venerdì 16 ottobre 2015

Caro Eduardo, l'Italia non è un paese per gay e il tuo cattolicesimo non aiuta a cambiarlo.


Caro Eduardo,
Ti ho letto tutto, come sempre. Ti ho letto attentamente, anche se, scusami, certi voli da catechesi non ce l’ho fatta e li ho saltati. Mi sono chiesto, mentre leggevo, se prima di fare il magistrato tu non volessi farti prete. Saresti stato perfetto, anche dopo che ti ho visto in TV: mite, pacato, elegante. Sei un uomo di destra Eduardo e non lo hai mai nascosto, sei un uomo di destra vecchia maniera, bon ton, colto, non come quei pupazzoli  ignoranti che circolano per il parlamento italiano e fanno “politica”o sono in circolazione ormai dovunque. Anche la tua concezione della sessualità è di destra, fortemente conservatrice e fortemente ideologizzata. Non credo possa esistere, e te lo dico subito, un amore omosessuale come quella di cui tu parli,una idealizzazione estrema dell’amore, e, se esiste, perdonami Eduardo, non è vera! E’ un artificio, come è un artificio quello degli eterosessuali che pensano le cose come le pensi tu, sto parlando naturalmente di tutti i cattolici. Naturalmente ti trovi come interlocutore un omosessuale libertino, nel senso più illuministico del termine, cresciuto in altri ambiti culturali e, gli omosessuali libertini come me, non sono un luogo comune, ma una realtà, come lo sono quelli che scimmiottano le donne ecc. ecc. non mi dilungo perché queste cose le sai : naturalmente,da omosessuale libertino, ho avuto anche storie d’amore lunghissime e importanti nella mia vita, anche se una sola, per la verità,rimane ancora tale. Una storia che oggi, nonostante siano passati 20 e più anni dura ancora anche se molto profondamente trasformata e, quando iniziò, non c’era nessuna “signora” che la benedì. Iniziò e basta: c’è stata passione intensa, poi , amore profondo e incondizionato,fiducia reciproca, affetto delicato, tradimenti colpevoli, abitudine affettiva, poi è finita dopo 14 anni. Poi dopo un silenzio durato 4 anni ci siamo rincontrati: altre vite, altri affetti. Ancora oggi  rimane tra noi un legame profondo e immenso di amicizia. Non abbiamo mai desiderato sposarci, non abbiamo mai voluto o desiderato avere un figlio, né una famiglia tradizionale, soprattutto nessuno ha mai posto la questione dell’amore omosessuale, del sentimento profondo d’amore, nei termini in cui lo hai posto tu. Capisco i tuoi riferimenti colti a San Tommaso, capisco questo anelito di sublime elevazione spirituale, quasi una “ ragion pratica mistica” che permea di sé il tuo assoluto amore o amore assoluto. Questo amore di cui parli mi sembra un “imperativo categorico”, un’estensione del “divino amore” che tutto avvolge ( dovrebbe avvolgere ma non lo fa), ma in cuor tuo, mi domando: sei veramente convinto di ciò? Anzi, ti pongo meglio la domanda . Sei sicuro che tu non voglia forzare e rafforzarti in tutto ciò, perché sai che non è così? Che è tutto più semplice, più istintivo, più naturale, anche se tutto fortemente avversato e condannato . In fondo stiamo parlando anche di sessualità  Io posso capire tutta questa costruzione fatta di pinnacoli colti, di elaborazione raffinata del senso del sacro, ma non la condivido. Non ne condivido neanche una sola virgola, perché in essa vedo riaffiorare oscuro come una minaccia, il senso di colpa al quale ci ha costretto e ancora ci costringe la Chiesa cattolica e le sue gerarchie e vedo la minaccia di esclusione di tutti quelli che, pur essendo omosessuali, vivono l’amore con minori ansie di legittimazione.
Fatte queste premesse – io vorrei  però evidenziare e denunciare anche una sorta di appiattimento  della cultura gay su questa problematica,- quella del PACS e/o del MATRIMONIO come se tutte le persone omosessuali  consapevoli, non aspettassero altro che di sposarsi o di adottare un bambino. Questo non è assolutamente vero, come non è vero che questi argomenti siano stati ben recepiti anche all’interno del movimento. Ci sono molte cose ancora che restano scoperte: il coming out è difficile, il rispetto di sé è un percorso fatto di consapevolezza maturata in contesti di civiltà che mancano in Italia. Ti ho già scritto che se parlo col mio amico che vive da 20 anni in Olanda di queste cose, mi guarda con uno sguardo stranito, come se stessi farneticando. Io che vengo da una storia diversa, che molte giovani persone omosessuali oggi neanche conoscono, ho nostalgia per una certa critica alla cultura che si faceva all’inizio degli anni settanta all’interno del movimento e che  serviva proprio a rafforzare l’identità omosessuale, questa oggi, seriamente minacciata soprattutto tra le giovanissime generazioni . Non sento il bisogno di un riconoscimento ecclesiale e fossi in te, neanche lo cercherei, perché tu sai meglio di me che questa Chiesa, anche quella di Papa Francesco per sua intima architettura, non potrà mai riconoscere l’omosessualità o di più ancora l’amore omosessuale, pena la sua deflagrazione e implosione. Ciò di cui sento forte il bisogno oggi è di innalzamento culturale della popolazione e dei giovanissimi sul problema dei diritti e del rispetto di ogni differenza o diversità. Ciò di cui sento il bisogno è di normative che ci elevino allo stesso stato dei paesi europei, dove leggi specifiche riconoscono dignità e diritti alle coppie omosessuali in Francia, Germania, Olanda, Belgio, Portogallo Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia, Islanda, Lussemburgo, Irlanda e nelle regioni spagnole di Catalogna, Aragona, Navarra. La Gran Bretagna, la Svizzera e la Croazia stanno per approvare leggi analoghe su proposta dei rispettivi governi, se non lo hanno già fatto! Di questo avverto la necessità e l’urgenza, anche se, come ti ho detto, da libertino quale sono, non mi sposerei mai. Poi, bisognerebbe fare tutta una serie di  riflessioni sulla cultura di ogni singolo omosessuale, perché l’omosessuale non è una specie, nel senso che gli omosessuali non sono tutti uguali tra loro, come molti eterosessuali  pregiudizialmente  pensano. Ma ci sono differenze di carattere,  di classe, di status, di comportamento, per cui certi modelli omosessuali appartengono ad una certa estrazione culturale, certi altri no, e questi determinano a loro volta stili di vita e atteggiamenti affatto biologici.  In ultima analisi, non esiste una natura omosessuale, come non esiste un amore omosessuale,  bensì diverse culture omosessuali  e diversi modi di vivere l’amore omosessuale, e tutti hanno o dovrebbero avere  uguale dignità questa è una cosa da non dimenticare mai, ma che oggi anche all’interno del movimento non è più ricordata da nessuno. Essere omosessuali non deve significare esclusione e emarginazione, ma nemmeno avere una medaglia:significa essere una persona come tutte le altre, così è nei posti che non sono l’Italia di oggi.  I pregiudizi di cui ho parlato sono purtroppo ancora molto radicati, anche in persone di cultura medio-alta e non è raro sentire anche persone accreditate culturalmente aprire una conversazione con la frase: voi omosessuali , come se fossimo  una razza a parte. Questo appunto la dice lunga su quanto l’affermazione dei propri diritti, non risolva, se non in minima parte, il problema della necessità di una cultura delle relazioni tra gay, cioè tra di noi, una cultura dell’identità omosessuale oggi difficilmente reperibile. Oggi tende a prevalere l’immagine del gay  tutto amore familiare e buonismo d’accatto. Un’immagine veicolata da un certo centro sinistra, ma anche l’operazione culturale che fai tu, come ho già detto di destra,  formalizza  un insopportabile cliché che mal si adatta alle persone omosessuali. Al momento, da questo punto di vista,  il panorama è abbastanza sconfortante: a noi gay certamente sono riconosciuti molti più spazi e molti più diritti di un tempo nelle società del capitalismo globalizzato, ma questa è a mio avviso una situazione apparentemente rassicurante e anche  effimera, nel senso che è legata alle opportunità e alle sensibilità politiche dei governanti, e delle culture. Poco si è fatto e si fa, per la sistemazione e la fortificazione (perdonami i termini ) di una identità gay e di un  sistema culturale di valori, che possa essere condiviso da tutti noi . Intanto queste “libertà” potrebbero essere perdute in un momento , ma peggio, i comportamenti delle persone omosessuali potrebbero essere lasciati ancora per molto tempo solo nell’ambito del sessuale o traslati solo nell’ambito del “sublime sentimentale”, rafforzando il pregiudizio che dall’origine della società borghese pesa sugli omosessuali anche nella stessa definizione: in più, la scarsa formazione culturale delle giovani generazioni, rafforza comportamenti improntati ad un consumismo sessuale nevrotico svincolato da qualsiasi affettività, contribuendo ancora una volta a determinare colpevolizzazioni e insicurezze. Ad un uso dei piaceri  dovremmo - parafrasando Foucault - affiancare anche  una” cura di sé” . Ovvero una costruzione profonda di un codice, che includa sentimenti e affetti, cultura dei valori etici da coltivare all’interno delle nostre comunità e cultura della persona che bilanci una volta per tutte gli effetti del desiderio falsamente liberatorio in cui spesso si resta costretti. Bisognerebbe, in ultima analisi, impegnarsi nella seria costruzione di una scandalosa educazione sentimentale gay e vivere finalmente, dimenticandosi di essere tali, e avvertendosi solo come una persona qualsiasi, invece tu mi scrivi un libro per ricordarmi che c’è un amore omosessuale che confina addirittura con Dio. No caro Eduardo, non ce la faccio! Così è tutto troppo macchinoso e pesante, mentre invece potrebbe essere tutto più lieve e defilato, un low profile insomma più minimale e più silenzioso, come dovrebbe esserlo quello di tutte le persone, siano  etero che omo , nel rispetto della dignità umana e dei propri diritti .
                                                                                                        Ti abbraccio
                                                                                                     Franco Cuomo



martedì 6 ottobre 2015

Diciamocelo in tutta verità: la sinistra non esiste più


Ho chiosato un articolo di Franco Berardi, il mitico BiFo di radio Alice e lo condivido in pieno Eccolo:
Possiamo ben dire che gli organismi della sini­stra non esistono più, ma che, nessuno, com­pren­si­bil­mente vuole ammetterlo e nem­meno sen­tir­selo dire. Se penso che cosa è la sinistra del Partito Democratico che di fatto è un partito di destra, e se penso ai suoi rappresentanti: Pippo Civati, Stefano Fassina, Gianni Cuperlo e poi Vendola, Bersani ecc.ecc. possiamo senza ombra di dubbio dire che la sinistra è morta e che, cosa ancora più veritiera, non se ne sente più il bisogno. Ma, questa è una affermazione ormai scontata e se invece si affrontasse la que­stione da un punto di vista un po’ meno pre­ve­di­bile? Se tutti, consapevolmente e senza nostalgie cominciassimo a dirci che  a sinistra non c’è più nulla. Se si eccettuano gruppuscoli eroici ma sten­tati di un vasto numero di asso­cia­zioni e orga­ni­smi di base che cer­cano di garan­tire la tenuta di alcuni livelli molto ma molto minimi di solidarietà, mi riferisco ai molteplici centri sociali, o a piccolissime testimonianze comuniste: il partito comunista d’Italia, o altre esperienze simili, in Italia non c’è più nulla: la verità, che lo si voglia o no è questa; non c’è più vita, e se mai c’è qualcosa, questa è mera soprav­vi­venza di esperienze che non riescono più teoricamente e fattivamente a fare i conti con la realtà di una società in cui la tecnologia è diventata l’elemento agglutinante e dominante di tutto il sociale. La sinistra, così come si presenta non partorirà più nessuna novità, se riuscissimo tutti a dirci questa verità, forse potremmo cominciare ad elaborare una nuova visione o nuovi scenari per rappresentarci livelli più congrui di dignità umana in un futuro prossimo. Ieri sera, in TV la Moretti era assolutamente devastante (linguisticamente), devastata (concettualmente), e indecente  (politicamente), così come lo era, lo è, Lilli Gruber: sfiderei qualsiasi donna comunista o banalmente di sinistra a tentare di identificarsi in questi due modelli, penso a Nilde Iotti naturalmente o Miriam Mafai o Margherita Hack o Franca Rame. Dunque, la prima cosa da fare è: non parlare più di sinistra. Una certa sinistra forse esiste ancora, per raggiunger percentuali bassissime elettorali forse solo perché esistono ancora ultra sessantenni, ma, una volta estinti questi ultimi il libro potrà dirsi chiuso. Come pure la democrazia come governo di rappresentanze elette dal popolo, non esiste più, sostituita com’è da gruppi oligarchici che si autonomino. “ Ma se sini­stra vuol dire una forza capace di imma­gi­nare una svolta nella sto­ria sociale eco­no­mica e poli­tica del mondo, una forza capace di attrarre le ener­gie della gene­ra­zione pre­ca­ria e con­net­tiva, se sini­stra vuol dire una forza capace di rove­sciare il rap­porto di forze che il capi­ta­li­smo glo­ba­liz­zato ha impo­sto all’umanità — allora è meglio non rac­con­tarci bugie pie­tose. Non c’è e non ci sarà nel tempo prevedibile.” Per­ché si dovrebbe pensare che la democrazia abbia ancora una sua verità politica dopo i fatti  di Grecia e l’esperienza di Syriza? Ma non occor­reva l’esperienza greca, per sapere che la demo­cra­zia non è più una strada per­cor­ri­bile. Basta ricor­darsi del refe­ren­dum ita­lico con­tro la pri­va­tiz­za­zione dell’acqua, i suoi risul­tati trion­fali, e i suoi effetti pra­ti­ca­mente nulli sulla realtà eco­no­mica e politica.
E allora, se la demo­cra­zia non è una strada per­cor­ri­bile, ce ne viene in mente un’altra? A me no. A me viene in mente che tal­volta nella vita (e nella sto­ria) è oppor­tuno par­tire da un’ammissione di impo­tenza. Non posso, non pos­siamo farci niente.
Cioè, fermi un attimo. Due cose dob­biamo farle, e se volete chia­marle sini­stra allora sì, ci vuole la sinistra.
La prima cosa da fare è capire, e quindi prevedere.
Pos­siamo pre­ve­dere che nei pros­simi anni l’Unione euro­pea, ormai entrata in una situa­zione di scol­la­mento poli­tico, di odii incro­ciati, di pre­da­zione colo­niale, finirà nel peg­giore dei modi: a destra. Pos­siamo dirlo una buona volta che la sola forza capace di abbat­tere la dit­ta­tura finan­zia­ria euro­pea è la destra?
Dovremmo dirlo, per­ché que­sto è quello che sta già acca­dendo, e le con­se­guenze saranno vio­lente, san­gui­nose, cata­stro­fi­che dal punto di vista sociale e dal punto di vista umano. Dob­biamo allora smet­tere i gio­chi già gio­cati cento volte per met­terci in ascolto dell’onda che arriva.
Pos­siamo pre­ve­dere che nei pros­simi anni gli effetti del col­lasso finan­zia­rio del 2008 mol­ti­pli­cati per gli effetti del col­lasso cinese di que­sti mesi pro­durrà una reces­sione glo­bale. Pos­siamo pre­ve­dere che la cre­scita non tor­nerà per­ché non è più pos­si­bile, non è più neces­sa­ria, non è più com­pa­ti­bile con la soprav­vi­venza del pia­neta, e ogni ten­ta­tivo di rilan­ciare la cre­scita coin­cide con deva­sta­zione ambien­tale e sociale.
La decre­scita non è una stra­te­gia, un pro­getto: essa è ormai nei fatti, nelle cifre e negli umori. E si tra­duce in un’aggressione siste­ma­tica con­tro il sala­rio, e con­tro le con­di­zioni di vita delle popo­la­zioni. E si tra­duce in una guerra civile pla­ne­ta­ria che solo Fran­ce­sco I ha avuto il corag­gio di chia­mare col suo nome: guerra mondiale.
La seconda cosa da fare è: imma­gi­nare.
Imma­gi­nare una via d’uscita dall’inferno par­tendo dal punto cen­trale su cui l’inferno pog­gia: la super­sti­zione che si chiama cre­scita, la super­sti­zione che si chiama lavoro sala­riato. Le poli­ti­che dei governi di tutta la terra con­ver­gono su un punto: pre­di­cano la cre­scita in un momento sto­rico in cui non è più né auspi­ca­bile né pos­si­bile, e soprat­tutto è ine­si­stente per la sem­plice ragione che non abbiamo biso­gno di pro­durre una massa più vasta di merci, ma abbiamo biso­gno di redi­stri­buire la ric­chezza esistente.
Le poli­ti­che dei governi di tutta la terra con­ver­gono su un secondo punto: lavo­rare di più, aumen­tare l’occupazione e con­tem­po­ra­nea­mente aumen­tare la pro­dut­ti­vità. Non c’è nes­suna pos­si­bi­lità che que­ste poli­ti­che abbiano suc­cesso. Al con­tra­rio la disoc­cu­pa­zione è desti­nata ad aumen­tare, poi­ché la tec­no­lo­gia sta pro­du­cendo in maniera mas­sic­cia la prima gene­ra­zione di automi intel­li­genti. Da cinquant’anni la sini­stra ha scelto di difen­dere l’occupazione, il posto di lavoro e la com­po­si­zione esi­stente del lavoro. Era la strada sba­gliata già negli anni ’70, diventò una strada cata­stro­fica negli anni ’80. Era una strada che ha por­tato i lavo­ra­tori alla scon­fitta, alla soli­tu­dine, alla guerra di tutti con­tro tutti.
Per­ché dovremmo difen­dere la sini­stra visto che è stata pro­prio la sini­stra a por­tare i lavo­ra­tori nel vicolo cieco in cui si tro­vano oggi?
Di lavoro, sem­pli­ce­mente, ce n’è sem­pre meno biso­gno, e qual­cuno deve comin­ciare a ragio­nare in ter­mini di ridu­zione dra­stica e gene­ra­liz­zata del tempo di lavoro. Qual­cuno deve riven­di­care la pos­si­bi­lità di libe­rare una fra­zione sem­pre più ampia del tempo sociale per desti­narlo alla cura l’educazione e alla gioia.
So bene che non si tratta di un pro­getto per domani o per dopo­do­mani. Negli ultimi quarant’anni la sini­stra ha con­si­de­rato la tec­no­lo­gia come un nemico da cui pro­teg­gersi, si tratta invece di riven­di­care la potenza della tec­no­lo­gia come fat­tore di libe­ra­zione, e si tratta di tra­sfor­mare le aspet­ta­tive sociali, libe­rando la cul­tura sociale dalle super­sti­zioni che la sini­stra ha con­tri­buito a formare.
Quanto tempo ci occorre? Baste­ranno dieci anni? Forse. E intanto? Intanto stiamo a guar­dare, visto che nulla pos­siamo fare. Guar­dare cosa? La cata­strofe che è ormai in corso e che nes­suno può fer­mare. Stiamo a guar­dare il pro­cesso di finale disgre­ga­zione dell’Unione euro­pea, la vit­to­ria delle destre in molti paesi euro­pei, il peg­gio­ra­mento delle con­di­zioni di vita della società. Sono pro­cessi scritti nella mate­riale com­po­si­zione del pre­sente, e nel rap­porto di forza tra le classi.
Ma natu­ral­mente non si può stare a guar­dare, per­ché si tratta anche di sopravvivere.
Ecco un pro­getto straor­di­na­ria­mente impor­tante: soprav­vi­vere col­let­ti­va­mente, sobria­mente, ai mar­gini, in attesa.Praticando filosofie che rifiutano l’esistente, che rifiutano le bugie dei media, che praticano una sobrietà intellettuale e ricercata. Riflet­tendo, imma­gi­nando, e dif­fon­dendo la coscienza di una pos­si­bi­lità che è iscritta nel sapere col­let­tivo, e per il momento non si can­cella: la pos­si­bi­lità di fare del sapere la leva per libe­rarci dallo sfruttamento.
Atten­dere il mat­tino come una talpa, fingendosi morti come fanno molti animali quando avvertono il pericolo estremo.