mercoledì 26 marzo 2014

Esiste un paesaggio italiano ?





Le abitudini cresciute per epoche intere sono sedimentate nelle nostre vite e le costrizioni per una violenta rottura dei rapporti complessi non si dissolvono in una notte. Ciò che subiamo è la forma del nostro destino. Le culture politiche che praticano il sospetto e il risentimento, ma anche la stupida convenzionalità dei linguaggi televisivi, prosperano regionalmente in modo intensivo. Ci ritroviamo sempre su un treno miserevole che ci conduce a un destino. Destino e destinazione oltre ad avere la stessa radice in italiano, in spagnolo hanno lo stesso significato. I costruttori identitari egoistici contribuiscono per parte loro a bloccare i potenziali di generosità e umanità che potrebbero essere liberati e che ognuno di noi potrebbe usare contro di loro, ma non succede mai. Siamo costretti in ruoli rigidi e soprattutto siamo disarmati. Le mie letture mi hanno permesso sempre di fare il confronto tra ciò che mi circonda e ciò che mi attrae, sono il filtro della mia vita, così come la musica e l’arte: filtri attraverso i quali l’attrazione che provo per qualcosa o per qualcuno si modula su timbri precisi del mio gusto. Nel mio viaggio giornaliero verso Napoli, mi soffermo spesso su particolari interni o esterni al treno su cui viaggio. Se guardo il paesaggio attraverso i vetri sporchi e opachi posso ben comprendere come sia stata stravolta questa terra. Oggi per esempio osservavo che un tempo nel tratto che da Leopardi arriva fino ad Ercolano era possibile incantarsi in primavera per l’esplosione della fioritura di alberi da frutta: stamattina cercavo quegli alberi  ma non ci sono più. Ci sono invece rifiuti su rifiuti, piante infestanti, costruzioni abusive che s’ inerpicano fino a quasi il cratere, raccordi autostradali che rimangono sospesi nel vuoto. Questo paesaggio è simile al treno sul quale corro ed è simile alle pianificazioni che qualcuno ancora oggi si ostina a presentare. Una volta esisteva un paesaggio. Esiste un paesaggio italiano, campano? L'Italia è forse il paese dove la storia ha più profondamente modellato il paesaggio: l'alta densità di popolazione per secoli ha costretto l'uomo a colonizzare ogni più piccola parte di spazio. Il territorio, è stato modificato con strade, canali, borghi, città, coltivandolo, fino a creare, nell'ultimo secolo, insediamenti industriali. Cosa abbiamo mai fatto? Quale delitto abbiamo mai perpetrato? Cosa hanno in comune la pianura padana con la costa calabrese ricca di piante - olivi, fichi e viti - tipicamente mediterranee? E il golfo di Napoli con la laguna veneta, le valli alpine con il Tavoliere delle Puglie? E questa piana vesuviana? Penso  che ben poco unisce il "paesaggio" in Italia, che non esista un minimo comune denominatore, che forse era il paesaggio più vario del mondo e che forse l’idea stessa di paesaggio si è fatto spazio nella pittura rinascimentale, nelle sfumature tenui di Leonardo o nelle aspre rocciosità di Mantegna, ma soprattutto che queste differenze non esistono più perché abbiamo ucciso il paesaggio. Quel cadavere ce l’ho tutte le mattine sotto gli occhi e ognuno di noi sembra non darsene pensiero. In fondo spariscono alberi inutili che non danno soldi, sparisce il ritmo dei colori, del movimento di un paesaggio che comunque una volta era coltivato, perché neanche quello da soldi. Il bello è sparito da questo posto e con esso la grazia, la gentilezza, il gusto. C’è un legame strettissimo tra un gruppo di giovanissimi inguainati in pantaloni a giro culo, tatuati e connessi, che in un dialetto sgangherato sgomitano per sedersi e ciò che scorre fuori dal finestrino? Certo che c’è: è la violenta indifferenza verso la bellezza. Sono brutti perché sono indifferenti, sono brutti perché ignorano e sembrano belli solo perché giovani solo perché ben nutriti, forse troppo nutriti. Nutriti di tutto tranne che di grazia, di bei modi, di linguaggio. Si spingono si insultano, danno fastidio a tutto il vagone armeggiano con i loro smartphone con auricolari che sparano decibel nelle povere orecchie sorde già dalla nascita. I libri,così ha detto una volta il poeta Jean Paul, sono delle lettere un po’ più consistenti inviate ad amici. Con questa frase, ha definito con grazia e in modo essenziale, la natura e la funzione dell’umanesimo: una telecomunicazione che istituisce amicizie attraverso il medium della scrittura. E allora lo ripeto: le mie letture mi hanno permesso sempre di fare il confronto tra ciò che mi circonda e ciò che mi attrae, sono il filtro della mia vita, così come la musica e l’arte. E’ solo queste mi fanno accorgere che le brutte case sono arrivate fin sopra il vulcano, mentre gli altri non se ne accorgono. E’ una concezione elitaria? Forse, ma chi se ne importa! E’ anche una scelta di sopravvivenza che comincia già quando ti siedi in un vagone come quello nel quale sto seduto io. Quel paesaggio già nel passato non era più naturale, ma conservava una sua equilibrata esistenza e oggi invece è diventato un bubbone di cemento e macerie e rifiuti. Da noi non è mai esistito il paesaggio "naturale" e la sua particolare bellezza era di ritrovarsi proprio nella sua estrema varietà.
Così è nato il paesaggio ideale che ha nutrito pagine intere di libri, di spiriti colti, di arte .Che hanno lasciato a testimonianza dipinti, disegni e fotografie intrise di romanticismo, diari di viaggio ricchi di note di colore e anche di rimproveri verso le nostre orribili cattive abitudini. Ora tra Leopardi e Ercolano non c’è soltanto la nostra corresponsabilità di fronte al mostruoso, c’è il corpo senza vita di un delitto ma molto più di un delitto, c’è l’inizio del nostro rapporto di routine con il mostruoso e la sua metabolizzazione.


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