Le
abitudini cresciute per epoche intere sono sedimentate nelle nostre vite e le
costrizioni per una violenta rottura dei rapporti complessi non si dissolvono
in una notte. Ciò che subiamo è la forma del nostro destino. Le culture
politiche che praticano il sospetto e il risentimento, ma anche la stupida
convenzionalità dei linguaggi televisivi, prosperano regionalmente in modo
intensivo. Ci ritroviamo sempre su un treno miserevole che ci conduce a un
destino. Destino e destinazione oltre ad avere la stessa radice in italiano, in
spagnolo hanno lo stesso significato. I costruttori identitari egoistici
contribuiscono per parte loro a bloccare i potenziali di generosità e umanità
che potrebbero essere liberati e che ognuno di noi potrebbe usare contro di
loro, ma non succede mai. Siamo costretti in ruoli rigidi e soprattutto siamo
disarmati. Le mie letture mi hanno permesso sempre di fare il confronto tra ciò
che mi circonda e ciò che mi attrae, sono il filtro della mia vita, così come
la musica e l’arte: filtri attraverso i quali l’attrazione che provo per
qualcosa o per qualcuno si modula su timbri precisi del mio gusto. Nel mio viaggio giornaliero verso Napoli, mi soffermo spesso su particolari interni o esterni al treno su cui viaggio. Se guardo il
paesaggio attraverso i vetri sporchi e opachi posso ben comprendere come sia
stata stravolta questa terra. Oggi per esempio osservavo che un tempo nel
tratto che da Leopardi arriva fino ad Ercolano era possibile incantarsi in
primavera per l’esplosione della fioritura di alberi da frutta: stamattina
cercavo quegli alberi ma non ci sono
più. Ci sono invece rifiuti su rifiuti, piante infestanti, costruzioni abusive
che s’ inerpicano fino a quasi il cratere, raccordi autostradali che rimangono
sospesi nel vuoto. Questo paesaggio è simile al treno sul quale corro ed è simile
alle pianificazioni che qualcuno ancora oggi si ostina a presentare. Una volta
esisteva un paesaggio. Esiste un paesaggio italiano, campano? L'Italia è forse
il paese dove la storia ha più profondamente modellato il paesaggio: l'alta
densità di popolazione per secoli ha costretto l'uomo a colonizzare ogni più
piccola parte di spazio. Il territorio, è stato modificato con strade, canali,
borghi, città, coltivandolo, fino a creare, nell'ultimo secolo, insediamenti
industriali. Cosa abbiamo mai fatto? Quale delitto abbiamo mai perpetrato? Cosa
hanno in comune la pianura padana con la costa calabrese ricca di piante -
olivi, fichi e viti - tipicamente mediterranee? E il golfo di Napoli con la
laguna veneta, le valli alpine con il Tavoliere delle Puglie? E questa piana
vesuviana? Penso che ben poco unisce il
"paesaggio" in Italia, che non esista un minimo comune denominatore, che
forse era il paesaggio più vario del mondo e che forse l’idea stessa di
paesaggio si è fatto spazio nella pittura rinascimentale, nelle sfumature tenui
di Leonardo o nelle aspre rocciosità di Mantegna, ma soprattutto che queste
differenze non esistono più perché abbiamo ucciso il paesaggio. Quel cadavere
ce l’ho tutte le mattine sotto gli occhi e ognuno di noi sembra non darsene pensiero.
In fondo spariscono alberi inutili che non danno soldi, sparisce il ritmo dei
colori, del movimento di un paesaggio che comunque una volta era coltivato,
perché neanche quello da soldi. Il bello è sparito da questo posto e con esso
la grazia, la gentilezza, il gusto. C’è un legame strettissimo tra un gruppo di
giovanissimi inguainati in pantaloni a giro culo, tatuati e connessi, che in un
dialetto sgangherato sgomitano per sedersi e ciò che scorre fuori dal
finestrino? Certo che c’è: è la violenta indifferenza verso la bellezza. Sono
brutti perché sono indifferenti, sono brutti perché ignorano e sembrano belli
solo perché giovani solo perché ben nutriti, forse troppo nutriti. Nutriti di
tutto tranne che di grazia, di bei modi, di linguaggio. Si spingono si
insultano, danno fastidio a tutto il vagone armeggiano con i loro smartphone
con auricolari che sparano decibel nelle povere orecchie sorde già dalla
nascita. I libri,così ha detto una volta
il poeta Jean Paul, sono delle lettere un po’ più consistenti inviate ad amici.
Con questa frase, ha definito con grazia e in modo essenziale, la natura e la funzione dell’umanesimo: una
telecomunicazione che istituisce amicizie attraverso il medium della scrittura.
E allora lo ripeto: le mie letture mi hanno permesso sempre di fare il
confronto tra ciò che mi circonda e ciò che mi attrae, sono il filtro della mia
vita, così come la musica e l’arte. E’ solo queste mi fanno accorgere che le
brutte case sono arrivate fin sopra il vulcano, mentre gli altri non se ne accorgono.
E’ una concezione elitaria? Forse, ma chi se ne importa! E’ anche una scelta di
sopravvivenza che comincia già quando ti siedi in un vagone come quello nel
quale sto seduto io. Quel paesaggio già nel passato non era più naturale, ma
conservava una sua equilibrata esistenza e oggi invece è diventato un bubbone
di cemento e macerie e rifiuti. Da noi non è mai esistito il paesaggio
"naturale" e la sua particolare bellezza era di ritrovarsi proprio
nella sua estrema varietà.
Così
è nato il paesaggio ideale che ha nutrito pagine intere di libri, di spiriti
colti, di arte .Che hanno lasciato a testimonianza dipinti, disegni e
fotografie intrise di romanticismo, diari di viaggio ricchi di note di colore e
anche di rimproveri verso le nostre orribili cattive abitudini. Ora tra
Leopardi e Ercolano non c’è soltanto la nostra corresponsabilità di fronte al
mostruoso, c’è il corpo senza vita di un delitto ma molto più di un delitto,
c’è l’inizio del nostro rapporto di routine
con il mostruoso e la sua metabolizzazione.
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