martedì 12 febbraio 2013

Dimissioni di un Papa ovvero: crisi ontologica del potere in Occidente



Si possono leggere le dimissioni di Papa Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger, come il vacillamento ontologico del potere in occidente? Ovvero si può pensare che il discorso sull’essere connesso alla rappresentazione di potere e di autorità sia ormai caduto in una crisi profonda? Quando alle 12 di ieri si è diffusa la notizia delle dimissioni del Papa, inizialmente ho pensato ad una bufala mediatica, uno scherzo di carnevale, poi però, dopo averne accertato la fondatezza e dopo aver considerato anche la mediocre reazione dei media: tutti, sapevano già tutto, tutti si aspettavano già tutto, ma io ho cominciato a considerare il fatto sotto una angolazione diversa. La diafana fragilità femminea di questo Papa, la sua rivalutazione della ridondanza e ricchezza vestiaria, il suo attaccarsi alla tradizione più retriva della Chiesa, come l’aggrapparsi ad uno scoglio me lo hanno rapportato ad un imperatore della decadenza, anzi all’imbelle imperatore bambino della decadenza deposto da Odoacre nel 476 d.c.: Romolo Augustolo. Un Papa di un trapasso epocale, in un occidente heideggeriano  (Abendland), dove l’essere declina, tramonta e con esso declinano e tramontano i concetti di autorità e di potere, così come si erano manifestati fino ad ora, senza guardare indietro, considerando l’Occidente appunto come l’Abendland, etimologicamente la terra del tramonto, del tramonto dell’essere, in questo caso come la terra del tramonto del potere e delle sue forme, là dove, da altre parti del mondo si fanno avanti altre tradizioni. Da Platone che ha avviato l’inizio della metafisica occidentale caratterizzata da un succedersi di assoluti: Dio, la morale, la ragione, la verità, la scienza, lo Stato l’itinerario sembra chiudersi definitivamente con le dimissioni di un Papa, di questo Papa, nel 2013, in un momento in cui la fragile democrazia parlamentare si prepara a nuove elezioni in cui bande e confraternite rivali, senza essere portatrici di valori, ma solo di interessi, si contendono simulacri vuoti dove prevalgono solo obiettivi legati  alla propria mediocre sopravvivenza: non ci sono più progetti, non ci sono più idealità aggreganti. La mediocrità “politica” nella quale siamo immersi ha il merito di averci fatto capire - in molti sensi, sulla nostra pelle - che l’oggettivismo metafisico, oggi declinato soprattutto come potere di scienza e tecnologia, non è altro che la forma più aggiornata - e più sfuggente - del dominio di classi egemoni o di gruppi e individui. Neutralizzazione e crollo dell’autorità declinata in ogni sua rappresentazione e potere degli esperti tecnici di ogni tipo sono ormai la stessa cosa. È l’esperienza che, anche nel piccolo orizzonte della società italiana, facciamo quando vediamo la scomparsa delle differenze tra gruppi e bande “politiche”, nelle quali si è dissolta anche la vecchia nozione di partitocome organizzatore di interessi di classe e nelle quali si frantuma anche la nozione gramsciana di partito quale novello“principe”. Una scomparsa che del resto è generale, almeno nel mondo occidentale della razionalità capitalistica, per quanto quest’ultima sia sempre più visibilmente irrazionale e manifesti senza alcun pudore la sua essenza puramente predatoria. Oggi, queste dimissioni, rendono  più chiaro a tutti che il teologo Ratzinger, l’ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha vissuto questi otto anni di suo pontificato come un fardello pesante che ha posto in evidenza tutta la vacuità di un potere senza più fondamento. In questi otto anni ha dovuto affrontare tempeste spaventose in un apparato chiesastico anch’esso travolto da una crisi ontologica epocale, un apparato del quale lui è stato parte integrante: dallo scandalo pedofilia tra i sacerdoti, che lo stesso Ratzinger ha tentato di nascondere,  ai veleni di un Corvo che operava addirittura dal suo appartamento. Una cupa e opprimente cappa di intrighi da corte rinascimentale insostenibile per molti, a cui Ratzinger ha reagito facendosi tetragono e dando risposte, come ha potuto, alle richieste pressanti di rinnovamento, ovvero arroccandosi ad una tradizione assolutistica  e tradizionale che certo non ha giovato all’immagine della Chiesa nel mondo. Ora tutti parlano di un gesto coraggioso che questo Papa avrebbe compiuto; ancora una volta prevale la mediocrità interpretativa dei media, nessuno che fino ad ora abbia osato dire che queste dimissioni sono ciò che realmente esse rappresentano: il fallimento di una risposta assolutistica e l’impotenza di questa risposta di fronte all’insorgere di altre verità e di altre e più fondate richieste di socialità e di diritti che sono portate da altre tradizioni e da più innovative concezioni di autorità e di potere, non per questo meno pericolose da quella che si è appena dissolta. Non vedere questo e continuare a descrivere quanto è accaduto così come si sta facendo, cioè mentendo e nascondendo la testa sotto terra è l’ennesima manifestazione di una mediocrità interpretativa che ci allontana dal resto del mondo. Bisognerebbe parlare e commentare il carattere esclusivo dei sistemi simbolici e di ciò che essi dovrebbero spiegare ovvero quello che altrimenti non può essere detto e questo Papa- nel suo breve pontificato- si è nutrito pantagruelicamente di apparati simbolici attraverso i quali ha tentato di fornire una propria immagine di sé assoluta. Un’immagine che però si è presto sbiadita sotto l’insorgenza di una crisi . Ha ragione Marco Damilano di “L’Espresso” a sostenere che il Papa rappresenta il potere dell’Occidente: “anche per i laici il gesto di Ratzinger rappresenterebbe una notizia sconvolgente in quanto “il balcone vuoto non riguarda solo i credenti e la figura del Papa è fondamento di leadership”. Nel fare quest’affermazione,Damilano è stato l’unico che abbia colto il nesso tra questa figura simbolica il concetto di auctoritas, e il suo frantumarsi. Di contro, la risposta ovvia di tutti gli altri e la retorica del beau geste in un momento in cui sul piano interpersonale le asimmetrie sociali tra chi ha e chi non ha, illividisce e inasprisce i rapporti, li condiziona nelle sudditanze psicologiche li annichilisce. Questo gesto, dovrebbe essere piuttosto letto come la metafora di un fallimento collettivo: la mancanza di lavoro, lo sciacallaggio di bande “politiche”, la mediocrità dei governanti e dei governati ovvero la "precarietà/invisibilità ontologica" che ormai senza appello riguarda tutta la società italiana. Un Papa che si dimette non è un avvenimento usuale, un popolo che smette di sperare, di desiderare, di aspirare, nel lungo periodo è destinato ad implodere, a ripiegarsi. Questa nostra società  oggi  è pericolosamente segnata da una perdurante crisi e da un devastante senso di vuoto: è questo tutto quello che andrebbe visto e descritto nelle dimissioni/fallimento di Benedetto XVI .

Franco Cuomo

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