martedì 10 gennaio 2012

Alcune domande in margine ad una risposta di Marco De Marco a Luigi Nespoli. Dall’ottobre rosso alla rivoluzione arancione: attenti ai miti.



Caro Luigi, perché te la prendi tanto? Tuo padre non è rimasto comunista? E tu non lo sei diventato? E io? Ci siamo cascati e non possiamo prendercela  con nessuno se siamo finiti in quel  fosso. Ma forse cadere non è stato inutile se poi ne siamo usciti
Questa la breve risposta che il direttore ha dato a Luigi Nespoli che rifletteva, nella pagina di opinioni & commenti sul Corriere del Mezzogiorno di martedì 10 gennaio 2011, sul mito dell’ottobre rosso, sul mito di Kennedy che “ ha tanto entusiasmato lo sprovveduto Veltroni” sui silenzi del filosofo Biagio De Giovanni, chiamato il Suslof partenopeo. La domanda che vorrei fare al direttore Marco De Marco è questa: una volta usciti dal fosso, gentile direttore, potrei sapere dove lei ritiene che siamo finiti? Tralascio lo sprovveduto Veltroni” e tutto quello che ne è derivato compreso il pataracchio Margherita – DS che ha originato un soggetto politico insignificante e non rappresentativo di niente e di nessuno come il PD, ma  dove siamo finiti ora? Se i miti sono pericolosi, perché se ne continua a coltivare ancora uno con tutta la pervicacia e la protervia che conosciamo? Sto parlando naturalmente del mito capitalista, in forza del quale i ceti più disagiati del paese stanno continuando a pagare  lo scotto di una crisi finanziaria prevista e addirittura programmata dalle banche, producendo una disuguaglianza sociale tra ceti poveri e ceti ricchi mai così vistosa come oggi? Sembrerebbe che questo sia l’unico mito che non sia sottoposto a critica o verifica. Sembrerebbe che quando si parla di comunismo le uniche figure che riusciamo a farci venire alla mente siano solo i carri armati cecoslovacchi o le purghe staliniane e il totalitarismo statalista. Perché non ricordare le lucide analisi di Gramsci, le raffinate interpretazioni di Karl Marx, quelle che il professore De Giovanni amava chiosare in interminabili ed ormai irripetibili lezioni, oggi che se ne riscopre l’attualità di inediti conservati ad Amsterdam? Perché non si ricordano le battaglie di civiltà e di lotta fatte per la dignità degli uomini e dei lavoratori? Perché non si ricordano gli ideali di fratellanza universale e di solidarietà? Sono mitologie pericolose queste? La mitologia dello spread è forse più umana? Ma è poi vero che democrazia parlamentare e capitalismo non confliggono,  quando i poteri dell’alta finanza fanno volentieri e spesso a meno  di ciò che la gente ha espresso nella cabina elettorale indipendentemente da ciò che è stato espresso? Era solo il comunismo che creava totalitarismi statolatrici? E che dire delle raffinate forme di controllo mediatico contemporanee per le quali il sistema capitalistico è l’unica forma politico-economica che si riconosce? Un’idea che ormai passa quasi come imperativo naturale su tutti gli organi di informazione. In Miseria della Filosofia Karl Marx scrisse che l’ideologia borghese ( finanziaria n.d.r.) ama storicizzare ogni forma sociale, religiosa e culturale che dunque diventa storica, contingente e relativa – ogni forma, tranne la propria. Una volta c’era la storia, oggi non c’è più nessuna storia, ma solo l’unica realtà “naturalmente” possibile: quella capitalistica, l’unica forma che la borghesia finanziaria riconosce come naturale agli uomini. Dunque gentile direttore di cosa stiamo parlando? E’ stato utile per cosa o per chi uscire dal fosso? Per quanto mi riguarda, io non ci sono cascato, ma ci sono sempre stato dentro consapevolmente, ammettendo che di fosso si trattasse. Ma pur essendo stato e continuando ad essere profondamente critico, continuo a conservare un patrimonio culturale inestimabile per lucidità e raffinatezza di pensiero e ne sono molto fiero, mi creda.
Franco Cuomo 

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