lunedì 20 luglio 2020

Finalmente la guerra finì

             
Lei, 1945
 Finalmente la guerra finì, era l'8 maggio 1945 con la resa tedesca, era una luminosissima giornata di primavera. Dopo l’annuncio dato alla radio o per qualche altoparlante, la gente si riversò nelle strade, abbracciandosi, stringendosi, chi piangeva di gioia chi sventolava bandiere, le campane della chiesa suonavano a distesa, ma si sentiva, anche, portato dalla brezza di maggio lo scampanio, di quelle di Marano, di Qualiano e di Giugliano.   
            Ma le vicende assai particolari che caratterizzarono quel momento  davano un quadro assai disordinato ed era  difficile il compito di stabilire chi erano vinti e chi erano i vincitori, ma a tutta quella gente questo non importava. Mamma, insieme ai fratelli (dei due partiti non si sapeva ancora il destino e come vi ho già detto qualche pagina prima tornarono dopo un rocambolesco “viaggio”), corse nella piazza dove si era raccolto tutto il paese, tra le scale della chiesa e il fusto di cannone che commemorava i caduti della prima guerra, aveva vent’anni e con la sorella Teresa e i cugini e le cugine festeggiavano insieme a tutti la fine di un incubo. C’era gioia, felicità e la speranza di ricominciare a vivere in pace. In un mese, tra i primi di aprile e la prima settimana di maggio del 1945, a distanza di poche ore, si consumava una tragedia collettiva che aveva fatto circa cinquanta milioni di morti tra militari e popolazione civile. Mussolini scappava travestito da tedesco e veniva preso e fucilato presso il confine italiano, e Hitler si sparava un colpo di pistola o forse lo sparò qualcun altro nel proprio bunker a Berlino. Il mondo non ne poteva più. Mamma nella sua ingenua felicità, rideva, saltava,come una bambina, una ventenne di allora era come una decenne di oggi e forse nemmeno,si stringeva ai cugini, pensava a mio padre conosciuto nel 1939, quando aveva fatto una gita con il parroco di Calvizzano e si erano innamorati, lei quattordicenne e lui quindicenne che giocava a pallone “in mezzo alla domina” sei anni prima, e poi rincontrato  un anno prima a Vico, quando lei era insieme alla famiglia Finicelli, dove faceva compagnia alla signora Giovanna, tutti sfollati da  Napoli a Vico, ospitati a Villa Paradiso. Gioiva e si stringeva alla sorella e stretta in un sentimento al quale neanche lei sapeva dare un nome ma che sapeva certo in che direzione andare.
La direzione però, fu quella che il fratello maggiore, Raffaele  decise, come spesso accadeva allora: padri padroni e fratelli padroni e la direzione fu  che per mia madre era giunto il momento di portare soldi a casa zia Teresa già lavorava da tre anni e dunque ora toccava pure a lei. Zio Raffaele lavorava nella fabbrica dei Finicelli, ai Ponti Rossi, la fabbrica produceva gavette in alluminio per l’esercito italiano, l'attività della famiglia Finicelli  crebbe moltissimo durante la prima guerra mondiale e la seconda. Abitavano tutti a Villa Bozzi, sempre ai Ponti Rossi, oggi la villa è di proprietà di un ente religioso, ma allora, grandissima, era abitata da famiglie facoltose, compresi i proprietari: i marchesi Bozzi. Nella villa abitavano i signori Brown, i marchesi Bozzi che erano i proprietari della villa. I Brown avevano uno splendido e grande appartamento. La villa era davvero molto grande, un monumento nazionale insieme al grande  e splendido parco che, ancora oggi, confina con il bosco di Capodimonte. I Brown c’erano arrivati da poco, nel 1945, e la signora Pia, moglie di mister Clemence: una donna elegante e schiva che- dai modi aristocratici – a dire di mia madre- somigliava alla La signora Parkington, la protagonista di un film di allora e che,  aveva sempre un atteggiamento amorevole e gentile con lei, capitata in quell’enorme condominio benestante. Poi c’erano i signori Scholl, il direttore Scholl, tramite il quale mio padre fu assunto a lavorare come contabile nella OSRAM , il cui figlio Nino era allora fidanzato con la figlia dei marchesi Bozzi, la bellissima Sara, che di li a poco sposò, i signori Fortunato e, appunto poi i signori Finicelli,  che erano tre famiglie in una, una enorme famiglia patriarcale. Ogni famiglia contava circa una dozzina di figli, e vivevano in un’altra ala della villa, ognuna occupando un piano, e spesso pranzavano insieme. Ogni volta era una festa, anche perché la signora Giovanna era una bravissima cuoca esperta in fritture. Quando un fratello del signor Giovanni decideva di  portava tutti i nipoti e i figli al cinema, noleggiava più carrozzelle, e dai Ponti Rossi, percorrendo tutta via  Foria arrivavano in centro. Fu così che  il signor Giovanni Finicelli chiese a mio zio Raffaele, se conoscesse qualche ragazza che potesse tener compagnia a sua madre già vecchia, perché lui era sempre occupato in fabbrica e la moglie, la signora Giovanna era impegnata nell’educazione delle sue figlie, Assunta e Concetta, ovvero:  Susi e Nuccia che divennero compagne di giochi di mia madre.
Una decina di anni fa, quando lei ancora riusciva a camminare,  la portai a Villa Bozzi ( oggi c’è un istituto religioso ) e lei, prima un po’ riluttante, come se quel luogo non gli appartenesse o forse non lo aveva mai amato, ricordò tutto, come per incanto: la scuderia, il campo da tennis dove giocavano Sara e Nino, la foresteria, il poggio, e il piccolo belvedere da dove si vedeva la chiesa del Volto Santo, dove lei si incontrava con papà.
E’ lei che mi ha raccontato tutto questo, ma quando lo faceva, stringendo i piccoli occhi, per me era come se avessi già saputo tutte quelle cose, quei nomi, quei racconti, quegli intrighi di vite che si mescolavano in un tempo di profondi sconvolgimenti ero già con lei, ero già lei.

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