianesimo in primis, mentre afferma se stesso come una teologia economica che chiede sacrifici e austerità per l’unico valore da difendere: il mercato e, conseguentemente, produttività, merci e denaro, verso i quali dobbiamo praticare tutti ossequiosamente un rito quotidiano : consumo, scambio e impiego della moneta. Il capitalismo allora configura se stesso come l’unico nuovo monoteismo assoluto e immanente  da praticare. Per finire si potrebbe dire che la religione del libero mercato, il monoteismo assoluto e idolatrico dell’economia  con annessa ideologia della disuguaglianza sociale che, come ai tempi di Dickens, viene fatta passare come una calamità naturale o come una sfortuna che ogni singolo si è cercato da sé, si scaglia contro la famiglia come prima cellula della comunità etica come aveva scritto Hegel , al capitale da fastidio ed è di intralcio la comunità etica in senso hegeliano, al capitale interessa solo far trionfare il sistema dei bisogni, una società che si regge solo sull’egoismo dell’accumulazione e sulla “sdivinizzazione”, heideggeriana  di cui la tecnica trionfante è la più plateale delle manifestazioni di dominio.  Ecco allora che questo capitale ha dichiarato guerra al presepe come nucleo iniziale e simbolico della famiglia e riconosce solo  le faraoniche strutture dei centri commerciali, dove trionfano i giganteschi alberi di Natale finti, illuminati e fantasmagorici  e sfavillanti che fanno anche bella mostra di sé in tutte le piazze delle città del pianeta . Nel rifiuto del presepe, simbolicamente, ma neanche poi tanto, si nasconde tutto ciò che si è appena scritto, sia che si è credenti sia che non lo si è . Nei fatti l’intera epoca del comunismo è stata un periodo in cui esisteva la convinzione che fosse possibile prendere decisioni politiche giuste, oggi, l’ideologia del capitale ha spazzato via questo credo agganciandolo solo alle realtà statolatriche, tacendo l’unica verità che andrebbe sempre ricordata, ovvero che in quel momento tutta l’umanità era guidata dal significato della storia, che era storia fatta da uomini. Con la morte del comunismo si verifica in un certo qual modo, la seconda morte di Dio nel territorio della storia, tutto questo ha anche a che fare con la sparizione simbolica del presepe che è nel simbolismo collettivo cristiano, la storia delle storie.