Alzo
lo sguardo dal libro che sto leggendo, ma di fatto mi sto svegliando da un
torpore sonnolento. Leggere filosofia in treno. Leggere un saggio su Heidegger
in treno. Terapia catartica? Sadomasochismo? Sulla destra mi appare il gigante
addormentato. Chi guarda il Vesuvio dalla Circumvesuviana o da un qualsiasi
punto del Golfo, nota – all’altezza di Santa Maria la Bruna – una collina, alta
circa 185 metri ,
che addolcisce con il suo declino verde l’arida, imponente mole del vulcano. In
cima, una chiesa barocca bianca e un’austera costruzione color terra bruciata.
Sono i Camaldoli di Torre del Greco, ma il posto è conosciuto anche come Colle
S. Alfonso. Ogni volta che guardo quel colle dal treno mi viene in mente il re
ostrogoto Teia. La storia dice che quando il cadavere di Teia venne
riconosciuto fu decapitato e la sua testa innalzata su un'asta affinché i due
eserciti la vedessero. In questo modo i Bizantini sarebbero stati incitati a
combattere, mentre gli Ostrogoti, alla vista del proprio sovrano morto, si
sarebbero convinti ad arrendersi. Tuttavia ciò non accadde e la battaglia continuò
a protrarsi fino al tramonto del giorno dopo quando i pochi superstiti decisero
di negoziare. Firmarono un trattato di pace con il quale accettavano di
abbandonare l'Italia e si impegnavano a non fare mai più guerra all'Impero. La
disperata battaglia sotto il Vesuvio segnò la loro sconfitta definitiva. Ecco,
quando i libri di storia descrivevano quest’avvenimento, io ho sempre
immaginato che la battaglia si fosse svolta ai piedi di questa collinetta; non
chiedetemi il perché. Immaginavo i due eserciti confrontarsi nella pianura
sottostante, il clangore degli scudi e delle lance spezzate, il nitrire dei
cavalli. La signora che mi opprimeva con la borsa nel frattempo è scesa ora si
è seduto un operaio barbuto e corpulento che puzza di fumo, guarda il libro che
ho in mano si aggiusta la patta si toglie il cappello di lana calato sulla
testa, risponde subito al telefono e mi alita sulla faccia, io mi giro dalla
parte della collinetta e penso alla battaglia tra goti e bizantini. Associo
pensieri senza un senso preciso, si chiama astrazione da movimento: cambiare
facile dire meno facile fare quante volte ho promesso e quasi sempre ho mentito
a me stesso domani domani ..e i desideri diventano vani questo succede se non
credi in te stesso alza la testa ma alzala adesso. Riapro il libro nel
frattempo il paesaggio ha perso identità: la memoria e il paesaggio, la memoria
del paesaggio, il paesaggio urbano, la memoria del passaggio. Ci sono giornate
nelle quali non so proprio come farò ad andare avanti così. Immagino i prossimi
due anni. Mi sento a pezzi e sfogo la mia amarezza,ansia e angoscia trattengo
le lacrime. Quanti anni ho trascorso su questi treni? Nessuno può aiutarmi a
parte me stesso, ma è ancora troppo presto,non riesco a non pensare a quello
che questa gente seduta intorno a me mi sta facendo. Loro sono lì inconsapevoli
della pressione che esercitano su di me. E’ sempre così. I livelli di
tolleranza finiscono con l’esaurirsi e io con loro. Per un periodo ho preso la
ferrovia dello stato, mi tranquillizzava l’idea che a bordo c’era il bagno,
sulla circum non c’è, se ti capita di doverci andare devi scendere dal treno e
prendere quello successivo oppure te la fai addosso, sono sempre sceso
naturalmente anche se ci sono stati dei momenti che c’è mancato poco soprattutto
quando dovevi attraversare una muraglia umana tutti schiacciati l’uno contro
l’altro…lasciamo perdere. A Ercolano una volta sono sceso e fatto i miei
bisogni in una latrina che nessuna descrizione potrà mai rendere per quello che
era veramente con un tossico che si schizzava eroina in vena mentre gli colava
il sangue sull’avambraccio perché stava fuori vena. Treni dell’esperienza
sinestetica. So che per il mio bene dovrei cominciare ad accettare,ma accettare
le menzogne e le ingiustizie non è mai stata una mia prerogativa e accettare
tutto questo mi sembra troppo per qualsiasi uomo. In questi treni diventiamo
tutti esseri del trasferimento che non possiamo sottrarci a ciò che di volta in
volta ci porta altrove ma senza nessun inganno filosofico. In fondo cosa siamo?
Falliti come animali, o animali mancati, sin dall’inizio siamo condizionati
dalla cultura o dalla tecnica. Viviamo venendo al mondo e costruendocelo questo
mondo. La macchina mi costerebbe troppo: gasolio, autostrada andata e ritorno,
parcheggio e il rischio di non trovarla più. Ecco, noi siamo la storia, anzi
noi siamo nella storia. Quando entriamo nell’ambito della storia o quando ci
illudiamo di essere i padroni di una tecnica più evoluta, facciamo la scoperta
di essere creature che oltre alle cure domestiche e concrete, e ci sentiamo
coinvolti anche in faccende grandi e nobili. Guardo l’operaio seduto, lui
guarda me: ha gli occhi arrossati e l’alito pesante di vino. Tutto il vagone è
un miscuglio di aliti pesanti tutto il vagone è la democrazia realizzata. Siamo
in un copione perché siamo animali mancati e non siamo stati salvati da
nessuno. E dal momento in cui tutto questo ci riguarda:l’alzarsi al mattino,
prendere il treno, marcare il cartellino in entrata, marcarlo in uscita,
riprendere il treno, tornare a casa, dormire e ricominciare tutto daccapo,
siamo stati condannati a diventare i padroni del mondo e a subirne l’ebbrezza
del potere. E’ successo agli Egiziani e poi ai Babilonesi e poi a Persiani sui
quali agiva l’azione di logoramento e l’intelligenza critica degli Ebrei e dei
Greci e poi è successo a Romani e poi agli Europei e poi a Russi e agli
Americani, fino a creare la realizzazione dello Spirito della storia
concentrata tutta in quell’alitosi generale di un vagone ferroviario ogni mattina
o ogni sera. La nemesi della storia che ci fa venire al mondo e ci getta in
esso, un venire al mondo che si può verificare solo col trasferimento e con l’esodo
giornaliero: l’essere e il tempo del pendolare metropolitano.
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