Il ritorno dell’arcaico in un pomeriggio d’agosto: il femme niello come rappresentazione archetipale di una verità interdetta che scompare.
Luigi Di Cristo, Presidente dell'AFAN ( Associazione Femmenelle Antiche Napoletane)
Ciro Cascina attore e poeta
“ i riti della Gnosi e delle sette esoteriche, sono abbastanza simili a quelli del sabba o del Carnevale per riconoscervi le membra deiecta di tale religione […] se prestiamo attenzione alle descrizioni dei sabba, abbiamo già supposto che la realtà che vi si nasconde è quella del Carnevale, nel corso del quale gli uomini si travestono da donna, spesso da vecchia, e onorano il loro dio, il becco, con riti quali; il soffia culo, il baciaculo, o il fuoco alle chiappe.[…] E’nella prospettiva del travestimento che trova risposta la questione del sesso degli stregoni, dei travestiti, ma anche di quello dei preti o ( spesso uomini mascherati nello loro lunghe vesti ). Assenza e timore della donna reale, travestimenti e mimiche che permettono di imitarla. Non è qui solo in causa l’omosessualità o la sodomia. Molte descrizioni, sottolineano l’importanza in seno alle confraternite maschili che si travestono, del parto spirituale anale, come ce lo descrive il re di Torelore “.[1]
Quando in un assolato pomeriggio di questo agosto Luigi Di Cristo, presidente dell’AFAN ( Associazione Femmenelle Antiche Napoletane), mi venne a prendere alla stazione di Castellammare e mi parlò di un progetto che aveva a cuore, a me venne in mente il passo che ho citato in apertura e il motivo è presto detto. Il progetto era la conservazione della cultura del femminello o della femminella o del femmeniello, anzi la diffusione del rito delmatrimonio dei femmenielli e della figliata dei femme nielli . Era la prima volta che ci incontravamo, mi colpì la delicatezza dell’espressione, una collana di corallo, e un buon odore di sandalo, per il resto, sembrava uscito direttamente dagli anni ’70, dalla cultura hippy. In un momento mi raccontò la sua vita movimentata e nomade, così immensamente diversa dalla mia stanziale e monotona: India, Olanda, Marocco e soprattutto collaborazioni col fior fiore dell’antropologia culturale e dell’etnografia: Georges Lapassade, scomparso da poco, un intellettuale come Pino Simonelli, Dominique Fernandez. Autori e nomi che nei primi anni ’70 avevo avvicinato e studiato insieme ad Annibale Ruccello e Franco Autiero tramite Roberto De Simone. Quell’incontro, come un flash sparato negli occhi, mi riportava alla memoria episodi che credevo cancellati e rimossi dalla mia vita e dai miei interessi culturali di oggi. E mentre lui guidava e parlava con passione e con foga, attraversavamo Torre Annunziata e ci inerpicavamo a Treccase, sulle pendici del Vesuvio , io pensavo al Ballo di Sfessania a Lucia Canazza[2] femmenella amata ed uccisa dall’amante, e ad un mio breve e provocatorio scritto a commento di un ritrovamento di un bassorilievo marmoreo rinvenuto nella Basilica di Ercolano scavi ( fig.1)
1 E’ stato grazie a questo commento[3] che io e Luigi Di Cristo, quel pomeriggio ci eravamo “ritrovati” e grazie a questo commento, io rincontravo un’altra persona che pure aveva già sfiorato la mia vita in quei turbinosi anni di cambiamenti e di scoperte: Ciro Cascina. Solare e lunare insieme, di delicato lino bianco vestito con un rubino all’orecchio sinistro ed un grosso anello d’oro; la delicatezza di un sogno e la soave lontananza di chi custodisce un segreto antico. Negli occhi di entrambi: disponibilità all’ascolto, pacatezza, mitezza. Nulla avviene per caso e la vita è un ben strano gioco. Ho chiesto a Luigi cosa c’entravo io in questo progetto, ma la domanda era già di per sé stonata, perché io in quel progetto ci ero già finito trent’anni prima. E poi ci ero finito con l’incipit del mio romanzo e poi ancora col mio interesse attuale per il cross dressing ovvero, la pratica del travestimento nelle società a capitalismo maturo, come si diceva un tempo, o come diremmo oggi, genericamente, postmoderne.
Lo spazio della sessualità in area mediterranea è stato spesso oggetto di letture mitiche legate alla ricerca sul culto della dea madre Cibele e di suo figlio Attis. Κυβέλη – Kubelē, la grande dea madre, che per i latini diventa Cibele e per i greci Rea Ῥέα una titanide figlia di Urano e di Gea. Ma il travestitismo sessuale si connotava di ritualità sacre alla dea quando in queste si commemorava il suicidio del figlio, che dopo essere impazzito si evirava e si gettava da una rupe. I coribanti, sacerdoti di Cibele e che Catullo descrive come eunuchii che si vestivano da donna, suonavano tamburi a cornice ( tammorre) e cantavano in una sorta di estasi orgiastica, dimenando il corpo ed il capo come fossero donne impazzite d’amore, e nel corso di questa danza orgiastica, quando l’immedesimazione era all’acme della perdita di identità maschile alcuni arrivavano ad evirarsi con pietre appuntite. Virgilio riferisce che nei pressi di Avellino, nei luoghi in cui oggi sorge il santuario di Montevergine, si trovava un tempio dedicato alla dea. A tal proposito è interessante notare che ancora oggi Montevergine è un luogo di culto per persone omosessuali e transessuali, che ogni anno, in occasione della festa della Candelora, si recano al santuario, salmodiando e suonando tammorre, per accendere una candela in omaggio all'icona di una Madonna nera che vi è conservata[4].Personaggi dal sesso mascherato erano dunque già presenti presso di noi da migliaia di anni ed è giusto tornare indietro nel tempo, se si vuole comprendere la natura di un fenomeno che in area mediterranea è molto diffuso e che, forse oggi a causa di una concezione omologante dell’omosessualità, - che dal mio punto di vista c’entra relativamente -, tende ad essere marginalizzato, spesso ridicolizzato e messo ai margini. Io credo che l’origine dei femminielli, vada cercato in queste derivazioni e non in una teoria della omosessualità, per altro freudianamente limitante e superata o in una teoria del transessualismo, dove il soggetto avverte una sofferenza nel vivere in uno stato che non sente suo, fino a porre fine a questa sofferenza con un intervento risolutorio. Di contro la figura del femmeniello ride, balla, canta, pazzea, anche se il riso spesso è connaturato ad una nota amara. La sua immagine, come quella di un paese il cui luogo ha una abbacinante luce mediterranea e il colore azzurro e profondo del mare. Un luogo con pianeti, continenti, universi di cui sarebbe impossibile non trovare la traccia su qualche carta geografica o in qualche cielo, perché questi non appartengono a nessuno spazio concettuale preciso, ma di certo ad uno spazio fisicamente rintracciabile e, io colloco questo spazio, sulla rena nera del litorale vesuviano e sulle antiche spiagge assolate e deserte di Palepoli. Un esempio di come siano antiche le radici di rituali appartenenti al mondo di uomini che si travestivano da donna, mimandone la gestualità, che sono esistite fino a poco tempo fa, ma che oggi tendono a scomparire e che sono anche difficilmente visibili- io per esempio ho solo visto adattamenti letterari,cinematografici o teatrali[5], uno di questi è la figliata dei femmenielli. E’ una pantomima che riassume in sé aspetti derivanti dall’antico rito della fecondità, praticato per secoli a Napoli. Il parto è quasi sempre ambientato segretamente alle pendici del Vesuvio, tra Torre del Greco e Torre Annunziata, è una sorta di iniziazione ad una femminilità quasi sacerdotale ( ritornano i Coribanti) e prevedeva il richiamo a conoscenze esoteriche ed alchemiche. Naturalmente, per me questi aspetti si connaturano esclusivamente di una veste estetica: il femmeniello, modello reale di una identità di genere di un mondo che oggi non esiste più, può rivivere solo come rappresentazione teatrale e dunque, paradossalmente riproporsi esteticamente come "Rebis", res ( la cosa ) + bis ( doppio) , cosa doppia, ovvero quello che la figliata dei femmenielli cercava di realizzare: il parto di una figura dal sesso incerto e non definito. Un ermafrodito, l'unica creatura che contenesse i due elementi in cui è suddivisa tutta la natura. I greci, ai quali molto dobbiamo, ma dai quali oggi siamo lontanissimi culturalmente, ritenevano divino l'ermafrodito, perché figlio della bellezza (Afrodite) e della forza (Ermes)[6]. Quel parto celebrato resta quello che è sempre stato: una rappresentazione misterica nel passato, una rappresentazione teatrale nel presente, dimensioni che poi per me sono quasi la stessa cosa. Condivido pienamente la riflessione di Nicola Sisci: “Alcuni femminielli saranno oggi divenuti transessuali, altri ancora si chiameranno omosessuali, pochi partecipano ancora agli antichi riti della “candelora” o della “riffa”, solo qualcuno pratica ancora il “matrimonio masculino” o si lascia coinvolgere nella “figliata”, ma della storia del femminiello nessuno può ancora scrivere la parola fine. Da un punto di vista lacaniano il femminiello potrebbe rappresentare per gli altri, uomini e donne, una deroga al divieto, la possibilità, rinvenuta nel simile, di essere altro da ciò che i codici simbolici prescrivono con la loro trascendenza sul piano del reale; ma d’altra parte potremmo, sempre per ipotesi, pensare che, alla fascinazione/attrazione, fa da controparte la spinta a segregare, a tenere serrato in una delimitazione spaziale circoscritta, i quartieri popolari, il ventre di Napoli, ciò che di più perturbante esista: l’incontro con la realizzazione dell'onnipotenza-impotenza originaria e le relative angoscie, descritte da Melanie Klein ”[7]
Se la storia iconografica e culturale del femmeniello è questa, essa continua a dirci che è la storia di un corpo negato, il corpo di un’utopia, il luogo simbolico di uno spazio trasfigurato che vuole cancellare e superare le limitazioni imposte dall’economia sessuale riproduttiva e dalla sua claustrofobica morale, uno spazio che si propone nella rappresentazione. Dunque è giusto che il corpo del femmeniello e il matrimonio masculino, riprendano vita, ma questa riproposizione e questa tutela devono affrancarsi da facili manipolazioni folcloriche che ne potrebbero consegnare l’immagine alla pagliacciata ed al ridicolo della presa in giro. Il femmeniello non è un altro genere dell’omosessualità, come erroneamente si crede e l’omosessualità è tutta interna all’origine del termine, che fu coniato nel 1869 dal letterato ungherese di lingua tedesca Károly Mária Kertbeny (1824-1882) (nato Karl-Maria Benkert) che lo usò in un pamphlet anonimo contro l'introduzione da parte del Ministero della Giustizia prussiano di una legge per la punizione di atti sessuali fra due persone di sesso maschile. Le sessualità che oggi siamo abituati a considerare con identità specifiche, appartengono all’evoluzione storica e culturale delle economie dei nostri corpi: l’identità gay, l’identità trans gender, l’identità etero, sono confrontabili solo con se stesse. E’ ingenuo e stupido paragonare il rapporto che esisteva tra l’erastes e l’eromenos, con le figure sessuali contemporanee[8]. Così il femmeniello e la sua modalità espressivo /esistenziale è ciò che resta dell’archetipo dell’armafrodito antico, della sospensione dei ruoli maschio/ femmina.
La sua specificità è che una verità può realizzarsi in lui, mentre ciò non avviene per le categorie sessuali contemporanee che conosciamo, concentrate sulle dinamiche del corpo o dell’emancipazione/secolarizzazione.
Questa verità non è quella per cui due più due fa quattro, o altre piccole verità che sono nella nostra mente: non è lei ad essere nel femmeniello, è il femmeniello ad essere nella sua verità: essa avviene in lui, si svela heideggerianamente, come evento, a lui e solo a lui, a patto che rinunci alla sua oggettività, alla sua secolarizzazione, ovvero, che resti consegnata al suo passato antico, come una vetusta rovina, contrariamente, esso è destinato a trasformarsi, ad entrare nella secolarizzazione . Solo questo innesto (attraverso il quale si svela al femmeniello il fatto che egli è impiantato nella sua verità) rende al femmeniello questo nome, e la consapevolezza che l’Essere/antico, il nume e il femmeniello, si appartengono reciprocamente. D’altra parte basta guardare le rappresentazioni che l’AFAN ha raccolto, per capire il senso di tutto il progetto, un senso contradditorio eppure con una sua logica perseveranza: la salvezza del modo di essere del femmeniello antico, senza alcuna volontà di trasformazione. Essi sono e vogliono rimanere i custodi di un segreto antico che rifiuta la trasformazione, ma essi corrono un rischio che è quello che aveva già intravisto Michel Foucault: “ Sarò trasformato, salvo o forse morto “[9]. Si morto, poiché non vi è salvezza possibile nel rimanere immobili: il femmeniello oggi può scegliere solo tra il niente ed il caos in cui siamo vivi. Smettere di cambiare, voler sfuggire ad una realtà esteriore e interiore che è definitivamente caotica, significa vivere come morti o consegnarsi irrimediabilmente solo all’estetica. Franco Cuomo 15 agosto 2011
[1] Franco Cuomo, Quell’estate psichedelica del ’66, Lampi di stampa, Milano, 2006; ma anche sull’argomento vedi: Michelle Z. Rosaldo, “Women, Culture and Society: a Theoretical Overview” a cura di M. Rosaldo e L. Lamphere (Stanford: Stanford UP, 1974) 17-42; Michelle Rosaldo, “The Use and Abuse of Anthropology: Reflections on Feminism and Cross-Cultural Understanding,” Signs 5,(1980): 401; Sherry B. Ortner e Harriet Whitehead, “Introduction: Accounting for Sexual Meanings,” Sexual Meanings: The Cultural Construction of Gender and Sexuality, a cura di S. Ortner e H. Whitehead (Cambridge UP, 1981) 1-27. In. http://ilpalazzodisichelgaita.files.wordpress.com/2011/06/la-guerriera.pdf
[2] Michele Rak (Università di Siena), La schiava mora. Da Lucia Canazza a Josephine Baker. Convegno 15-17 giugno 2011,(atti)Di fronte all'Africa. Effetti culturali della diaspora africana in Europa dal mondo antico al Rinascimento, Università del Salento;
[3] E' la celebrazione di un mistero Dionisiaco. Dioniso, raffigurato alla greca sul Piedistallo offre una coppa di vino (kantharos) a due figure. Ora il punto è questo. Le due figure sono dai profili due figure maschili, in abiti femminili, il secondo poggia la mano sulla spalla del primo che impugna un martello, rivolto verso il dio.Sono indubitabilmente due maschi, come si può capire dal taglio dei capelli. La statuaria dell'epoca ed altri bassorilievi, rappresentano le teste femminili in altro modo.Al centro una figura con la barba che rappresenta ancora una volta Dioniso, e sulla sinistra, per chi guarda, una menade danzante. Indubitabilmente il mistero dionisiaco "celebra le nozze di Argo e Opi, altri due fanciulli iperborei, che sarebbero giunti a Delo ancora, prima di Adorico e Laodico, facendo lo stesso viaggio che era un viaggio di nozze iniziatico allacciati l’uno all’altro teneramente".Il brano riportato tra le virgolette fa parte di un racconto pubblicato due anni fa nel mio romanzo "Quell'estate psichedelica del 66". Ora questo frammento ercolanense, ma da la riprova della celebrazione di nozze misteriche tra maschi, un rito iperboreo trasmigrato segretamente in Grecia ed attribuito a Dioniso. Le due figure maschili si stanno congiungendo in nozze, con vestiti da donna.
[4] Gli aspetti sincretici del culto sono descritti nel documentario La candelora a Montevergine, prodotto dall'Università "Federico II" di Napoli.
[5] Curzio Malaparte, La pelle, e l’omonimo film di Liliana Cavani.
[6] Mario Buonconto, Napoli esoterica, Newton Compton ( tascabile), 1996.
[7] Nicola Sisci, Seminario: PERCORSI DELL'IDENTITÀ DI GENERE, Università degli studi di Salerno, 9, giugno 2011. ( Nicola Sisci è regista e psicoterapeuta)
[8] Michel Foucault, Storia della sessualità, vol.I, Feltrinelli, Milano 1987.
[9] Paul Veyne, Foucault, il pensiero e l’uomo, Garzanti, 2008, p.149; Roberto De Simone, La gatta cenerentola, Il suicidio del femme niello, http://youtu.be/x-GRdqLEEWM
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