lunedì 30 gennaio 2012

Il rischio che si corre se si critica il governo Monti



Bisogna stare attenti oggi  ad esprimere giudizi o critiche su questo governo, perché si può passare per quello che non si è e si può essere accomunati al populismo dilagante, vera piaga di questo paese. I media, da tempo ormai responsabili della disinformazione di massa, non fanno altro che diffondere una percezione assolutamente inautentica della realtà. La reazione del PdL e quella della Lega per esempio sono di per sé i segni più vistosi di questo populismo, praticato anche dal precedente governo e che fa comodo a tutti. L’aspetto più pericoloso però della situazione italiana è che a questo populismo oggi  si tende ad accomunare anche la reazione di chi con queste due forze politiche non ha assolutamente niente in comune. Io non riesco più a  leggere La Repubblica, per esempio, o Curzio Maltese, non riesco più a sopportare lo scudo di intoccabilità che, editoriali come quello di Eugenio Scalfari di domenica scorsa, ergono a difesa di qualsiasi cosa faccia questo governo. Io vorrei ricordare solo le Indimenticabili lacrime di coccodrillo della ministra Fornero quando annunciava l’infame blocco dell’adeguamento delle misere pensioni (adeguamento già più che dimezzato, rispetto alla reale dinamica del caro vita) mentre il suo governo non ha toccato la Casta, né i grandi sprechi e gli stipendi parassitari, né gli enti inutili, né le venticinquemila poltrone superflue in quelli partecipati, né i privilegi fiscali delle proprietà ed attività commerciali degli enti “religiosi. Come pure le misure per lo sviluppo sono semplicemente derisorie e vergognose. Così, mentre si tralscia una riforma fiscale che favorisca la produzione, i tagli alle pensioni e l’aumento dell’Iva colpiscono la domanda interna e impoveriscono ancora di più ceti che già erano alle soglie della povertà, assieme al nuovo redditometro che disincentiva gli acquisti di molti beni quotidiani e non di lusso e di servizi come l’istruzione, questo governo dei banchieri non tocca i grandi patrimoni mobiliari e speculativi. Trovo altresì indecente e pericolosa la deriva economicistica di questo governo, lo spingere al massimo la libertà d’ impresa ai danni di un ambiente – unico e autentico patrimonio di questo paese-  già distrutto da un ventennio di “agevolazioni” speculative  del precedente goveno Berlusconi. Trovo indecente che si dimentichi il recitato dell’art. 41 della Costituzione, che Berlusconi voleva modificare , ma che questo governo sembra sospendere con la “giustificazione” di uno stato di emergenza: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. La dignità umana, ecco il punto! Chi è incaricato  di difendere la dignità umana nel governo Monti? Dire queste cose, oggi significa essere segnato come populista, mentre la democrazia, svuotata del suo ruolo è stata sostituita dalla necessità economica di far quadrare i conti di una crisi prodotta da un sistema finanziario in cui pochissimi sono diventati i padroni del mondo e tutti gli altri sono stati ridotti alla fame. Il paese risente della mancanza di una forza politica schierata in maniera autenticamente dalla parte dei ceti più deboli, mentre le pantomime  ipocrite del Partito Democratico di Bersani, perfettamente schierato col Presidente della Repubblica verso la difesa dello status quo capitalista, non fanno altro che confermare l’origine di un disegno cominciato a metà degli anni ’80 all’interno del PCI, da parte di un gruppo definito Migliorista, di cui l’attuale Presidente era una figura di spicco: annichilire le classi subalterne e  contrastare da subito la linea politica di Enrico Berlinguer soprattutto la sua dura posizione nei confronti della linea politica di certa classe dirigente che sfociò con la campagna sulla Questione morale, incentrata sulla moralità in politica e contraria specialmente al Psi e a Bettino Craxi. Sembrerebbe una storia vecchia, ma non lo è. Così  si spiega la posizione così “misurata” del Capo dello Stato così è cominciata la distruzione della democrazia in questo paese. Oggi lo scotto pesante che i più poveri stanno pagando è dovuto anche alla complicità istituzionale di chi dovrebbe difenderli e invece si è schierato dalla parte dei poteri forti dell’economia e della finanza. Ecco! Dire tutto questo oggi significa essere tacciati di populismo.

Franco Cuomo

   

giovedì 26 gennaio 2012

Semplificare senza sacrifici (Stefano Rodotà).



Questa riflessione di Stefano Rodotà potrebbe essere un appello alla Resistenza ... Con la sua consueta chiarezza e passione civile, il costituzionalista-militante Stefano Rodotà, spiega da che parte stiano Monti e i suoi.
Altro che tecnici, altro che neutralità ....
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Vi sono due punti nel decreto sulle liberalizzazioni che meritano d´essere sottolineati per il loro notevole significato di principio. Il primo riguarda l´eliminazione della norma che, vietando ai Comuni di costituire aziende speciali per la gestione del servizio idrico, contrastava visibilmente con il risultato del referendum sull´acqua come bene comune.Abbandonando questa via pericolosa e illegittima, il governo non ha ceduto ad alcuna pressione corporativa ma ha fatto il suo dovere, rispettando la volontà di 27 milioni di cittadini. Certo, la costruzione degli strumenti istituzionali necessari per dare concretezza alla categoria dei beni comuni incontrerà altri ostacoli nel modo in cui lo stesso decreto disciplina nel loro insieme i servizi pubblici. Ma il disconoscimento di una volontà formalmente manifestata con un voto avrebbe gravemente pregiudicato il già precario rapporto tra cittadini e istituzioni, inducendo ancor di più le persone a dubitare dell´utilità di impegnarsi nella politica usando tutti i mezzi costituzionalmente legittimi. Vale la pena di aggiungere che questa scelta può essere valutata considerando anche l´annuncio del ministro Passera relativo all´assegnazione delle frequenze, da lui definite nella conferenza stampa come “beni pubblici” di cui, dunque, non si può disporre nell´interesse esclusivo di ben individuati interessi privati. Senza voler sopravvalutare segnali ancora deboli, si può dire che il ricco, variegato e combattivo movimento per i beni comuni non solo ha riportato una piccola, importante vittoria, ma ha trovato una legittimazione ulteriore per proseguire nella sua azione.
Questa associazione tra acqua e frequenze non è arbitraria, poiché la ritroviamo nelle proposte della Commissione ministeriale sulla riforma dei beni pubblici. Si dovrebbe sperare che i partiti non continuino soltanto a fare da spettatori alle gesta del governo, ma comincino a rendersi conto delle loro specifiche responsabilità. Tra queste, oggi, vi è proprio quella che riguarda una nuova disciplina dei beni, per la quale già sono state presentate proposte in Parlamento, e che è indispensabile perché le categorie dei beni corrispondano a una realtà economica e sociale lontanissima da quella che, sessant´anni fa, costituiva il riferimento del codice civile. Se questa riforma fosse stata già realizzata, non sarebbe stata possibile la vergogna del “beauty contest” sulle frequenze. E ci risparmieremmo molte delle approssimazioni su una via italiana al risanamento che contempli massicce dismissioni di beni pubblici, quasi che la loro vocazione sia solo quella di far cassa e non la realizzazione di specifiche finalità che le istituzioni pubbliche non possono abbandonare.
Tutt´altra aria si respira quando si considera l´articolo 1 del decreto. Qui non si trova uno dei soliti inutili e fumosi prologhi in cielo che caratterizzano molte leggi. Si fanno, invece, tre inquietanti operazioni: si prevede l´abrogazione di una serie indeterminata di norme, affidandosi a indicazioni assai generiche, che attribuiscono al governo una ampiezza di poteri tale da poter sconfinare quasi nell´arbitrio; si impongono criteri interpretativi altrettanto indeterminati e arbitrari; soprattutto si reinterpreta l´articolo 41 della Costituzione in modo da negare gli equilibri costituzionali lì nitidamente definiti. L´obiettivo dichiarato è quello di liberalizzare le attività economiche e ridurre gli oneri amministrativi sulle imprese. Ma la via imboccata è quella di una strisciante revisione costituzionale, secondo una logica assai vicina a quella di tremontiana memoria, poi affidata a uno sciagurato disegno di legge costituzionale sulla modifica dell´articolo 41, ora fortunatamente fermo in Parlamento.
Indico sinteticamente le ragioni del mio giudizio critico. Le norme da abrogare vengono individuate parlando di limiti all´attività economica “non giustificati da un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l´ordinamento comunitario nel rispetto del principio di proporzionalità”; e di divieti che, tra l´altro, “pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate”. Tutte le altre norme devono essere “interpretate e applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato rispetto alle perseguite finalità di interesse pubblico generale”. Non v´è bisogno d´essere giurista per rendersi conto di quanti siano i problemi legati a questo modo di scrivere le norme. Non è ammissibile che l´”interesse pubblico generale” sia identificato con il solo principio di concorrenza, in palese contrasto con quanto è scritto nell´articolo 41. Il sovrapporsi di diversi soggetti nella definizione complessiva delle nuove regole può creare situazioni di incertezza e di conflitto. Il bisogno di semplificazione e di cancellazione di inutili appesantimenti burocratici non può giustificare il riduzionismo economico, che rischia di sacrificare diritti fondamentali considerati dalla Costituzione irriducibili alla logica di mercato. Si pretende di imporre i criteri da seguire nell´interpretazione di tutte le norme in materia: ma le leggi si interpretano per quello che sono, per il modo in cui si collocano in un complessivo sistema giuridico, che non può essere destabilizzato da mosse autoritarie, dall´inammissibile pretesa di un governo di obbligare gli interpreti a conformarsi alle sue valutazioni o preferenze. In anni recenti, si è dovuta respingere più d´una volta questa pretesa, che altera gli equilibri tra i poteri dello Stato.
L´operazione, di chiara impronta ideologica, è dunque tecnicamente mal costruita dal governo dei tecnici. Ma, soprattutto, deve essere rifiutata perché vuole imporre una modifica dell´articolo 41 della Costituzione, attribuendo valore assolutamente preminente all´iniziativa economica privata e degradando a meri criteri interpretativi i riferimenti costituzionali alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. Questo capovolgimento della scala dei valori è inammissibile. Un mutamento così radicale non è nella disponibilità del legislatore ordinario, e dubito che possa essere oggetto della stessa revisione costituzionale. Quando sono implicate libertà e dignità, siamo di fronte a quei “principi supremi” dell´ordinamento che, fin dal 1988, la Corte costituzionale ha detto che non possono “essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale”. Certo, invocando una qualsiasi emergenza, questo può concretamente avvenire. Allora, però, si è di fronte ad un mutamento di regime. Se ancora sopravvive un po´ di spirito costituzionale, su questo inizio del decreto, e non nella difesa di questa o quella corporazione, dovrebbe esercitarsi il potere emendativo del Parlamento.

Da La Repubblica del 23/01/2012.

giovedì 19 gennaio 2012

La strada inutile della vergogna e dell'arroganza del sindaco Cinque








Guardatele bene queste foto! Una volta lungo questa strada era stato realizzato un marciapiede, s i poteva passeggiare comodamente fino al ponte di Seiano. Guardatele con attenzione queste foto! Una volta al posto di questo “svincolo autostradale aberrante”, c’erano tantissimi ulivi, che ben si sposavano col muro in tufo grigio che si vede dall’altro lato della strada. Guardatele e chiedetevi perché la strada che si “precipita” dalla via Filangieri, nella via Rivo D’Arco sembra essere fuori livello con quest’ultima. Qualcosa non è andato come doveva andare? La Regione non ha pagato le imprese che hanno eseguito i lavori? La Procura sta svolgendo forse indagini su come sono stati condotti queste stessi? Ora c’è una ringhiera fortemente impattante che ha chiuso il varco e le erbacce e l’abbandono sono il segno distintivo dell’incuria dell’Amministrazione Cinque e dell’interesse che questa riserva a territorio. Quest’opera incompiuta, ferma da diversi mesi è ciò che resta di un posto che una volta era un luogo tipico e oggi  è invece un obbrobrio, una vergognosa ostentazione di irresponsabilità, il segno della bruttezza diventata spavaldamente arroganza e protervia istituzionale di questa Amministrazione. La storia di questa strada inutile – per chi scrive- la sappiamo un  poco tutti: doveva servire per trasportare i fanghi del depuratore, i cui lavori pure sono stati inspiegabilmente fermati con il rischio di un devastante inquinamento del mare . Doveva essere una strada di cantiere provvisoria  e invece, è diventata un’orripilante muraglia di cemento che spacca in due la valle del Rivo D’Arco. Il sindaco Gennaro Cinque questo orrore lo ha voluto a tutti i costi: la tempestività e la velocità di come sono stati fatti gli sbancamenti di ulivi, di come sono stati costruiti i piloni di cemento, di come sono state montate quelle vergognose lastre di finta pietra ha dell’inaudito! E ora è tutto fermo. I VAS si chiedono cosa sta succedendo? Di chi sono le responsabilità: perché improvvisamente i soldi non ci sono più? Sono stati spesi prima? Sono stati spesi diversamente? Com’è che anche altri Enti Amministrativi, come la Regione Campania, prima predispongono opere altamente impattanti per il territorio con l’avallo delle Amministrazione locali e poi – dopo aver deturpato e irrimediabilmente offeso il paesaggio- dicono che i soldi non ci sono più? C'è il rischio che le imprese possano, in queste condizioni, uscire dal contratto e dunque le opere rimarranno così come si vedono da queste foto? Come evolveranno i lavori di questo ennesimo sconcio edilizio a Vico Equense?
Franco Cuomo VAS- Vico Equense

lunedì 16 gennaio 2012

Consiglio Comunale e Piano Casa: mantenere alta la guardia i VAS non fanno sconti a nessuno!




Ho avuto modo di leggere con molto interesse il testo della deliberazione n.81 del  Consiglio Comunale del 28 dicembre 2011, avente come oggetto la”Legge Regionale n.19/09 e successive modifiche ed integrazioni. Atto di indirizzo”. Si tratta delle norme relative al famoso – e per me famigerato – “Piano Casa”, Piano che è fonte di grosse preoccupazioni per il rispetto ambientale, per il pericolo di saccheggio edilizio, per la sicura sparizione e distruzione dei nostri storici casolari rurali. I VAS vogliono che vengano studiate ipotesi di recupero atte a soddisfare il bisogno di casa da parte dei cittadini meno abbienti di Vico Equense i quali non possono ricorrere e/o rincorrere il costosissimo mercato immobiliare gonfiato a dismisura da una speculazione incontrollata. Queste ipotesi di studio però, devono avvenire con cautela e soprattutto nel rispetto del Piano Urbanistico Territoriale ( P.U.T.) della Penisola Sorrentina e del nostro Piano Regolatore Generale, più volte manomesso, spesso eluso, frequentemente aggirato e vanificato! L’ atto di indirizzo approvato dal Consiglio Comunale è stato elaborato da una commissione costituita da Dirigenti dei Servizi Urbanistici dei Comuni di Massa Lubrense, Sorrento, Sant’Agnello, Piano di Sorrento, Meta e Vico Equense con l’intento di elaborare uno strumento interpretativo che potesse costituire atto di indirizzo per la valutazione dei progetti presentati ai sensi della legge regionale “Piano Casa”. Il documento in questione, già letto da me a suo tempo e già fonte allora di grosse preoccupazioni ambientali, sarà oggetto di un più attento esame da parte dell’intero Circolo V.A.S. di Vico Equense, con l’intenzione di esprimere un giudizio il più possibile sereno e motivato. Ma, sulla deliberazione, ci sono due aspetti singolari che vorrei subito evidenziare qui di seguito.
Il primo  aspetto è che l’approvazione da parte del Comune di Vico Equense dell’atto di indirizzo è stata inviata ai seguenti Enti: La Soprintendenza ai BB.AA di Napoli, la Direzione Regionale per i Beni Culturale e Paesaggistici della Campania, la Regione- Campania Settore Politica del Territorio, la Regione Campania-Settore Urbanistica, l’Amministrazione Provinciale di Napoli. La singolarità, sta – a mio parere-   nell’aver inviato agli Enti citati e Amministrazioni il documento con una precisazione inaccettabile e pericolosamente ambigua, ovvero: che il mancato riscontro nel termine di 60 giorni sarà inteso come assenso nei confronti di quanto deliberato dal Comune ! Per noi V.A.S. questo silenzio assenso è inaccettabile e fonte di confusione normativa. Ci auguriamo che gli Enti e le Amministrazioni in questione facciano sentire la propria voce, esprimendo un parere meditato e rigoroso su quanto contenuto nell’atto di indirizzo.
Il secondo aspetto singolare, sul quale ho già esposto un preciso quesito cui mi è stata data anche una risposta, ma per la verità per me è stata poco comprensibile, non ha che fare con il documento, ma sulla manifestazione di voto dei tre consiglieri di In Movimento per Vico. I tre Consiglieri Scaramellino, Starace e Maresca,  in sede di votazione sul deliberato del predetto atto consiliare n.81/2011, si sono astenuti. Ora è mia opinione – ovvero  io avrei agito in questo modo-  che su un atto di indirizzo non ci si possa astenere: o lo si approva o lo si respinge . Non ci possono essere vie intermedie! Nel caso in questione poi, a maggior ragione per me resta una posizione incomprensibile, perché il Consigliere Starace, credo di aver capito leggendo il testo del deliberato, anche a nome degli altri due Consiglieri ha dichiarato testualmente “ io voglio dire, approviamo, ma facciamo un cattivo servizio, a mio avviso, e ai funzionari e ai cittadini perché diamo indicazioni superate dalla legge statale”!
Ecco! Con un’affermazione del genere uno si sarebbe aspettato un voto contrario, non una astensione e dunque da qui la singolarità di un comportamento che a mio avviso non è molto chiaro. Io non voglio essere un malpensante, non voglio provocare niente e nessuno, ma è come se si  volesse lasciare intendere: OK!  Viene fatto un cattivo servizio ai cittadini, ma alla fin fine poi non è tanto cattivo e quindi, Pilatus docet, ce ne laviamo le mani e ci asteniamo! Con  il Circolo V.A.S. che rappresento, sollecitiamo invece tutte le forze democratiche ad un controllo estremo su quest’atto di indirizzo, il Piano Casa è per il sottoscritto un attentato al nostro territorio, soprattutto quello rurale, anche questo un regalo del centro sinistra e di Bassolino. Siamo ancora una volta i peggiori d’Europa purtroppo per qualità e difesa dell’ambiente ormai è universalmente riconosciuto e dunque i V.A.S. faranno la loro parte come l’hanno sempre fatta, senza fare sconti a nessuno.
Franco Cuomo  - Circolo V.A.S. Vico Equense

domenica 15 gennaio 2012

una piccola storia di un programma che ha segnato la mia epoca: Bandiera Gialla



Nel 1965 inizia Bandiera Gialla




La capacita' di spedire i dischi in classifica da parte di "Bandiera Gialla" era veramente prodigiosa. La trasmissione, in onda il sabato su Radiodue dalle 17,40 alle 18,30, presentava dodici brani a puntata, divisi in quattro terne da ognuna delle quali usciva un finalista. Alla fine i quattro finalisti gareggiavano fra loro e si proclamava il vincitore, il "disco giallo". Sul sistema di elezione si discusse per anni. I ragazzi in sala avevano una bandierina gialla che veniva alzata per esprimere il gradimento; Gianni Boncompagni, il conduttore, contava le bandierine e lo faceva ad una velocita' vertiginosa, come del resto era impostata tutta la sua conduzione. Qualche volta il conteggio rispecchiava le urla e le bandierine, qualche volta meno. Ma cio' non intacco' minimamente il valore e il pregio di una trasmissione cosi' importante, fondamentale per la trasformazione del contenuto e dello stile della programmazione radiofonica, ancora soltanto Rai, e anche per la formazione dei suoi ascoltatori. A proposito del pubblico, prima di parlare della musica e dei dischi, e' doveroso accennare ai ragazzi che fecero grande questa trasmissione.

Tutto inizio' il 16 ottobre 1965, il giorno della prima puntata, un sabato. Il mercoledi precedente quaranta ragazzi vennero convocati alla sala M di via Asiago, uno studio di medie proporzioni, dove oltre alla regia, i ragazzi, potevano ascoltare e votare le canzoni e, con qualche affanno, anche ballare. Il programma era sponsorizzato ' allora si diceva "offerto" ' da "TV Sorrisi e Canzoni", la piu' diffusa testata di spettacolo, che ancora concedeva molto spazio alla radio. La partenza fu fortissima. Il successo della trasmissione di Gianni Boncompagni e Renzo Arbore ebbe fin dall'inizio un tale seguito da influenzare l'ambiente musicale. Ma furono i ragazzi, con il loro reale entusiasmo, con la voglia di urlare le loro preferenze, con la loro passione ad assicurare il successo di "Bandiera Gialla". A me capito' di entrare nel gruppo di quei ragazzi qualche mese dopo, eravamo gia' nel 1966, quando le registrazioni si effettuavano nel piu' capiente auditorio A, in grado di contenere duecento persone. Molti di que i ragazzi sono rimasti nell'ambiente dello spettacolo con qualche buon risultato: Renato Zero, Mita Medici, Giancarlo Magalli, Stefania Rotolo, Donatella Turri, Loredana Berte', Romina Power, Marzia Straulino, Lalla Frazzi, Alberto Marozzi, Carla Vistarini, Roberto D'Agostino, Cesare Gigli, Giuliana Valci, Paolo Zaccagnini, il sottoscritto. 

Alla fine esplose anche lo studio A e per qualche tempo il programma si trasferi' nell'immenso auditorio Rai del Foro Italico, dove si realizzarono memorabili puntate.

Inutile dire che prima di allora, cogliere un brano musicale giovane, fresco, appena uscito e magari sentirlo presentare in modo adeguato e competente, era praticamente impossibile. L'idea era nata da un viaggio negli Stati Uniti di Giulio Razzi, mitico direttore della radiofonia fin dal 1926. Nipote di Puccini, accademico e compositore lui stesso, Razzi si rese conto che la radio stava cambiando, che i disc-jockey (figura non ancora introdotta in Italia) potevano essere molto piu' efficaci degli speaker. Da li' l'idea di affidare la nuova rubrica a due giovani provinciali con molta voglia di fare: Renzo Arbore, ventottenne foggiano gia' "maestro programmatore" (selezionava i brani musicali per programmi altrui) e il trentatreenne aretino Gianni Boncompagni, che aveva gia' fatto cento mestieri.I successi discografici messi in orbita dal programma non si contano. Basti pensare che per le case discografiche un disco vincitore a "Bandiera Gialla" di solito veniva ristampato con il bollino giallo in copertina per sottolineare quel primato. A cominciare dal primo "disco giallo", "Wooly bully" di Sam The Sham and The Pharaohs o della stessa sigla di apertura "T Bird" di Rocky Roberts, i successi discografici arrivano a grappoli. A fare la parte del leone furono naturalmente i Beatles, gli Stones, Kinks, Beach Boys, Who, Small Faces ma anche molti gruppi italiani quali Equipe 84, Rokes, Nomadi, New Dada, Delfini. La grande stagione del beat, dunque, ma anche la scoperta del rhythm and blues. Questa fu la vera intuizione della coppia Arbore-Boncompagni, ovvero proporre qualcosa che musicalmente andasse al di la' del genere del momento per guardare un po' al di la', per esempio alla black music. La scelta si rivelo' felice e dal 1965 al 1970, nei cinque anni in cui il programma ando' in onda, furono "dischi gialli" molti brani del repertorio di James Brown, Otis Redding, Temptations, Four Tops, Ray Charles, Wilson Pickett. Jackson Five, Arthur Conley e molti altri. Tutti grandissimi che pero' fino a quel momento non avevano beneficiato di nessuna promozione. 
Credo che il 1966 possa essere indicato l'anno migliore sotto tutti i punti di vista.

Il 12 febbraio a vincere fu "Day tripper" dei Beatles, il 19 "Pafff. Bum" di Lucio Dalla ( che al Festival di Sanremo, poche settimane prima, era stato quasi cacciato), il 26 febbraio fu la volta di Sonny & Cher con "It's gonna rain", il 12 marzo nuovamente i Beatles con "Michelle", il 2 aprile Barry Mc Guire con "You were on my mind". Il 16 aprile 1966 ci fu una puntata memorabile: erano in gara Nancy Sinatra con "These boots are made for walking", "Hang on sloopy" dei Mac Coys, "Inside looking out" degli Animals, "Girl" dei Beatles, "Come potete giudicar" dei Nomadi, "You were on my mind" di Barry Mc Guire. A spuntarla fu la giovane Sinatra. 

Il 18 giugno dello stesso an no altro puntatone memorabile con "Io ho in mente te" nella versione di Paul Anka, "A legal matter" degli Who, "Tu te ne vai" dei Delfini, "Il vento dell'est" di Gian Pieretti, "How does that grab you darlin'" di Nancy Sinatra, "I put a spell on you" di Alan Price, un incredibile Fred Bongusto con "Maria ye ye" ( disco cult), lo Spencer Davis Group con "Somebody help me", "It's a man's, man's, man's world" di James Brown e "Sha-la-la-la-lee" degli Small Faces, "disco giallo" in carica. Incredibile a dirsi ma a vincere fu il gruppo veneto dei Delfini: "Tu te ne vai", sul retro "Domani penserai a me", fu probabilmente il loro principale successo. 

Altri importanti vincitori del 1966 furono : Patrick Samson & Les Pheniciens ("Chi puo' dirmi",25 giugno), Rolling Stones ("Paint it, black", 9 luglio), Beatles ("Paperback writer", 16 luglio), Animals ("Don't bring me down", 30 luglio), Ike & Tina Turner ("River deep mountain high", 6 agosto), Roby Crispiano ("Solo io e te", 3 settembre), Troggs ("With a girl like you", 10 settembre), Beatles ("Yellow submarine", 17 settembre), Gianni Pettenati un po' sfacciato ("Bandiera Gialla", 15 ottobre), Rokes ("E' la pioggia che va", 22 ottobre), New Dada ("Lady Jane", 19 novembre), Quelli ("Una bambolina che fa no, no, no", 26 novembre), Otis Redding ("Treat her right", 3 dicembre).


Dario Salvatori

venerdì 13 gennaio 2012

se gli opportunisti danno del cieco ai vedenti

E' continuato il "confronto" tra me e il direttore del Corriere del Mezzogiorno Marco de Marco.


 Lei, se non fosse stato un opportunista, visto che si permette di dare del cieco a me, avrebbe dovuto avere il coraggio di pubblicare la lettera precedente, che rinvio a Lei e a tutti, ma purtroppo, come ho sostenuto il dibattito teorico in questa città è morto. Lei il suo prezzo lo ha pagato , ma in questo paese ce ne sono tanti come Lei. Il mondo vi appartiene è questa la tragedia di questo paese  . Il PCI, ma anche Lotta Continua, Il Movimento per i Lavoratori, per tanta gente come Lei sono stati il trampolino di lancio per brillanti carriere giornalistiche e televisive e ora, Lei si permette di dare del cieco a me! Racconti a chi a meno di 50 anni queste baggianate non a che ne ha più di 60! Onestà ci vuole, onestà morale ed intellettuale! Purtroppo latita da tempo in questo paese!
Franco Cuomo
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Questa è La lettera che il Direttore ha preferito non pubblicare, forse perchè non era troppo carrarmata, o statolatrica, ve la ripropongo. Saluti a tutti.
 

Alcune domande in margine ad una risposta di Marco De Marco a Luigi Nespoli. Dall’ottobre rosso alla rivoluzione arancione: attenti ai miti.



 Caro Luigi, perché te la prendi tanto? Tuo padre non è rimasto comunista? E tu non lo sei diventato? E io? Ci siamo cascati e non possiamo prendercela  con nessuno se siamo finiti in quel  fosso. Ma forse cadere non è stato inutile se poi ne siamo usciti
Questa la breve risposta che il direttore ha dato a Luigi Nespoli che rifletteva, nella pagina di opinioni & commenti sul Corriere del Mezzogiorno di martedì 10 gennaio 2011, sul mito dell’ottobre rosso, sul mito di Kennedy che “ ha tanto entusiasmato lo sprovveduto Veltroni” sui silenzi del filosofo Biagio De Giovanni, chiamato il Suslof partenopeo. La domanda che vorrei fare al direttore Marco De Marco è questa: una volta usciti dal fosso, gentile direttore, potrei sapere dove lei ritiene che siamo finiti? Tralascio lo sprovveduto Veltroni” e tutto quello che ne è derivato compreso il pataracchio Margherita – DS che ha originato un soggetto politico insignificante e non rappresentativo di niente e di nessuno come il PD, ma  dove siamo finiti ora? Se i miti sono pericolosi, perché se ne continua a coltivare ancora uno con tutta la pervicacia e la protervia che conosciamo? Sto parlando naturalmente del mito capitalista, in forza del quale i ceti più disagiati del paese stanno continuando a pagare  lo scotto di una crisi finanziaria prevista e addirittura programmata dalle banche, producendo una disuguaglianza sociale tra ceti poveri e ceti ricchi mai così vistosa come oggi? Sembrerebbe che questo sia l’unico mito che non sia sottoposto a critica o verifica. Sembrerebbe che quando si parla di comunismo le uniche figure che riusciamo a farci venire alla mente siano solo i carri armati cecoslovacchi o le purghe staliniane e il totalitarismo statalista. Perché non ricordare le lucide analisi di Gramsci, le raffinate interpretazioni di Karl Marx, quelle che il professore De Giovanni amava chiosare in interminabili ed ormai irripetibili lezioni, oggi che se ne riscopre l’attualità di inediti conservati ad Amsterdam? Perché non si ricordano le battaglie di civiltà e di lotta fatte per la dignità degli uomini e dei lavoratori? Perché non si ricordano gli ideali di fratellanza universale e di solidarietà? Sono mitologie pericolose queste? La mitologia dello spread è forse più umana? Ma è poi vero che democrazia parlamentare e capitalismo non confliggono,  quando i poteri dell’alta finanza fanno volentieri e spesso a meno  di ciò che la gente ha espresso nella cabina elettorale indipendentemente da ciò che è stato espresso? Era solo il comunismo che creava totalitarismi statolatrici? E che dire delle raffinate forme di controllo mediatico contemporanee per le quali il sistema capitalistico è l’unica forma politico-economica che si riconosce? Un’idea che ormai passa quasi come imperativo naturale su tutti gli organi di informazione. In Miseria della Filosofia Karl Marx scrisse che l’ideologia borghese ( finanziaria n.d.r.) ama storicizzare ogni forma sociale, religiosa e culturale che dunque diventa storica, contingente e relativa – ogni forma, tranne la propria. Una volta c’era la storia, oggi non c’è più nessuna storia, ma solo l’unica realtà “naturalmente” possibile: quella capitalistica, l’unica forma che la borghesia finanziaria riconosce come naturale agli uomini. Dunque gentile direttore di cosa stiamo parlando? E’ stato utile per cosa o per chi uscire dal fosso? Per quanto mi riguarda, io non ci sono cascato, ma ci sono sempre stato dentro consapevolmente, ammettendo che di fosso si trattasse. Ma pur essendo stato e continuando ad essere profondamente critico, continuo a conservare un patrimonio culturale inestimabile per lucidità e raffinatezza di pensiero e ne sono molto fiero, mi creda.
Franco Cuomo 
 
 

martedì 10 gennaio 2012

Alcune domande in margine ad una risposta di Marco De Marco a Luigi Nespoli. Dall’ottobre rosso alla rivoluzione arancione: attenti ai miti.



Caro Luigi, perché te la prendi tanto? Tuo padre non è rimasto comunista? E tu non lo sei diventato? E io? Ci siamo cascati e non possiamo prendercela  con nessuno se siamo finiti in quel  fosso. Ma forse cadere non è stato inutile se poi ne siamo usciti
Questa la breve risposta che il direttore ha dato a Luigi Nespoli che rifletteva, nella pagina di opinioni & commenti sul Corriere del Mezzogiorno di martedì 10 gennaio 2011, sul mito dell’ottobre rosso, sul mito di Kennedy che “ ha tanto entusiasmato lo sprovveduto Veltroni” sui silenzi del filosofo Biagio De Giovanni, chiamato il Suslof partenopeo. La domanda che vorrei fare al direttore Marco De Marco è questa: una volta usciti dal fosso, gentile direttore, potrei sapere dove lei ritiene che siamo finiti? Tralascio lo sprovveduto Veltroni” e tutto quello che ne è derivato compreso il pataracchio Margherita – DS che ha originato un soggetto politico insignificante e non rappresentativo di niente e di nessuno come il PD, ma  dove siamo finiti ora? Se i miti sono pericolosi, perché se ne continua a coltivare ancora uno con tutta la pervicacia e la protervia che conosciamo? Sto parlando naturalmente del mito capitalista, in forza del quale i ceti più disagiati del paese stanno continuando a pagare  lo scotto di una crisi finanziaria prevista e addirittura programmata dalle banche, producendo una disuguaglianza sociale tra ceti poveri e ceti ricchi mai così vistosa come oggi? Sembrerebbe che questo sia l’unico mito che non sia sottoposto a critica o verifica. Sembrerebbe che quando si parla di comunismo le uniche figure che riusciamo a farci venire alla mente siano solo i carri armati cecoslovacchi o le purghe staliniane e il totalitarismo statalista. Perché non ricordare le lucide analisi di Gramsci, le raffinate interpretazioni di Karl Marx, quelle che il professore De Giovanni amava chiosare in interminabili ed ormai irripetibili lezioni, oggi che se ne riscopre l’attualità di inediti conservati ad Amsterdam? Perché non si ricordano le battaglie di civiltà e di lotta fatte per la dignità degli uomini e dei lavoratori? Perché non si ricordano gli ideali di fratellanza universale e di solidarietà? Sono mitologie pericolose queste? La mitologia dello spread è forse più umana? Ma è poi vero che democrazia parlamentare e capitalismo non confliggono,  quando i poteri dell’alta finanza fanno volentieri e spesso a meno  di ciò che la gente ha espresso nella cabina elettorale indipendentemente da ciò che è stato espresso? Era solo il comunismo che creava totalitarismi statolatrici? E che dire delle raffinate forme di controllo mediatico contemporanee per le quali il sistema capitalistico è l’unica forma politico-economica che si riconosce? Un’idea che ormai passa quasi come imperativo naturale su tutti gli organi di informazione. In Miseria della Filosofia Karl Marx scrisse che l’ideologia borghese ( finanziaria n.d.r.) ama storicizzare ogni forma sociale, religiosa e culturale che dunque diventa storica, contingente e relativa – ogni forma, tranne la propria. Una volta c’era la storia, oggi non c’è più nessuna storia, ma solo l’unica realtà “naturalmente” possibile: quella capitalistica, l’unica forma che la borghesia finanziaria riconosce come naturale agli uomini. Dunque gentile direttore di cosa stiamo parlando? E’ stato utile per cosa o per chi uscire dal fosso? Per quanto mi riguarda, io non ci sono cascato, ma ci sono sempre stato dentro consapevolmente, ammettendo che di fosso si trattasse. Ma pur essendo stato e continuando ad essere profondamente critico, continuo a conservare un patrimonio culturale inestimabile per lucidità e raffinatezza di pensiero e ne sono molto fiero, mi creda.
Franco Cuomo 

mercoledì 4 gennaio 2012

Se l'assessore è "folgorato" improvvisamente dall'ambientalismo



Leggo stamattina su Metropolis, 4/01/2012 una dichiarazione, a dir poco sconcertante, dell’assessore Antonio De Martino sulla sua volontà di “fare chiarezza” circa la scomparsa di una parte di spiaggia sotto il costone del Vescovado, chiamata, non si sa da chi,“ spiaggia dell’amore”. La causa sarebbe una mareggiata ma anche, a suo dire, per i lavori della scogliera soffolta sotto quella che una volta si chiamava “zampa del leone”. Il giornale scrive che l’assessore è stato il primo a lanciare l’allarme e per questo vuole vederci chiaro. La notizia è stata riportata anche da Il Mattino dello stesso giorno, quest’ultimo si ricorda di dire che i lavori della scogliera furono oggetto di critica da parte dei VAS. Ripropongo all'attenzione di tutti un mio articolo scritto il 17 ottobre dell’anno appena passato per rinfrescare la memoria dell’assessore folgorato "sulla strada di Damasco" e dei giornalisti, aggiungendo che forse sarebbe il caso di dare anche un’occhiata alla sparizione ben più grave della spiaggia del Pezzolo, unico spazio balneabile non privatizzato, ad opera di una scogliera ben più lunga di quella sita sotto il Vescovado. Per accorgersene basta affacciarsi al bel vedere La Villetta e guardare di fronte allo scoglio detto “ La chiana”: dove prima c’era la spiaggetta petrosa del Pezzolo, ora il mare sta salendo inesorabilmente, lasciando scoperti gli scogli che prima erano sotto la sabbia e il pietrisco. Un segno inequivocabile della sua avanzata. Si dirà che i lavori furono appaltati dalla Provincia, ma al Sindaco sarebbe spettata l’ultima parola per difendere un territorio su cui lui ha la giurisdizione. Non lo ha fatto ed ecco i risultati: il sottoscritto aveva denunciato quello che ora sta accadendo già quattro mesi fa. Ora l'allarme lanciato addirittura dall'assessore io però mi chiedo: chi pagherà per questi danni ? Chi pagherà per la scomparsa di quelle già piccolissime spiagge che avevamo? Eccovi l’articolo che tra l’altro, è stato pubblicato sulla Rivista nazionale dei VAS nel numero appena uscito Nov/Dic 2011:

Ci troviamo ancora una volta davanti ad un intervento arbitrario e violento nei confronti della natura che non può difendersi stabilito  dal sindaco Gennaro Cinque insieme alla Provincia. Stamattina una chiatta con pietre e gru scaricava massi  vicino allo scoglio detto “ la Chiana”, per la realizzazione di una scogliera soffolta; già qualche mese fa, la stessa chiatta ha scaricato scogli sotto il Vescovado, l’intervento promosso dall’assessore provinciale Piergiorgio Sagristani ha come obiettivo quello di “utilizzare una scogliera sommersa  che è il compromesso tra le esigenze di rispettare l’importanza paesaggistica del sito con un’opera a scarso impatto ambientale e visivo e la realizzazione di una struttura che raggiunga l’obiettivo della costa”, ovvero, per difendere il costone di falesie calcaree dai crolli. Il costo dell’opera ammonta a circa 400 mila euro ed è stata vinta dall’associazione temporanea di impresa Cem Spa e Aequa Mar. [...] Mi chiedo intanto: chi ha fatto gli studi preliminari ambientali? Quelli sui sistemi di correnti marine e sui venti, che dovrebbero essere finalizzati alla individuazione ed alla relativa valutazione degli impatti sulle componenti ambientali, determinati dalla realizzazione delle opere in progetto,sia durante la fase di cantiere che durante la fase di esercizio?  Sono state studiate e determinate le pendenze dei fondali antistanti la spiaggia emersa al fine di risalire e prevedere con ampio anticipo la tendenza evolutiva della linea di costa? L’ erosione delle spiagge o l’insabbiamento inizia sempre con la tendenza all’approfondimento o all’aumento della pendenza dei fondali. Chi ha fatto questi studi, e se sono stati fatti dove sono? Chi sono gli esperti oceanografi che hanno redatto le tavole batimetriche? Da un esame delle sezioni di uno studio batimetrico si i può evincere quali potranno essere le modificazioni significative dei fondali, le quali  avvengono sempre entro la quota batimetrica – 5, al di là della quale non si osservano modificazioni di rilievo. Premesso ciò, mi chiedo: quanto è profondo il mare vicino lo scoglio della “ Chiana”? E quali falesie ci sono da proteggere in quel tratto di costa?  Si è tenuto conto poi, dei milioni di metri cubi di detriti che il Rivo D’Arco scarica a mare poco distante dal lì dopo abbondanti piogge? A tal proposito chi ha fatto i rilievi sedimentologici? Una spiaggia emersa inoltre ha caratteristiche granulometriche proprie, vale a dire la consistenza fisica delle coste sia di quelle emerse che di quelle sommerse e la loro composizione ovvero i materiali di cui sono composte. Sono state eseguite queste tutte queste analisi? Tutte le sezioni analizzate in corrispondenza delle scogliere artificiali già realizzate, denotano un abbassamento del fondale al piede della scogliera, fino ad una quota batimetrica –5, che se da una parte riduce l’energia del moto ondoso dall’altra aumenta la turbolenza nella zona retrostante la struttura. Nelle zone dove sono presenti varchi tra due scogliere consecutive, si rileva che a causa della diffrazione delle onde, la linea di riva assume un andamento circolare e le pendenze significative del fondale tendono ad approfondirsi ad una quota batimetrica -7.5. Sto tentando di dire che la costruzione di una scogliera soffolta in un tratto di mare non molto profondo come il nostro, può compromettere seriamente i fondali, la fauma marina ed il paesaggio e trasformare la costa. C’è il tentativo di allargare gli arenili per fare affari, è l’unica preoccupazione di questa gente,  ma non si valuta il rischio che dietro le scogliere gli arenili potrebbero scomparire? Mentre la storia dei crolli delle falesie calcaree non si risolve solo con le scogliere soffolte. Dunque un’altra aggressione alla natura inerme un altro affare fatto passare per necessario. Qualche esperto improvvisato del nostro comune, una volta disse che vicino alla “ Chiana” c’era un parco archeologico sommerso, ammettendo che questa panzana fosse vera, che fine ha fatto quel parco? C’erano da spendere 400 mila euro, c’erano delle pietre da scaricare da qualche parte si è trovata subito la finalità e i mezzi: una chiatta con gru e via con la scogliera. Nessuno ha detto a questo sindaco o a Sagristani e Cesaro, che le scogliere sono una cosa seria e che se fatte male possono compromettere fondali e paesaggio? Ancora una volta quest’uomo rozzo e poco accorto attenta al mio paesaggio, al mio ambiente e dico mio perché non vedo nessun altro indignarsi per queste operazioni. Come VAS  chiederemo, come facciamo sempre, gli studi eseguiti, se ci sono,sperando che non siano della stessa acutezza e precisione di quelli fatti fare per l’installazione dei ripetitori di telefonia mobile.
17/10/2011

Franco Cuomo VAS –Vico Equense