sabato 25 luglio 2020

Sono responsabile, faccio sempre ciò che mi viene detto di fare e non lo trovo neanche pesante.






La base di ogni autoritarismo: sono anche educato e civile e eseguo ciò che mi viene detto di fare. Una volta, negli anni cinquanta del secolo scorso, Theodor W. Adorno, Max Horckheimer ,Else Frenkerl-Brunswik, Daniel Levinson e Nevit Sanford furono tutti ricercatori dell’Università della California di Berkeley e diedero una definizione della teoria della personalità autoritaria. Purtroppo nessuno legge più queste cose, ammettendo che si riescano ancora a trovare nelle librerie, invase da manuali da cucina e romanzetti.

Avrebbero dovuto leggerlo tutti, dalle maestre elementari ai docenti più colti. Questo studio stigmatizzava i principali tratti di una persona incline a subire e accettare un autoritarismo, e spiegava le origini dell'antisemitismo e dell'etnocentrismo e poi del fascismo. Non era né il caso della società americana di allora,dove pero germogliava il seme di un pesante conformismo che viaggiava su altre basi, né quello delle nostre società di oggi dove però l'abbassamento culturale generale sta originando germi di pericoloso autoritarismo, anche se loro, Adorno soprattutto e poi Eric Fromm verificarono che queste personalità sostenevano fortemente il conformismo più becero e ossessivo, e moltissime di queste"brave persone" come loro stesse si definivano sostenevano per esempio il Ku Klux Klan e avversavano l'emancipazione nera.

Lo studio faceva un elenco delle persone che si dichiaravano di essere sinceramente democratiche e tra queste, la maggioranza, attraverso un test di personalità, c'era chi metteva sullo stesso piano per esempio: il codice della strada che obbliga a certi comportamenti che non si possono contestare o derogare perché altrimenti si creerebbe il caos sulle strade si metterebbe a repentaglio la vita e le misure economiche e sociali del governo che, invece dovrebbero poter essere sempre discusse e contestate, o il sistema dei mass media che supporta sempre i governi o un potere governativo. E argomentavano più o meno così a chi gli faceva notare discrepanze e contraddizioni o diktat impositivi governativi, che loro non capivano perché ci si meravigliasse che loro non ponessero in discussione quel sistema di regole, quando invece era così naturale seguirle come appunto si seguiva il codice della strada. Gli studiosi evidenziarono che moltissime persone si definivano responsabili e corrette, educate e civili perché eseguivano sempre quello che a loro veniva chiesto di fare e non si chiedevano mai perché a loro venisse chiesto di fare cosi o perché le venivano fornite quelle determinate indicazioni.

Queste persone si sentivano responsabili ed erano strenui difensori dello status quo e avversavano chiunque non si conformasse a questa tipologia di risposte chiamandoli: sovversivi, oltranzisti, estremisti . Oggi è molto raro che qualcuno studi questi autori, il livello dei formatori delle agenzie educative, come si chiamano adesso, tranne qualche eccezione, è molto basso. Il rischio che oggi si corre, il rischio già in atto è la creazione del freak, del diverso: quelli che si definiscono responsabili e corretti, accettando tutto ciò che viene imposto con strategie comunicative non corrette e non si rendono conto che partecipano alla criminalizzazione di chi continua a voler pensare con la propria testa o semplicemente di chi non si vuole uniformare ad un modo di pensare dominante. Bisognerebbe ricordare che la diversità è sempre ricchezza.Lo studio è edito dalle Edizioni Comunità, ma credo che oggi si possa trovare solo in una biblioteca molto fornita.

lunedì 20 luglio 2020

Finalmente la guerra finì

             
Lei, 1945
 Finalmente la guerra finì, era l'8 maggio 1945 con la resa tedesca, era una luminosissima giornata di primavera. Dopo l’annuncio dato alla radio o per qualche altoparlante, la gente si riversò nelle strade, abbracciandosi, stringendosi, chi piangeva di gioia chi sventolava bandiere, le campane della chiesa suonavano a distesa, ma si sentiva, anche, portato dalla brezza di maggio lo scampanio, di quelle di Marano, di Qualiano e di Giugliano.   
            Ma le vicende assai particolari che caratterizzarono quel momento  davano un quadro assai disordinato ed era  difficile il compito di stabilire chi erano vinti e chi erano i vincitori, ma a tutta quella gente questo non importava. Mamma, insieme ai fratelli (dei due partiti non si sapeva ancora il destino e come vi ho già detto qualche pagina prima tornarono dopo un rocambolesco “viaggio”), corse nella piazza dove si era raccolto tutto il paese, tra le scale della chiesa e il fusto di cannone che commemorava i caduti della prima guerra, aveva vent’anni e con la sorella Teresa e i cugini e le cugine festeggiavano insieme a tutti la fine di un incubo. C’era gioia, felicità e la speranza di ricominciare a vivere in pace. In un mese, tra i primi di aprile e la prima settimana di maggio del 1945, a distanza di poche ore, si consumava una tragedia collettiva che aveva fatto circa cinquanta milioni di morti tra militari e popolazione civile. Mussolini scappava travestito da tedesco e veniva preso e fucilato presso il confine italiano, e Hitler si sparava un colpo di pistola o forse lo sparò qualcun altro nel proprio bunker a Berlino. Il mondo non ne poteva più. Mamma nella sua ingenua felicità, rideva, saltava,come una bambina, una ventenne di allora era come una decenne di oggi e forse nemmeno,si stringeva ai cugini, pensava a mio padre conosciuto nel 1939, quando aveva fatto una gita con il parroco di Calvizzano e si erano innamorati, lei quattordicenne e lui quindicenne che giocava a pallone “in mezzo alla domina” sei anni prima, e poi rincontrato  un anno prima a Vico, quando lei era insieme alla famiglia Finicelli, dove faceva compagnia alla signora Giovanna, tutti sfollati da  Napoli a Vico, ospitati a Villa Paradiso. Gioiva e si stringeva alla sorella e stretta in un sentimento al quale neanche lei sapeva dare un nome ma che sapeva certo in che direzione andare.
La direzione però, fu quella che il fratello maggiore, Raffaele  decise, come spesso accadeva allora: padri padroni e fratelli padroni e la direzione fu  che per mia madre era giunto il momento di portare soldi a casa zia Teresa già lavorava da tre anni e dunque ora toccava pure a lei. Zio Raffaele lavorava nella fabbrica dei Finicelli, ai Ponti Rossi, la fabbrica produceva gavette in alluminio per l’esercito italiano, l'attività della famiglia Finicelli  crebbe moltissimo durante la prima guerra mondiale e la seconda. Abitavano tutti a Villa Bozzi, sempre ai Ponti Rossi, oggi la villa è di proprietà di un ente religioso, ma allora, grandissima, era abitata da famiglie facoltose, compresi i proprietari: i marchesi Bozzi. Nella villa abitavano i signori Brown, i marchesi Bozzi che erano i proprietari della villa. I Brown avevano uno splendido e grande appartamento. La villa era davvero molto grande, un monumento nazionale insieme al grande  e splendido parco che, ancora oggi, confina con il bosco di Capodimonte. I Brown c’erano arrivati da poco, nel 1945, e la signora Pia, moglie di mister Clemence: una donna elegante e schiva che- dai modi aristocratici – a dire di mia madre- somigliava alla La signora Parkington, la protagonista di un film di allora e che,  aveva sempre un atteggiamento amorevole e gentile con lei, capitata in quell’enorme condominio benestante. Poi c’erano i signori Scholl, il direttore Scholl, tramite il quale mio padre fu assunto a lavorare come contabile nella OSRAM , il cui figlio Nino era allora fidanzato con la figlia dei marchesi Bozzi, la bellissima Sara, che di li a poco sposò, i signori Fortunato e, appunto poi i signori Finicelli,  che erano tre famiglie in una, una enorme famiglia patriarcale. Ogni famiglia contava circa una dozzina di figli, e vivevano in un’altra ala della villa, ognuna occupando un piano, e spesso pranzavano insieme. Ogni volta era una festa, anche perché la signora Giovanna era una bravissima cuoca esperta in fritture. Quando un fratello del signor Giovanni decideva di  portava tutti i nipoti e i figli al cinema, noleggiava più carrozzelle, e dai Ponti Rossi, percorrendo tutta via  Foria arrivavano in centro. Fu così che  il signor Giovanni Finicelli chiese a mio zio Raffaele, se conoscesse qualche ragazza che potesse tener compagnia a sua madre già vecchia, perché lui era sempre occupato in fabbrica e la moglie, la signora Giovanna era impegnata nell’educazione delle sue figlie, Assunta e Concetta, ovvero:  Susi e Nuccia che divennero compagne di giochi di mia madre.
Una decina di anni fa, quando lei ancora riusciva a camminare,  la portai a Villa Bozzi ( oggi c’è un istituto religioso ) e lei, prima un po’ riluttante, come se quel luogo non gli appartenesse o forse non lo aveva mai amato, ricordò tutto, come per incanto: la scuderia, il campo da tennis dove giocavano Sara e Nino, la foresteria, il poggio, e il piccolo belvedere da dove si vedeva la chiesa del Volto Santo, dove lei si incontrava con papà.
E’ lei che mi ha raccontato tutto questo, ma quando lo faceva, stringendo i piccoli occhi, per me era come se avessi già saputo tutte quelle cose, quei nomi, quei racconti, quegli intrighi di vite che si mescolavano in un tempo di profondi sconvolgimenti ero già con lei, ero già lei.

sabato 18 luglio 2020

INTERVENTI DI ALLACCIO FOGNARIO SU VIA DEI MULINI. SARA’ UN’ALTRA COLATA DI CALCESTRUZZO?

Via Mulini Vico Equesne

basoli di arenaria, tracciato romano

Basoli di arenaria tracciato romano

come potrebbe farsi l'intervento, vico Aponte VicoEquense
vico Aponte Vico Equense, vico Castello era cosi ed è stato distrutto 

 

Era un tratto dell’antica Via Minerva, che collegava la piana vesuviana al promontorio dedicato alla dea dei naviganti, fino alla Punta della Campanella ,Tra Castell’a Mare ed Equa si segue il detto Monte Lattario, che termina all’Ateneo, o Capo di Minerva, che prende il nome dal latte delle vacche, del quale parlano Procopio e Cassiodoro. Questo tratto era l’unico e ancora molto trafficato, prima che i Borboni costruissero la strada costiera, sin dall’età imperiale, e nel tratto di Vico Equense arrivava fino a dove poi è sorta la chiesa di S.Maria del Toro, oggi quel tratto si chiama via dei Mulini, cosiddetta perché in passato si trovavano dei mulini ad acqua, i cui resti una volta visibili oggi sono quasi scomparsi del tutto, la strada si ricongiunge a via S.Francesco proseguendo quindi per l’antica via della Sperlonca e continuava fino a Pozzano e da li nell’agro sarnese: la frana del 1966, ne trascinò a valle un tratto, mentre quello che la congiungeva a Pozzano è crollata a seguito di altri episodi franosi. Ho fatto questa premessa, perché su via San Francesco e su via Mulini l’assessore ai lavori pubblici nonché all’ambiente(sic!) , Gennaro Cinque, sta “incontrando” tutti i proprietari per “proporre” i lavori interrati di allaccio fognario, più Enel e fibra e forse gas. 

Sono certamente lavori necessari e utili, ma ormai tutti sanno, come lavora l’assessore e quali sono le “sue”maestranze, e che, l’assessore ha la mano pesante nel cementificare il territorio dai sentieri alle spiagge, e così, stradine che avevano una loro connotazione e caratteristica storica, costruite cioè con materiali quali basolati lavici o pietra arenaria, sono state coperte con una pesante e anonima malta cementizia: così è sparita via Noce con i suoi gradini di pietra, così è stato distrutto il vicolo Castello, e grossi interrogativi permangono circa il restiling di via Monsignor Natale, Via Giusso, via XIV Febbraio, Via Vescovado, ovvero tutto il centro storico della città.

Ora il tratto di Via Mulini che da Santa Maria del Toro arriva fino all’incrocio con una strada privata, che unisce via dei Mulini con via San Francesco, è già tutto cementificato, ma da quel punto fino a via San Francesco, un punto bellissimo che si inerpica tra vedute mozzafiato tra ulivi lussureggianti, insiste un fondo stradale, sul quale in maniera provvisoria e raffazzonata sono stati più volte fatti rattoppo con catrame e pietrisco che hanno coperto, laddove non sono state asportate e sparite, le lastre di arenaria che in alcuni tratti sono ancora visibili. 

So che su quella stradina si affacciano le ville di facoltosi intellettuali e uomini di cultura, docenti universitari e professionisti affermati e io, nella qualità di coordinatore di un circolo VAS locale, è a loro che mi rivolgo e mi appello: vigilate affinché una della stradine più suggestive del territorio, nonché, una strada romana, l’antica via Minerva, non venga stravolta da interventi che ne distruggerebbero la bellezza e cosa più importante la memoria storica dei luoghi. Non si pretende di ricostruire l’antica strada, ma di tener conto dei materiali che potrebbero fuoriuscire al momento degli scavi e ad una scelta di interventi consoni e appropriati al contesto ambientale circostante

Solo voi proprietari potete farlo in virtù dello Ius proprietario, l’unico che potrebbe farsi valere contro gli interventi di un assessore che ha già dato prova tangibile di non avere né la cultura, né la sensibilità, né interesse alcuno a salvare e tutelate il bello che ancora resiste sul nostro territorio, neanche le opposizioni, al momento  sembrano interessate alla vicenda.