sabato 22 aprile 2017

Uno spettacolo da non perdere e una prova di grande bravura per due interpreti eccezionali: Ernesto Lama e Elisabetta D’Acunzo: “Le cinque rose di Jennifer” di Annibale Ruccello

Ernesto Lama in "Le cinque rose di Jennifer"

Elisabetta D'acunzo e Ernesto Lama in " Le cinque rose di Jennifer"




La rappresentazione della solitudine, un canto a due voci crudo ed essenziale, senza sbavature, questa è la piéce  teatrale che Elisabetta D’acunzo e Ernesto Lama stanno rappresentando al teatro Elicantropo a via dei Gerolomini e che si protrarrà fino a domani sera.Le cinque rose di Jennifer rappresentata per la prima volta nel 1981, è l'opera d'esordio dell'allora ventiquattrenne Annibale Ruccello. Nella prima rappresentazione, fu lo stesso Ruccello a interpretare il ruolo della protagonista. Io l’ho visto per tre volte interpretato da lui, mentre il ruolo di Anna fu interpretato rispettivamente  da Francesco Silvestri e poi da Vanni Baiano poi, sono passati più di trent’anni. Ieri sera Ernesto Lama e Elisabetta D’acunzo ne hanno dato una versione  che per molti aspetti avvicina il dramma alla fonte originaria che ispirò l’allora giovanissimo Ruccello: “La voce umana” di Cocteau, un autore molto amato dal drammaturgo stabiese. Nell’opera di Cocteau,  in scena è presente solamente una donna al telefono. L'opera rappresenta una complicata rottura di un rapporto d'amore. La donna, dopo essere stata lasciata, telefona al suo amante (del quale non si sente mai la voce all'altro capo del telefono) che ama ancora. La protagonista tenta anche il suicidio. A causa del basso livello del servizio telefonico di Parigi di quel tempo la conversazione viene interrotta più volte. In “ Jennifer” di Ruccello un travestito malinconico, sensibile e romantico che vive in un monolocale a Napoli. Indifferente al  serial killer che sta mietendo vittime nel suo quartiere, Jennifer non esce più di casa da molto tempo, trastullandosi tra maquillages vistosi e pesanti e indossando misé trash e di cattivo gusto, un po’ come tutta l’atmosfera nella quale si svolge il dramma: una camera da letto pacchiana  con una consolle piena degli oggetti del trucco e una radio sempre accesa. Jennifer non esce più  perché sta aspettando una telefonata da Franco, toro ascendente scorpione, l'ingegnere di Genova con cui ha intrapreso una relazione tempo prima e a cui nell'attesa continua a dedicare, telefonando a Radio Cuore libero "Se perdo te" di Patty Pravo: con quella, si crogiola in un illusorio ritorno  dell’amante. Purtroppo è ben difficile capire quando (e se) Franco chiamerà: il telefono di Jennifer, per un cattivo funzionamento della linea (come in Cocteau), sembra infatti intercettare tutte le chiamate del quartiere, creando fraintesi e malintesi. Quando lo vidi nell’81, quello spettacolo fu veramente un pugno nello stomaco: noi ( io e Franco Autiero) che eravamo gli amici intimi di Ruccello, capimmo che quell’opera prima rappresentava lo spartiacque nella drammaturgia partenopea, tra il vecchio e il nuovo, e  fece veramente scalpore: l’alienazione urbana, l’irruzione delle emittenti private che allora – stupidamente chiamavamo libere – la questione delle sessualità omosessuale. Quella di Ernesto Lama ieri è stata una scelta molto coraggiosa. Lo è stata perché i tempi sono cambiati: oggi i transgender o i transessuali sono invitati in prima serata nelle cosiddette fasce non protette,  mentre i social network rappresentano dal vivo in simultanea ogni genere di spettacolo degno e indegno. Lo è stata perché Ernesto Lama e Elisabetta D’Acunzo, che nella piéce è Anna, e che non è un altro travestito, come nella versione originale, ma una donna, evitando sbavature e tratti caricaturali ci restituiscono un clima di opprimente solitudine. Annibale Ruccello era notoriamente un omosessuale consapevole, interpretare Jennifer anche caricando molti atteggiamenti, gli veniva naturale, in fondo Jennifer era Annibale stesso. Una sfida molto dura per Ernesto Lama, che non è omosessuale e dunque, sarebbe potuto  scivolare rapidamente  in caratterizzazione ridicole o caricaturali. Così non è stato. La professionale bravura di un grande interprete del teatro qual' è Lama, ci ha restituito una Jennifer drammatica, cruda, a tratti crudele e impietosa nell’esasperazione di una solitudine /destino e che accomuna nello stesso destino, la solitudine di una donna, Anna la cui unica compagnia era quella della sua gatta Rusinella. Una rilettura giusta , alla luce dei nostri tempi, e la considerazione amara che la solitudine è una condizione universale che accomuna tutti. Uno spettacolo da non perdere con la colta regia di Peppe Miale e una scenografia che, col grande specchio posto al centro della sala come un grande schermo, catapultava tutti noi nell’asfissiante monolocale Jennifer. Veramente una prova di grande bravura per due interpreti eccezionali: Ernesto Lama e Elisabetta D’Acunzo.


Franco Cuomo -22.04.2017 

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