martedì 18 marzo 2014

“grazie per l’acqua”

A Barra ci siamo fermati. Un odore acre ti brucia le narici, qualcuno dice: “è ferodo”, ovvero esalazioni di gas da materiale d’attrito usato per i freni dei treni. Le porte sono chiuse, i finestrini bloccati a feritoie di venti centimetri. Si aspetta non si sa cosa. La gente ammassata rumoreggia, c’è chi impreca e bestemmia. La puzza aumenta, qualcuno si sente male. Le porte sono sempre chiuse. Rimango seduto a occhi chiusi , controllo il respiro e il battito, si sente una voce strozzata, in lontananza che urla: “il treno si sta incendiando!”. E’ il panico! Finalmente le porte si aprono, la gente si scaraventa fuori sulle banchine di cemento, non c’è ombra del personale viaggiante, non c’è neanche ombra fuori. Ci sono 36 gradi e il sole picchia rovente. Ci potrà mai essere una svolta per tutto questo? E chi la potrà mai fare? Siamo in troppi, e il genericismo delle nostre conoscenze è tale che ci siamo ridotti agli stessi livelli semantici delle plebi medioevali: impotenti e travolti dal degrado. Eravamo tutti su quella banchina assolata e rovente abbandonati a un destino di fallimento tecnico ed organizzativo, ma avevamo tutti i nostri smartphone connessi e tutti nello stesso momento con le dita anchilosate inviavamo sms o postavamo notizie sui social. Il corso del mondo avrebbe bisogno di correzioni in profondità, ma da dove potrebbero prendere avvio? Da quale umanità? Non certo da quella che avevo intorno a me. Dove si sarebbe mai potuto manifestare, nel modo più urgente possibile ciò che salva? E’ in questi momenti, quando l’indifferenza incontra la molteplicità dei significati delle vite di ognuno che ogni differenza tra movimento vero e movimento falso sembra sparire. Ti porti sotto l’unica pensilina, ma il caldo e soffocante, mentre il terzo vagone di un treno ormai vuoto brucia aumentando la sensazione di aria arroventata. Noi pratichiamo sport di massa ma non abbiamo idea di un qualche movimento che potrebbe aiutare il mondo in quanto tale. Su quella banchina a Barra siamo tutti atleti estremi – lo sono consapevolmente o inconsapevolmente – tutti i viaggiatori della Circumvesuviana. Siamo atleti estremi, ma tra di noi non c’è più nessun rivoluzionario che abbia una qualche fede! Nessuno che organizza più nessuno, monadi isolate ognuna chiusa nella sua bolla di comunicazione virtuale e magari il tuo vicino sta morendo e tu non te ne accorgi nemmeno, al massimo, lo fotografi e lo posti.  Mi porto lo zainetto ai piedi e il saggio su Heidegger sulla testa per proteggermi dal sole, il saggio mi conforta, averlo in mano mi da una speranza ma è anche una disillusione. Offro dell’acqua dalla mia bottiglina a una signora molto anziana visibilmente affaticata. Trascorrono due ore, nelle quali viene dato un solo annuncio per il prossimo treno per Sorrento. Siamo tutti lì come inebetiti. La lista delle disillusioni è così lunga eppure stiamo sbagliando. Stiamo sbagliando se crediamo di poter soddisfare la nostra vita in questo modo. Potremmo andare benissimo tutti a puttane e il risultato non cambierebbe. Non serve guardare a ciò che accade e indignarsi. Non basta più, perché anche nella più pura sincerità, questa indignazione ci lascerà comunque in balia della nostra esistenza, insignificante per chi detiene il controllo del mondo, per questi siamo come le plebi medioevali. Niente più indignazione allora, la mia sensibilità si indurisce ogni giorno sempre di più. Ma non basta, non serve addestrare la sensibilità, perché il mondo accade con questi fatti e ti colpisce. Il treno va in fiamme nell’indifferenza nostra e di quelli che quel treno dovrebbero farlo muovere. A nessuno importa sapere il perché o il per come, la causa prima e non parlo di quella Aristotelica. Così arriverà l’abitudine a prenderci in giro, facendoci credere di indignarci ancora: tutti lì ad indignarci, tutti lì, senza alcun potere, tutti lì con i nostri smartphone. Poi, una volta arrivato un altro treno,arriverà l’orgoglio, la volontà di farci credere di essere soddisfatti della nostra vita e di quello che questa ti offre e che in fondo visto che viviamo nel napoletano, poteva andar peggio. Ma non è mai così e siamo solo una massa in balia dell’indifferenza diffusa. La disillusione sembrerebbe essere l’unico modo per limitare i danni, il filtro per questa nicotina, questo catrame che colpisce la nostra mente, e che uccide ogni sensibilità. Allora possiamo solo incassare, fino a quando la disillusione ci prenderà per mano e ci porterà in un limbo, in quell’interruzione temporale che potrebbe aiutarci  e riempirci ancora di finte certezze. La disillusione come una droga. E allora? Qual’è il vero movimento verso una possibile salvezza? Ce ne sarà mai una? Come si può giustificare la mia idea di pretendere un sovvertimento quando poi siamo tutti lì ad aspettare un altro treno, sotto il sole cocente di una brutta stazione di Barra, dopo aver patito le pene dell’inferno senza protestare o senza sfasciare tutto quello che c’è lì intorno per dare sfogo per lo meno alla rabbia? Forse sarebbe tempo di mettere a riposo questi singolari fatali e ripercorrere da solo i sentieri interrotti dall’ essere. Capire finalmente che nell’ora del crepuscolo di ogni speranza si manifesta nel modo più urgente la secca realtà: che tutto ciò che alla fine ha la pretesa di trarre in salvo è portatore di altri pericoli e dovremmo essere cauti verso ogni espertocrazia del salvare o del salvifico. Nel frattempo arriva un altro treno (dopo due ore) e tutti, come una mandria di buoi impazziti spingendo e sgomitando ci ammassiamo per poter avere l’illusione di fare un viaggio comodamente seduti. Chiedo alla vecchia signora sulla ottantina:” cosa fa, non sale?” e lei, tranquilla, “aspetto quello dopo…non c’è la potrei fare a reggere tutto questo, ho bisogno di andare verso una stella, soltanto questo”, poi mi sorride, socchiude gli occhi e mi dice: “grazie per l’acqua”.         


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