mercoledì 2 gennaio 2013

Considerazioni di un impolitico


Thomas Mann
       
  


Ho recentemente avuto modo di rileggere un libriccino di Thomas Mann, Considerazioni di un impolitico. E’ un saggio del 1918, scritto perciò in uno dei periodi di crisi più acuta del Novecento. In esso lo scrittore tedesco rivendica la libertà interiore da ogni faticoso impegno ideologico, difendendo la fantasia da ogni mortificante imposizione morale, l’indipendenza dell’intimità da ogni intrusione delle parole d’ordine e delle opinioni manipolate. Thomas Mann, però, in questo libro interpreta anche l’estetismo in una chiave assai più seria di quanto non si faccia abitualmente, l’estetismo come antidoto al politico e questa interpretazione la sento oggi più che mai necessaria, nel clangore stultifero delle dichiarazioni di programmi tutti uguali presentati con malcelata indifferenza formale e con sciatta predisposizione al claim pubblicitario. C’è uno spazio dove sempre di più mi rifugio per garantire al mio spirito una sopravvivenza: è lo spazio della letteratura e dell’arte, ma, tenendo bene in mente la lezione di Mann, anche queste due isole non sono isole felici. La vita nell’epoca del nichilismo è malata, continua a dirci lo scrittore, ma ad essere malata è anche l’arte. Ciò che ha avuto inizio come antinomia tra trascendenza estetica e grossolano empirismo politico, tra lo stato malaticcio dello spirito e la prorompente buona salute della vita, si ritrova e si unisce in una armonia infernale. Ciò che si legge oggi sui giornali è diventato per me fastidioso background noise, rumore di fondo, che oltre ad inquinare lo spazio della mia individualità fa rovinare anche la mia estetica, le forme del mio vivere, il mio buon gusto, elementi che costituiscono, a mio avviso, il nerbo di una morale alta o di una più consistente etica dell’impegno. Ritorno ad un mio libro introvabile del 1996, e scusatemi se mi autocito, I simulacri della malinconia, nel quale sostenevo la tesi che l’estetica è la madre dell’etica. Credo che anche l’estetismo manniano  andasse in quella direzione. La realtà ha finito col perpetrare l’oltraggio che lo spirito nella sua pretesa forza creatrice pensava di potersi sentire come sciolto da lei, e invece non è così, anzi avviene esattamente l’opposto. Dunque, se la vita si impone allo spirito, la politica si è imposta umiliando l’arte e la letteratura che si credevano autonome e così purtroppo non è. Allora io coltivo il mio io nell’oscurità del mio spirito, my life in the bush of the ghost, come cantava David Byrne nel 1980, e come lui spingo al massimo la mia richiesta di estetismo come ultimo baluardo alla triviale generalizzazione e volgarizzazione dei fatti della vita, che è stata declassata a cronaca che non è neanche più storia.



da F. Cuomo, Saggio sulla vita offesa, Boopen, 2009































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