martedì 17 maggio 2016

UN DISASTRO AMBIENTALE ANNUNCIATO SI CONSUMA NELL'INDIFFERENZA DI UNA FAIDA ELETTORALE TRA MEDIOCRI


Sul gran parlare che si sta facendo sulla chiusura del tunnel Seiano-Panoramica, mi verrebbe da dire qualcosa su pezzi generici scritti da giornalisti che si dicono indipendenti, su dichiarazioni generiche rilasciate da pendolari, su dichiarazioni altrettanto generiche rilasciate da albergatori pure loro generici, su video altrettanto generici . Insomma una fiera delle dichiarazioni fatte tanto per fare senza affrontare l’unico vero e serio problema della mega galleria Seiano-Panoramica ovvero: una mega truffa ai danni della collettività, per un’opera durata circa un trentennio, che ha affogato milioni di euro nella sacche dell’ANAS e che produce danni incolmabili alla città di Vico Equense, ma soprattutto una bomba inquinante alle porte della costiera sorrentina di proporzioni inaudite. Io parlerei senza mezzi termini di  strage ambientale, di disastro ambientale relativamente alla salute dei cittadini  per veleni  dispersi nell’ambiente e non solo per lo sfiatatoio  sopra  la località bikini inquietante per la strage della vegetazione  per circa i duecento metri quadrati tutt’intorno per non parlare della  perdita di sorgenti benefiche che si riversavano allo Scraio, fonte naturale di un benessere ormai perduto.  Il tutto per far riversare milioni di auto in una zona che a stento ormai riesce a smaltire quelle che tiene di suo e, mai che si sia fatto il nome di un responsabile ! E oggi  si scopre che i gas prodotti in questo budello di cinque chilometri stanno avvelenando l’ambiente. L’altro giorno a 60 all’ora, con i finestrini chiusi oltre ad una crisi di claustrofobia per il caldo e la mancanza d’ossigeno , avvertivo l’odore acre del monossido di carbonio che comunque entrava in macchina e la visibilità esterna era molto ridotta dal ristagno dei gas, una sensazione che non auguro a nessuno, soprattutto se si blocca il traffico o si rallenta di molto. Ho giurato a me stesso che non prenderò più la galleria. Così oggi apprendiamo che un agronomo che lavora per la Sma Campania spa, una società della Regione Campania che si occupa anche di risanamento ambientale, ha effettuato insieme al comandante della polizia municipale di Vico Equense, Ferdinando De Martino, un sopralluogo nell’area del camino di espulsione aria dal tunnel di Santa Maria di Pozzano, che si trova in località Bikini, lungo la strada Statale 145 Sorrentina.  Io ho visto da vicino quell’area e vi assicuro che quello che si vede non è un bello spettacolo! Le foto scattate nei giorni scorsi hanno mostrato chiaramente piante di ulivo completamente annerite, ma anche un grave inquinamento dell’aria e del suolo. La zona interessata dal danno ha un’estensione di circa 250 metri quadrati. “L’area controllata – è riportato nella relazione – manifestava alla vista un fenomeno di desertificazione con la morte anche delle erbe infestanti. Le piante presentavano, in generale, annerimenti diffusi non dovuti ad agenti biotici ma al deposito dei gas di scarico provenienti dal collettore. In particolare l’annerimento aveva causato danni irreversibili alle piante di lentisco procurandone la morte. Le piante di olivo e carrubo totalmente annerite hanno difficoltà nel foto-sintetizzare e a causa del forte stress da inquinamento ricacciano germogli freschi e verdi che in breve tempo anneriscono anch’essi e muoiono”. Di fronte a tutto ciò si leggono solo idiozie e banalità da giornalisti improvvisati che in maniera generica si guardano bene di affrontare la verità di questa truffa ordita ai danni di un territorio che ormai ha superato ogni limite di sostenibilità, un territorio che non è una località qualsiasi ma la Costiera sorrentina, ovvero un luogo conosciuto in tutto il mondo , dove la pochezza dei suoi amministratori, dei suoi politici, dei suoi imprenditori, ha consentito che fosse rapinato e distrutto. Ora sarebbe forse il caso che di fronte a tutto ciò, ovvero un'opera durata  35 anni e costata 72 milioni e mezzo di euro che gli ambientalisti  non volevano prevedendo già i disastri, si facessero i nomi dei responsabili e la si smettesse di decantarne i vantaggi che obbiettivamente non si riscontrano anzi, stanno esplodendo mefitici e venefici danni per uomini e ambiente. Quando fu aperta il 16 luglio del 2014 c’erano Ciucci e il capo compartimento di Anas Campania Eugenio Gebbia, il presidente della Regione Stefano Caldoro, il prefetto Francesco Musolino, l'assessore regionale Edoardo Cosenza, il presidente della Provincia Antonio Pentangelo, il sindaco di Castellammare di Stabia, Nicola Cuomo, e quello di Vico Equense, Gennaro Cinque e allora oggi più che mai questa persone dovrebbero essere chiamate e sentite in merito a questo che si può senza tema di errore definire un vero e proprio  disastro ambientale alla vigilia di discutibili elezioni amministrative per la città di Vico Equense. Sia chiamata in causa l’ANAS subito e i suoi dirigenti. Alla luce di questo disastro ambientale il professionista conclude la sua relazione prevedendo che “l’area interessata dall’inquinamento sarà destinata ad aumentare. Pertanto si consiglia di fare interventi celeri di ripristino delle condizioni naturali, al fine di salvaguardare essenze arboree e arbustive della macchia mediterranea. I VAS  sollecitano i mezzi di informazione a portare il caso sui media nazionali per il valore del territorio e della località in cui si è prodotto questo disastro: l’anno scorso il mare, oggi i gas venefici di un budello lungo 5 chilometri  i cui risultati sono visibili tutti sopra la località bikini.
FRANCO CUOMO COORDINATORE CIRCOLO VAS “GIOVANNI ESPOSITO”

VICO EQUENSE

mercoledì 4 maggio 2016

Banalità del presente e crisi della democrazia

Mario Monti

Per definire il senso di rassegnata impotenza che attanaglia oggi quei cittadini della mia generazione che un tempo si occupavano di politica o la facevano attivamente in partiti operai, bisogna partire credo, da ciò che si definisce globalizzazione. Nel 2002 scrissi un libro per Franco Di Mauro Editore, con una prefazione di Aldo Masullo, che si chiamava Etica e Globalizzazione, in quel libro si parlava di crisi dell’etica e della comparsa di morali separate, morali diremmo oggi deontologiche. A distanza di quattordici anni, non avrei mai pensato che, quel termine che allora cominciava a fare la sua timida apparizione, travalicasse  i confini dell’economico – dove era nato ( globalizzazione dei mercati) – e estendendosi pienamente al politico mettesse in crisi l’idea stessa di democrazia parlamentare e l’autorità degli Stati Nazione. La globalizzazione sembra ormai essere diventato un processo integrale irreversibile. Integrale nel senso che è diventata la forma – non soltanto economica o tecnologica , ma anche logica e ontologica del mondo: quello che sta avvenendo in Italia, sta avvenendo anche in altre nazioni europee e la percezione di questa mutazione da noi si è cominciata ad avvertire col primo governo Monti, fino a arrivare a quello attuale di Renzi, governi che sono entrati in carica senza che i cittadini fossero chiamati a esprimere il voto sugli stessi e che stanno tentando di trasformare in senso autoritario e dirigistico la democrazia rappresentativa, ovvero: stanno trasferendo i destini dello Stato Nazione nell’egida di ciò che Toni Negri – non senza molte ragioni- definisce l’Impero: “L'Impero emerge al crepuscolo della sovranità europea. Al contrario dell'imperialismo, l'impero non stabilisce alcun centro di potere e non poggia su confini e barriere fisse. Si tratta di un apparato di potere decentrato e deterritorializzante che progressivamente incorpora l'intero spazio mondiale all'interno delle sue frontiere aperte e in continua espansione. L'Impero amministra delle identità ibride, delle gerarchie flessibili e degli scambi plurali modulando reti di comando. I singoli colori nazionali della carta imperialista del mondo sono stati mescolati in un arcobaleno globale e imperiale[1]. Questo nuovo assetto disegna una nuova geografia del potere: dal sistema di produzione fordista, meccanico e serializzato, siamo passati a un’economia biopolitica, che lavora e manipola la vita sociale nei suoi meccanismi d’interazione, comunicazione e affettività; dalla centralità degli stati- nazione a una forma di sovranità globale, senza centro né confini, che giustifica ogni suo intervento consacrandolo in nome di una pace perpetua e universale che però è concepita e imposta sempre e solo dai dominatori. Allora, la crisi di cui parlavo all’inizio, la crisi di tutti quei cittadini della mia generazione che un tempo si occupavano di politica e in qualche modo tentavano di governare anche opponendosi i processi socio economici, fa i conti con questo nuovo tipo di dominio e contro questa forma di dominio sempre più assoluta si dovrebbe tentare di costituire o organizzare poteri alternativi, forze di resistenza. Il compito è arduo se non impossibile: troppe forze sono in gioco e ciò che all’inizio ho chiamato “ forma logica e ontologica del mondo”, si connota essere come la forma stessa del linguaggio e del pensiero. Intanto, chi oggi crede di far politica si muove all’interno di questo universo con modalità espressive che sono identiche o variano di pochissimo sia che si tratti di  conservatrici sia se si tratta di progressiste, l’utilizzo di programmi omologati agli interessi dell’unico sistema possibile di dominio fa si che l’agone politico diventi solo un paravento che serve a mascherare l’avvenuto insediamento di un controllo sovranazionale. Tutti quelli che non si conformano a questa ontologia sono ritenuti pericolosi, sovversivi, criminali o pazzi che attentano alla “democrazia paravento” la cui unica finalità è quella di controllo sociale, se non apertamente di dominio.  Non vorrei essere pedante, ma che questo sia un processo integrale e irreversibile è provato dal fatto che anche quelle che potrebbero sembrare le forme di resistenza più virulenta ad esso, si muovono all’interno delle sue stesse coordinate adoperando il suo stesso linguaggio e fanno uso delle stesse armi ideologiche e reali che pure contestano. La circostanza che formazioni come l’ISIS, il califfato di   al-Baghdadi, non solo traggano le proprie risorse da giri finanziari interni all’Occidente, ma siano stati finanziati ed armati dagli stessi americani  indica che bisogna guardare allo scontro in atto non come un conflitto tra sistema e anti sistema, ma come un conflitto tutto interno al/e prodotto dall’unico sistema- mondo e questo vale soprattutto sul piano dell’immagine. Non esistono due rappresentazioni diverse e alternative, ma una lotta per l’egemonia nell’unico orizzonte rappresentativo possibile: quello mediatico. Ora, se tutto ciò è vero, vuol dire che è insensato delineare scenari politici, economici, antropologici alternativi a questa forma globale che ha assunto il mondo. Questo non soltanto per il loro carattere in effettuale, utopico e residuale, ma anche perché le forme di neolocalismo identitario sono esse stesse il risultato speculare della medesima globalizzazione che vorrebbero contrastare. Rispetto a questo universo chiuso, la democrazia rappresentativa diventa solo una formuletta per garantire lo status quo al dominio sovranazionale mondiale: saltano le rappresentazioni mitopoietica della democrazia antica, quella greca per intenderci, ma saltano anche quelle della democrazia moderna e le sue degenerazioni, quali oligarchia e tirannide. La morale della favola è chiara: avere a lungo rifiutato di governare i processi economici (in omaggio all’ideologia della sua naturale autonomia, ovvero della “naturalità” del mercato), avere lasciato briglie sciolte agli «spiriti animali» del capitalismo, distruttori della coesione sociale, costringe alla fine ad approdare all’estremo opposto: non soltanto al governo sociale-politico dell’economia, ma all’adozione di politiche totalitarie, liberticide e criminali.  La cosa più grave, è che questa aberrazione concettuale ha contagiato anche quelle forze che fino agli anni ’70 avevano garantito una resistenza a questo sistema unico che cresceva e spazzava via  la solidarietà sociale. Se ascolto un giovane - e per me la categoria va dai 15 ai 40 anni-  non posso non constatare che essi diano per naturale l’ordine di cose esistente. Grosse responsabilità sono da attribuirsi alle classi dirigenti che governavano quelle forze, penso alla classe dirigente post –Berlingueriana nel PCI, ma anche a quelle laburiste inglesi  e alle politiche di Blair. È stato scritto di recente a questo riguardo che in tutta Europa la maggior parte delle sinistre ha rassegnato le «dimissioni dalla propria funzione critica»[2] e che «gli avvocati» che rappresentavano la parte più vulnerabile e meno protetta della società non solo «si sono mostrati incapaci di giocare d’anticipo» rispetto all’offensiva neoliberista, ma hanno altresì deciso di smantellare gli «impegnativi apparati di mobilitazione» (i grandi partiti socialisti e comunisti) al fine di rafforzare «la divisione del lavoro tra rappresentanti e rappresentati» e di riservare a sé (gli addetti ai lavori della mediazione tra interessi) «il monopolio della politica» (lasciando al popolo «la cura degli affari e dei piaceri privati» Ad ogni modo, vero o falso che sia questo severo resoconto, sta di fatto che oggi in Italia ci ritroviamo in un frangente della vita del paese non soltanto avvilente ma anche assai rischioso. Dinanzi a chi non opti per il diniego della realtà (come sembra fare talvolta un ceto politico ossessionato dagli imperativi dell’autoconservazione e forse anche per questo intenzionato a varare ambiziose riforme costituzionali, la cui portata urterebbe con una fragile legittimazione) si stende uno scenario allarmante, l’immagine di un paese allo sbando, che sa di non potersi fermare ma ignora la direzione da intraprendere. In termini di classe, il discorso pubblico è tuttora – ovviamente – monopolizzato dalle forze dominanti, nonostante i disastri provocati dal liberismo. E indiscutibilmente pesano, in questo scenario, anche le gravi responsabilità dei media che pressoché unanimemente rappresentano la crisi della democrazia sotto un’angolatura che ne impedisce qualsiasi lettura critica. Naturalmente è vero che i processi di mutamento storico-concettuali non sono mai lineari, ma forse mai come oggi si richiede uno sforzo preminentemente  filosofico improntato ad una radicalità estrema che ridicolizzi e polverizzi i linguaggi mediocri e asfittici che parlano e praticano i politici contemporanei.





[1] Toni Negri, Impero.Il nuovo ordine della globalizzazione, BUR, 2002
[2] Luciano Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe, cit., p. 57.