Stella Savino
Una cineasta indipendente, con scelte tematiche impegnative ci consegna un
cinema documentaristico su territori scivolosi, impervi, spesso considerati non
raccontabili, non rappresentabili. Stella
Savino sta andando con il suo lavoro e la sua ricerca in questa direzione. Nata
a Napoli nel 1970, si laurea in Letteratura Francese presso la Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli con una
tesi in Letteratura Francese su L.F.Cèline.
Inizia la sua esperienza
professionale nel mondo del documentario prima come assistente alla regia e
assistente di produzione, poi come montatrice. Dopo aver firmato il montaggio
di diversi documentari per Rai3 e RaiSatArte dal 2003 lavora come autore e
regista e collabora con diverse Società di Produzione.
“Amelia Rosselli… e
l’assillo è rima” è distribuito nel volume La
furia dei venti contrari, edito dalla casa editrice fiorentina Le
Lettere.
“Il caso Rosselli, un
delitto di regime”, patrocinato dalla Presidenza della
Repubblica, e prodotto da DocLab e Fox - History Channel, in collaborazione con
Rai3, è distribuito dall’Istituto Luce.
L’ultimo suo lavoro che
qui si presenta attraverso questa intervista è “ADHD Rush Hour” il suo
primo lungometraggio, sceneggiatura Finalista al Premio Solinas. Conosco Stella
Savino fin da quando era bambina, mi lega a lei l’affetto di averla vista crescere
e la condivisione di un impegno culturale e civile insieme a valori che stanno
sparendo da questo paese. Questa intervista vuole in qualche modo, attraverso questo blog, contribuire a
farne conoscere ed apprezzarne il lavoro e lo stile.
_____________________________________________________________________
(f.c.) Devo dire che prima di leggere gli articoli relativi al
tuo film ignoravo che esistesse una sindrome che si chiamasse Adhd (Attention
Deficit Hyperactivity Disorder), un disturbo che afferirebbe i bambini e si
manifesterebbe in un ipercinetismo che ne comprometterebbe le capacità di
attenzione. Intanto, perché la scelta di questo argomento?
(s.s.) Era il 2008 quando in Campania, in
seguito ad un’inchiesta del Corriere del Mezzogiorno, scoppiò una protesta
contro le Linee Guida del Ministero della Salute che intendevano reintegrare il
Ritalin bandito qualche anno prima.
Si
trattava di una questione molto delicata che riguardava essenzialmente la
possibilità di somministrazione di Psicofarmaci su bambini definiti iperattivi.
Con
una levata di scudi, alcune Istituzioni tra cui il Dipartimento di Salute
Mentale della ASL Napoli 1 e il decano della Psichiatria napoletana Sergio Piro
(oggi purtroppo scomparso) presero posizione criticando nettamente i nuovi
Protocolli del Ministero.
Tutto
questo si espresse concretamente in una serie di incontri sul Tema, organizzati
dal Centro Shen di Napoli, un punto di riferimento in città per il Diritto alla
Salute e alla Libertà di Cura.
Incuriosita
da questi incontri e dalla loro intensità feci una rapida ricerca in Internet
semplicemente digitando l’acronimo ADHD (Attention Deficit Hyperactivity
Desorder) e ciò che subito mi sconvolse furono quei dati allarmanti e quelle
migliaia di storie che galleggiavano nel web su di un Tema così delicato e di
cui io non avevo mai sentito parlare. Questa fu, da subito, spinta
sufficientemente stimolante per decidere di approfondire e immaginare di farne
un film documentario.
(f.c.) Personalmente sono sempre un poco perplesso circa
l’incasellare in tipologie psicopatologiche i comportamenti umani, senza per
questo voler negare l’evidenza di un disturbo o disagio caratteriale, se poi
questo disturbo colpisce un bambino, la cosa per me diventa ancora meno
comprensibile. I bambini per loro natura sono vivaci ed iperattivi, come si
distingue una personalità “nella norma “ di un bambino e quella affetta da
Adhd?
(s.s.) È proprio questa la domanda che percorre e attraversa il
mio racconto. La maggior parte dei bambini è iperattivo per natura eppure è
perfettamente normale. Così come molti bambini sono disattenti eppure questo
non significa che siano malati. E allora dov’è che tracciamo la linea di
demarcazione tra ciò che è normale e ciò che non lo è? E soprattutto con quali
criteri diagnostici lo facciamo? E chi sono le persone chiamate ad assolvere a
questo difficilissimo compito? Sono libere o sono legate agli interessi
economici delle case farmaceutiche? Queste sono solo alcune delle domande che
mi sono posta nel corso di questo lavoro, lungo e difficilissimo.
ADHD
sta per Attention Deficit Hiperactivity Disorder, ed è considerato da molti una anormalità neuro-chimica geneticamente determinata.
Nel mondo ci sono circa 11 milioni di bambini che sono
stati diagnosticati ADHD e poi sottoposti a cura farmacologica. La maggior
parte di questi si trova negli Stati Uniti, dove la percentuale arriva e, in
alcuni Stati, addirittura supera il 10%.
Negli Stati Uniti, dove viene consumato circa l’80% della
produzione mondiale di psicofarmaci, l’ADHD è stato diagnosticato anche nei
bambini di un anno e per questo l’ONU ha invitato le Nazioni a valutarne la possibile
sovrastima e a frenare l’uso eccessivo del Metilfenidato (Ritalin).
In altri Paesi, come ad esempio l’Italia, la soglia
scende incredibilmente sotto l’1%. Come questo sia possibile è la prima Grande
Questione. E la risposta può a mio parere essere una sola: la rilevazione e la
percezione stessa di questa sindrome è assolutamente assoggettata al sistema
culturale e all’organizzazione sociale in cui viviamo.
Aumenta in maniera esponenziale nei Paesi più sviluppati
e in particolare in quelli Anglosassoni che hanno per esempio un sistema
scolastico che si basa moltissimo sulla competizione e sulla velocità di
risposta agli stimoli, mentre decresce sensibilmente in quei Paesi che hanno
ancora una forte struttura familiare e una maggiore separazione tra il mondo
degli adulti e quello dell’infanzia.
Detto ciò è chiaro che questo dato di tendenza generale
non deve in alcun modo farci illudere di essere al riparo dal problema. Molti
sono, infatti, gli elementi che fanno pensare che presto o tardi raggiungeremo
anche noi quella soglia orribile ma con un ritardo di circa dieci anni.
La seconda Grande Questione riguarda la Diagnosi. Tutto è regolato dal
DSM che è la bibbia della Psichiatria Americana, e non solo. Qui trovano posto
migliaia di malattie e vengono definiti i criteri diagnostici e le terapie
(farmacologiche e non) da seguire.
Nei
volumi del DSM trovava posto anche l’omosessualità, che era catalogata appunto
come malattia mentale. Questo dato, che oggi risulta ai nostri occhi
assolutamente scandaloso, per decenni aveva aiutato la discriminazione e
avallato l’idea che l’omosessualità fosse qualcosa che andava curata anche con
l’elettroshock. Poi, in seguito ai movimenti di liberazione e alle pressioni
delle lobby, nel 1974 improvvisamente e per alzata di mano l’omosessualità come
malattia mentale scomparve dal DSM.
Questo
parallelo che io riporto nel mio documentario e che alcuni hanno trovato
eccessivo è invece estremamente illuminante riguardo la definizione dei criteri
del DSM che ancora oggi regola gli standards diagnostici di tutte le malattie
mentali, tra cui ovviamente anche l’ADHD.
Questo
film vuole essere una riflessione critica più che una denuncia che urli i
fatturati delle Multinazionali del Farmaco o gli scandali continui dell’AIFA.
Io
tendo per indole a non giudicare le scelte delle persone, tanto più di quelle
che ho incontrato e che, con grandissima umanità e generosità, mi hanno aperto
la porta di casa, come le madri dei miei protagonisti, appunto, che partivano
tutte da una sofferenza reale, specifica e comune, provocata soprattutto dalla
solitudine in cui vivevano il problema. Le persone sono lasciate a se stesse,
questo mi interessa molto, abbandonate dalle Istituzioni che dovrebbero
sostenerle e che invece, purtroppo, quasi mai brillano per trasparenza o
intelligenza.
Dunque
non ci sono colpevoli? Sarei una pazza a sostenere una tesi del genere.
Le
multinazionali farmaceutiche speculano sulle nostre debolezze e sulla nostra
ignoranza! Dunque si potrebbe dire che le multinazionali del farmaco non sono i
soli colpevoli in questa tristissima storia che racconta dell’infanzia abusata.
Ho visto un tuo bellissimo documentario – posso chiamarlo
così? – sulla poetessa Amelia Rosselli. Anche in questo caso si trattava di una
personalità disturbata o comunque che manifestava disagi esistenziali, perché
la tua scelta ricade ancora sui disturbi di manifestazione di personalità?
(s.s.) Non
ci avevo mai pensato in questi termini, se fosse così riuscirei finalmente a
tracciare una linea di continuità nel mio percorso. Amelia Rosselli è a mio
parere una delle voci più potenti della Poesia Europea del ‘900. È molto
difficile, direi quasi impossibile, separare la sua produzione letteraria dai
disturbi di cui soffriva e che alla fine la portarono al suicidio (l’11
febbraio del ‘96, lo stesso giorno in cui si era suicidata Sylvia Plath 33 anni
prima). Spesso le grandi personalità dell’arte sono afflitte da sofferenze
esistenziali, da ossessioni, da quelle che io amo definire i mali dell’anima,
la più grande forma di disagio che io riesca ad immaginare.
Il
tema del Disagio è sicuramente per me il Grande Tema, ma ciò che più mi
interessa non è tanto il disagio in sé quanto piuttosto l’assoluta
inadeguatezza dell’individuo e della Società, in particolare di quella Civile
(scuola e famiglia) a trattare e a relazionarsi con il disagio, di qualunque
forma esso sia.
Tutte
le volte che ci troviamo di fronte a qualcosa che non comprendiamo
immediatamente o che abbiamo difficoltà a gestire, qualcosa che ci sta scomodo,
che non ci piace, che richiede un surplus di cure e attenzione da parte nostra,
noi tendiamo come spinti da un brutale istinto di sopravvivenza ad allontanarlo
da noi.
Ha
poca importanza che si tratti dell’ADHD, del problema dell’emigrazione, dell’omosessualità
o anche molto più semplicemente della vecchiaia, perché il problema è sempre lo
stesso: si tratta sempre di qualcosa che in quanto scomodo ci crea disagio e
per questo lo bolliamo come “diverso” o come “malato”, quindi come qualcosa che
va “eliminato” o “curato”.
Credo
però che quando tutto questo tocca i bambini e lede i diritti dell’infanzia la
nostra inadeguatezza diventi assolutamente intollerabile, insopportabile e
inaccettabile, ed è essenzialmente per questo motivo che ho sentito il desiderio
di fare questo film.
Rush
Hour in inglese significa Ora di Punta, è il momento in cui tutti gli impiegati
corrono via dagli uffici come pazzi. Era un’immagine che mi ossessionava e
allora ho capito che il problema era il tempo, il tempo che va sempre più
gestito e ottimizzato e che ha oramai irrimediabilmente sconvolto tutti i
nostri vecchi ritmi di vita.
Forse
restavano solo i bambini a resistere in questa folle corsa e ora nemmeno più
loro.
E
allora l’ADHD esiste oppure no? Io dico più semplicemente: se esiste il disagio
allora la sofferenza è reale e dunque esiste anche il problema. Ma poi vado
avanti e mi chiedo: sono i bambini ad essere malati o è la nostra società ad
avere un Deficit d’Attenzione nei loro confronti?
(f.c.) Ottima domanda, che condivido pienamente. Ritieni che ci possa esser una causa tra Adhd e la crisi
dei ruoli istituzionali all’interno della famiglia? Ovvero il venire meno di
caratterizzazioni simboliche ben definite come la figura paterna (ormai svilita al
ruolo di amicone infantile quanto il figlio) e della madre (eterna ragazzina)?
(s.s.) Un neuro-psichiatra americano che intervisto nel film,
William Pelham, ad un certo punto dice: nello Stato della Florida per andare a
pesca devi avere una licenza, una sorta di patentino, mentre invece non hai
bisogno di alcuna licenza per diventare genitore. Ora vi chiedo cosa sia più
difficile, pescare o crescere un bambino?
Che i Ruoli all’interno dell’istituzione Famiglia siano
in crisi è assolutamente una certezza, se poi da questo dipenda un incremento
nelle problematiche e nei disagi dell’infanzia non lo so. Ciò che credo, è che
il venir meno di regole certe e della capacità dei genitori di decidere o di
saper dire dei No, di cui poi i bambini sono affamatissimi, di certo non aiuta
la situazione ma non credo che questo c’entri più di tanto con l’ADHD. Il
problema della disciplina è sicuramente importante così come avere dei modelli
di riferimento piuttosto rigidi. Quello che osservo intorno a me ogni giorno mi
suggerisce però che il vero problema è l’iperstimolazione dei bambini e questa
comincia fin dalla gravidanza.
Sono anni che faccio caso al fatto che per esempio le
donne incinta non si coprono più come una volta. Quel grembo gravido che un
tempo andava protetto oggi viene esibito, esposto a tutto e soprattutto ai
raggi solari. E così capita che sempre più bambini vengano alla luce con gli
occhi già aperti mentre un tempo nascevano con gli occhi chiusi e impiegavano
anche più di un giorno ad aprirli. Sono piccoli segnali di qualcosa che va
cambiando. È chiaro che una mamma è libera di prendere il sole in bikini anche
al 5° mese di gravidanza basta che poi nessuno dia del malato al bambino se
viene al mondo con gli occhi aperti e l’espressione vivace che avrebbe avuto
forse dopo un paio di mesi!
(f.c.) Non è forse vero che tutti noi ci avviamo verso un destino di
iperattivismo con conseguente incapacità di attenzione?
(s.s.) Assolutamente si. Credo che faccia parte della nostra
evoluzione e che sia fondamentalmente una via obbligata, ma credo anche che i
bambini vadano tutelati molto più di quanto non si faccia ora.
Il punto è che stiamo parlando di bambini che non possono
scegliere ma che subiscono le conseguenze delle nostre scelte.
Vale la pena forse di ricordare che gli effetti
collaterali di alcuni dei farmaci usati nella cura dell’ADHD sono devastanti e,
quelli si, senza ritorno.
Infarto, alopecia, danni epatici, problemi
cardiovascolari, difetti di crescita e di sviluppo sessuale, tendenza al
suicidio in bambini sotto i dieci anni che non dovrebbero nemmeno sapere che
significato ha la parola suicidio!