Ho chiosato un articolo di Franco Berardi, il mitico BiFo di radio Alice e lo condivido in pieno Eccolo:
Possiamo ben dire che gli
organismi della sinistra non esistono più, ma che, nessuno, comprensibilmente
vuole ammetterlo e nemmeno sentirselo dire. Se penso che cosa è la
sinistra del Partito Democratico che di fatto è un partito di destra, e se
penso ai suoi rappresentanti: Pippo Civati, Stefano Fassina, Gianni Cuperlo e
poi Vendola, Bersani ecc.ecc. possiamo senza ombra di dubbio dire che la sinistra
è morta e che, cosa ancora più veritiera, non se ne sente più il bisogno. Ma,
questa è una affermazione ormai scontata e se invece si affrontasse la questione
da un punto di vista un po’ meno prevedibile? Se tutti, consapevolmente e
senza nostalgie cominciassimo a dirci che
a sinistra non c’è più nulla. Se si eccettuano
gruppuscoli eroici ma stentati di un vasto numero di associazioni
e organismi di base che cercano di garantire la tenuta di alcuni
livelli molto ma molto minimi di solidarietà, mi riferisco ai molteplici centri
sociali, o a piccolissime testimonianze comuniste: il partito comunista
d’Italia, o altre esperienze simili, in Italia non c’è più nulla: la verità,
che lo si voglia o no è questa; non c’è più vita, e se mai c’è qualcosa, questa
è mera sopravvivenza di esperienze che non riescono più teoricamente e
fattivamente a fare i conti con la realtà di una società in cui la tecnologia è
diventata l’elemento agglutinante e dominante di tutto il sociale. La sinistra,
così come si presenta non partorirà più nessuna novità, se riuscissimo tutti a
dirci questa verità, forse potremmo cominciare ad elaborare una nuova visione o
nuovi scenari per rappresentarci livelli più congrui di dignità umana in un
futuro prossimo. Ieri sera, in TV la Moretti era assolutamente devastante (linguisticamente),
devastata (concettualmente), e indecente
(politicamente), così come lo era, lo è, Lilli Gruber: sfiderei
qualsiasi donna comunista o banalmente di sinistra a tentare di identificarsi
in questi due modelli, penso a Nilde Iotti naturalmente o Miriam Mafai o
Margherita Hack o Franca Rame. Dunque, la prima cosa da fare è: non parlare più
di sinistra. Una certa sinistra forse esiste ancora, per raggiunger percentuali
bassissime elettorali forse solo perché esistono ancora ultra sessantenni, ma,
una volta estinti questi ultimi il libro potrà dirsi chiuso. Come pure la
democrazia come governo di rappresentanze elette dal popolo, non esiste più,
sostituita com’è da gruppi oligarchici che si autonomino. “ Ma se sinistra vuol dire una forza capace
di immaginare una svolta nella storia sociale economica e politica
del mondo, una forza capace di attrarre le energie della generazione precaria
e connettiva, se sinistra vuol dire una forza capace di rovesciare il
rapporto di forze che il capitalismo globalizzato ha imposto
all’umanità — allora è meglio non raccontarci bugie pietose. Non c’è
e non ci sarà nel tempo prevedibile.” Perché si dovrebbe pensare che
la democrazia abbia ancora una sua verità politica dopo i fatti di Grecia e l’esperienza di Syriza? Ma non
occorreva l’esperienza greca, per sapere che la democrazia non è più
una strada percorribile. Basta ricordarsi
del referendum italico contro la privatizzazione dell’acqua,
i suoi risultati trionfali, e i suoi effetti praticamente nulli
sulla realtà economica e politica.
E allora, se la democrazia non
è una strada percorribile, ce ne viene in mente un’altra? A me no.
A me viene in mente che talvolta nella vita (e nella storia)
è opportuno partire da un’ammissione di impotenza. Non posso, non possiamo
farci niente.
Cioè, fermi un attimo. Due cose
dobbiamo farle, e se volete chiamarle sinistra allora sì, ci vuole la
sinistra.
La prima cosa da fare è capire, e quindi
prevedere.
Possiamo prevedere che nei prossimi
anni l’Unione europea, ormai entrata in una situazione di scollamento politico,
di odii incrociati, di predazione coloniale, finirà nel peggiore dei modi:
a destra. Possiamo dirlo una buona volta che la sola forza capace di
abbattere la dittatura finanziaria europea è la destra?
Dovremmo dirlo, perché questo
è quello che sta già accadendo, e le conseguenze saranno violente,
sanguinose, catastrofiche dal punto di vista sociale e dal punto di
vista umano. Dobbiamo allora smettere i giochi già giocati cento volte
per metterci in ascolto dell’onda che arriva.
Possiamo prevedere che nei prossimi
anni gli effetti del collasso finanziario del 2008 moltiplicati per gli
effetti del collasso cinese di questi mesi produrrà una recessione globale.
Possiamo prevedere che la crescita non tornerà perché non è più possibile,
non è più necessaria, non è più compatibile con la sopravvivenza
del pianeta, e ogni tentativo di rilanciare la crescita coincide con
devastazione ambientale e sociale.
La decrescita non è una strategia,
un progetto: essa è ormai nei fatti, nelle cifre e negli umori.
E si traduce in un’aggressione sistematica contro il salario,
e contro le condizioni di vita delle popolazioni. E si traduce
in una guerra civile planetaria che solo Francesco I ha avuto il
coraggio di chiamare col suo nome: guerra mondiale.
La seconda cosa da fare è: immaginare.
Immaginare una via d’uscita
dall’inferno partendo dal punto centrale su cui l’inferno poggia: la superstizione
che si chiama crescita, la superstizione che si chiama lavoro salariato. Le
politiche dei governi di tutta la terra convergono su un punto: predicano
la crescita in un momento storico in cui non è più né auspicabile né
possibile, e soprattutto è inesistente per la semplice ragione
che non abbiamo bisogno di produrre una massa più vasta di merci, ma abbiamo
bisogno di redistribuire la ricchezza esistente.
Le politiche dei governi di
tutta la terra convergono su un secondo punto: lavorare di più, aumentare
l’occupazione e contemporaneamente aumentare la produttività. Non
c’è nessuna possibilità che queste politiche abbiano successo. Al contrario
la disoccupazione è destinata ad aumentare, poiché la tecnologia
sta producendo in maniera massiccia la prima generazione di automi intelligenti.
Da cinquant’anni la sinistra ha scelto di difendere l’occupazione, il posto di
lavoro e la composizione esistente del lavoro. Era la strada sbagliata
già negli anni ’70, diventò una strada catastrofica negli anni ’80. Era una
strada che ha portato i lavoratori alla sconfitta, alla solitudine,
alla guerra di tutti contro tutti.
Perché dovremmo difendere la
sinistra visto che è stata proprio la sinistra a portare
i lavoratori nel vicolo cieco in cui si trovano oggi?
Di lavoro, semplicemente, ce
n’è sempre meno bisogno, e qualcuno deve cominciare a ragionare
in termini di riduzione drastica e generalizzata del tempo di
lavoro. Qualcuno deve rivendicare la possibilità di liberare una frazione
sempre più ampia del tempo sociale per destinarlo alla cura l’educazione
e alla gioia.
So bene che non si tratta di un
progetto per domani o per dopodomani. Negli ultimi quarant’anni la sinistra
ha considerato la tecnologia come un nemico da cui proteggersi, si
tratta invece di rivendicare la potenza della tecnologia come fattore di
liberazione, e si tratta di trasformare le aspettative sociali, liberando
la cultura sociale dalle superstizioni che la sinistra ha contribuito
a formare.
Quanto tempo ci occorre? Basteranno
dieci anni? Forse. E intanto? Intanto stiamo a guardare, visto che
nulla possiamo fare. Guardare cosa? La catastrofe che è ormai in corso
e che nessuno può fermare. Stiamo a guardare il processo di
finale disgregazione dell’Unione europea, la vittoria delle destre in
molti paesi europei, il peggioramento delle condizioni di vita della
società. Sono processi scritti nella materiale composizione del presente,
e nel rapporto di forza tra le classi.
Ma naturalmente non si può stare
a guardare, perché si tratta anche di sopravvivere.
Ecco un progetto straordinariamente
importante: sopravvivere collettivamente, sobriamente, ai margini, in
attesa.Praticando filosofie che rifiutano l’esistente, che rifiutano le bugie
dei media, che praticano una sobrietà intellettuale e ricercata. Riflettendo,
immaginando, e diffondendo la coscienza di una possibilità che
è iscritta nel sapere collettivo, e per il momento non si cancella:
la possibilità di fare del sapere la leva per liberarci dallo sfruttamento.
Attendere il mattino come
una talpa, fingendosi morti come fanno molti animali quando avvertono il
pericolo estremo.
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