martedì 29 gennaio 2013

SUL FONDO DELL’ABISSO





Sul fondo dell'abisso si manifesta l'essenza della poesia (e non solo di questa) e su questo avvicinarsi al fondo dell'abisso si misura il grado di forza, di capacità rischiaratrice della verità, dei poeti (non tutti,  sono rari soltanto quelli che toccano il fondo: nel verso, nella scelta di guardare in faccia alla morte , penso ad Allan Poe al racconto Il Mallstrom oppure a Giorgio Colli). Certo, nelle antologie letterarie non troverete  a questo, nessun accenno, perché i loro compilatori hanno difetto di tragico, di male radicale, di luce e di tenebra; non sanno, non percepiscono nulla...
Si  può essere rivelatori e testimoni  di un tempo che non giustifica nulla – se non solo il suo stesso  scorrere- arrivando così a un momento di fortissima illuminazione,  e che trascrivo in maiuscole: chi più partecipa di questo arcano, più s'iscrive tra pensatori e i poeti:

NELLA NOTTE DEL MONDO, L'ABISSO DEL MONDO DEVE ESSERE SPERIMENTATO E PATITO, E PER QUESTO BISOGNA CHE TALUNI ESSERI AFFACCIANDOSI SULL’ENIGMA  PERCEPISCANO IL  FONDO DELL'ABISSO.

C’è al mondo qualcuno che non abbia avuto, di Altrove e di Assoluto, fame?." (G. Ceronetti, Siamo fragili, spariamo poesia, ed. Qiqajon, Magnano, BI)

L'umanità è ardimentosa e curiosa, ma è specialmente presuntuosa e ignorante. Questo alla fin fine non è del tutto un male - sapere tutto non è saggezza, e certe verità sarebbe più saggio ignorarle. Siamo circondati dai nostri limiti - siamo circondati dal mistero e dall'ignoto pauroso. La scienza, e i suoi derivati, è solo uno degli strumenti per allontanare  dall'uomo la paura dell'ignoto ma la menzogna alla base di questa illusione evidente, come la stessa menzogna è presente nell’inganno della salvezza tramite la  fede, perché la verità è che siamo già tutti salvi.
Si può sfuggirne con la poesia, con la parola che accetta e giustifica l'ignoto e la paura dell'ignoto - e su di essa incide le mappe per una coraggiosa esplorazione di ogni faccia del cosmo.
Un amico mi raccontò che, ateo dalla nascita, a una certa età aveva iniziato a credere in Dio. Gli chiesi perché, se ci fosse una ragione. Lui mi disse che non voleva spiegarlo. Allora capii la sincerità della sua strana conversione, e la sua fondatezza, e la verità che conteneva.
Perché credo che anche nel non dire, nel tacere, ci sia verità, e sapienza. Nel non sapere, paradossalmente, può esserci altrettanto sapere, ma questa è la verità antica ma già moderna di Socrate.

Il nostro linguaggio è limitato solamente ad un metodo di lettura del mondo; ma quali parole possiamo usare per dire ciò che che non è il mondo che vediamo? Quale realtà definibile può spiegare una realtà indefinibile? Quale comunicazione può esserci riguardo a un qualcosa di incomunicabile?

Leggiamo il mondo con la scienza, sulla base di un metodo logico e dalla pretesa oggettività: ma siamo sicuri di voler ignorare ciò che che non possiamo esperire? L'insufficienza che avvertiamo di fronte alle spiegazioni razionali ne è la conferma. Ah! Filosofi, filosofi!!!!! Le  Brihadaranyaka Upanishad erano arrivate a questo prima di voi  senza gli inganni  ai quali ci avete ammansiti. Nessuna determinazione verbale riuscirebbe a renderne la natura: "non così, non così" (neti neti): è l'unica espressione applicabile all'energia cosmica. Chi riflette su tutto questo, scoprirà che Dio abita già nel suo stesso cuore, e capirà di essere già salvo.

Ci affrettiamo dietro alla conoscenza, ma i mezzi che abbiamo non sono adeguati, e dobbiamo attrezzarci con strumenti diversi: il linguaggio, il principale e più naturale che abbiamo, non basta una volta entrati in territori al di là della logica. Per questo a volte è più saggio tacere che dire l'ombra incompiuta di una verità, o rivelare un segreto che può non essere capito.

Per questo ci si dedica all'arte, scrivendo frasi oblique e allusive: per fuggire le strade della comunicazione diretta, sapendo che il suo obiettivo fallirebbe. Con i versi, misteriosi e imprendibili ma capaci di nascondere un bagliore di verità, allora si può istituire una conoscenza.
Una poesia può apparire incomprensibile o insensata: ma dietro alla sua oscurità c'è un'altra e più nuova visione del mondo. Saperla cogliere, al di là della bizzarria questo è ciò che occorre. Perché scrivere in "prosa", scrivere "chiaro", non è altro che scienza.
Chi fa arte, chi fa poesia - sono le api dell'invisibile. Pensate a cosa si attinge  quando si chiudono  gli occhi, quale vivanda si distilla, quele intenso nettare si assapora.
Chi legge come chi scrive non cerca idee nuove, ma pensieri già da altri  pensati, che acquistino nella memoria o sulla pagina un suggello di conferma.


 Credo che almeno una parte di ciò che ho appena detto sia vero. Ma chi potrà mai darmene certezza?

E' più frequente, anziché abbandonarsi a sponde ignote e quasi barbare, vedere riconfermate nella lingua d'un altro le proprie prove, i propri pensieri; e uscire dalla lettura come fortificati.
O cercare, se non pensieri già pensati, almeno chiavi per porte che portavamo dentro, da tanto tempo, senza riuscire ad aprirle.

Un giorno stavo guardando i libri della mia stanza.  Ripensavo alle occasioni che mi avevano portato all'acquisto di uno o dell'altro; pensavo alle volte che li avevo letti, a quello che ci avevo trovato dentro, o a quello che non vi avevo trovato. Li osservavo ordinati sugli scaffali secondo un preciso criterio; se avessi chiuso gli occhi avrei saputo ricostruire perfettamente la loro successione. Ogni settimana, da molti anni, la mia libreria cresce, con lentezza e pazienza, come un albero. Guardando i miei libri e pensando alla storia di ciascuno di loro, al modo in cui li avevo incontrati, mi è venuto in mente che una biblioteca uguale alla mia, con gli stessi libri ordinati allo stesso modo, non ce l'ha nessun altro. Molti avranno letto alcune cose che ho letto io, così come io posseggo molti classici che probabilmente mancano a pochi. Molti libri mi sono stati prestati; altri, che io ho prestato a qualcuno, non mi sono più tornati. Ma i libri che sono lì, su quegli scaffali della mia stanza, sono lì per una scelta precisa, la conseguenza di un gesto o di un pensiero che ogni volta è stato significativo, e che ogni volta ha portato a un altro gesto, o ad altri pensieri. Ma quello stesso numero di volumi, quell'elenco preciso di titoli ce l'ho solo io. Ognuno di noi possiede, grande o piccola, una raccolta di libri, che sia disposta su scaffali, mobili, accatastata per terra o abbandonata in giro per casa, conservata in un salone, in una cameretta, in uno studio, in un solaio. Ma nessuna è uguale a quella di un altro, dovesse differire anche soltanto per un titolo, o per la data di un'edizione, o per l'ordine in cui è conservata. La biblioteca di ognuno di noi è diversa, è speciale, ha un'individualità definita e precisa, cresciuta insieme a quella del suo raccoglitore”.

Da F.Cuomo, " Quell'estate psichedelica del '66". lampi di Stampa, Milano 2006




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