giovedì 24 novembre 2011

Perché la tolleranza non può bastare


slavoj zizek

Dieci anni fa, quando la Slovenia stava per entrare nell’Unione europea, uno dei nostri euroscettici parafrasò una battuta dei fratelli Marx sugli avvocati: noi sloveni abbiamo un problema? Entriamo nell’Unione europea! Avremo ancora più problemi ma ci sarà l’Unione a farsene carico! È così che oggi molti sloveni vedono l’Europa: è utile ma porta anche nuovi problemi. E allora vale la pena difendere l’Unione europea? La vera domanda, ovviamente, è un’altra: quale Unione europea?
Un secolo fa Gilbert Keith Chesterton spiegava chiaramente l’impasse fondamentale della critica alla religione: “Uomini che cominciano a combattere la chiesa per amore della libertà e dell’umanità, finiscono per combattere anche la libertà e l’umanità pur di combattere la chiesa”. Lo stesso vale per i difensori della religione. Quanti fanatici difensori della religione hanno cominciato attaccando la cultura laica e hanno finito con il tradire qualsiasi esperienza religiosa? Così molti paladini liberali sono ansiosi di combattere il fondamentalismo antidemocratico e finiscono per allontanarsi da libertà e democrazia. Se i “terroristi” sono pronti a radere al suolo questo mondo in nome di un altro, i nostri guerrieri antiterroristi sono pronti a radere al suolo il loro mondo democratico in preda all’odio per quello musulmano.
Zelo xenofobo
Non si può dire lo stesso dei difensori dell’Europa contro la minaccia degli immigrati? Con il loro zelo nel proteggere la tradizione giudaico-cristiana, i nuovi zeloti sono pronti a tradire il cuore della tradizione giudaico-cristiana: cioè la possibilità per ogni individuo di avere accesso all’universalità dello spirito santo (oppure, oggi, dei diritti umani e della libertà ) e di poter partecipare a questa dimensione universale direttamente, senza tener conto del posto occupato nell’ordine sociale globale.
L’impasse dell’Europa ha però radici molto più profonde. Il vero problema è che chi critica l’ondata xenofoba, cioè chi vorrebbe difendere le preziose tradizioni europee, tende invece a limitarsi al rituale di accettare umilmente i limiti delle tradizioni europee e di celebrare la ricchezza di altre culture. Le parole della poesia La seconda venuta di William Butler Yeats rendono bene la situazione: “I migliori mancano di ogni convinzione, mentre i peggiori sono pieni di intensità appassionata”. È un’eccellente descrizione dell’attuale divisione tra progressisti timidi e fondamentalisti appassionati, sia musulmani sia cristiani. “I migliori” non sono più capaci di impegnarsi a fondo, mentre “i peggiori” sposano il fanatismo religioso, sessista e razzista.
Come uscire da quest’impasse? Un recente dibattito tedesco può indicarci la strada. A ottobre la cancelliera Angela Merkel ha detto che “l’approccio multiculturale ha fallito”. Le sue parole si riferivano al dibattito sulla Leitkultur (cultura dominante) in cui i conservatori tedeschi insistevano che ogni stato è basato su uno spazio culturale dominante che i membri di altre culture devono rispettare. Il senso di queste parole è che invece di lamentarci dell’emergente Europa razzista dovremmo fare autocritica e chiederci quanto il nostro astratto multiculturalismo abbia contribuito al triste stato delle cose.
Le culture diverse devono convivere
Se tutti gli schieramenti non condividono la stessa civiltà, allora il multiculturalismo si trasforma in reciproca ignoranza o odio regolati legalmente. Il conflitto sul multiculturalismo è già un conflitto sulla Leitkultur: non è uno scontro tra culture ma tra differenti visioni di come culture diverse possano e debbano convivere, e sulle regole e i comportamenti che queste culture devono condividere.
Dunque bisognerebbe evitare di restare imprigionati nel gioco su “quanta tolleranza possiamo permetterci”. L’unico modo di uscire da quest’impasse è impegnarsi e lottare per un progetto positivo universale condiviso da tutti. Le battaglie possibili in questo senso sono molte, dall’ecologia all’economia. Alcuni mesi fa nella Cisgiordania occupata è avvenuto un piccolo miracolo: ad alcune donne palestinesi che manifestavano contro il muro si è unito un gruppo di lesbiche israeliane. La reciproca diffidenza iniziale è svanita al primo scontro con i soldati, lasciando il posto alla solidarietà: alla fine una donna palestinese in abiti tradizionali ha abbracciato una lesbica israeliana con i capelli viola. Un simbolo vivente di quale dovrebbe essere la nostra battaglia.
E così, forse, il sarcasmo dell’euroscettico sloveno non ha colto il senso della questione. Invece di perder tempo su costi e benefici dell’Unione europea, dovremmo concentrarci su cosa l’Ue rappresenta davvero. Agisce principalmente come regolatore del capitalismo globale, a volte flirta con la difesa conservatrice della sua tradizione. Entrambe le strade portano alla marginalizzazione del vecchio continente. L’unica via d’uscita è resuscitare la propria tradizione di emancipazione radicale e universale. Bisogna andare oltre la semplice tolleranza degli altri e sposare una reale Leitkultur che possa sostenere un’autentica coesistenza. Non limitarsi a rispettare gli altri, ma offrire loro una battaglia comune, come comuni sono oggi i nostri problemi.
Traduzione di Andrea Sparacino.
Internazionale, numero 888, 11 marzo 2011

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