Un cortile dove un tempo c'era tanta gente.
Un cortile dove un tempo c’era tanta gente. Ci vivevano tante famiglie, tutte profondamente legate tra loro, c’era il forno dove si cuoceva il pane e le patate sotto la cenere, la madia dove il pane cresceva,c’era la porcilaia e la stalla, c’erano oche e galline che razzolavano per l’aia – e io avevo paura di entrambe – c’era un gabinetto in comune che nessuno usava più. Sui terrazzi si lavavano le mele e le noci che si lasciavano asciugare al sole. C’era sempre allegria nonostante quelle stanze che si affacciavano sul cortile erano poco più che bui tuguri. Questo cortile è un luogo dell’anima, quelle di mia madre e, di conseguenza è anche un luogo della mia anima. Mamma al mattino si sveglia e dice di volersene tornare a casa sua, vuole tornare lì, in quella casa: vuole tornare dai fratelli che non ci sono più, dalla sorella che neanche c’è più, dalla mamma: Erano 13 di loro e lei è l’unica sopravvissuta, ma non lo sa, o forse si rifiuta di saperlo o forse ha elaborato una sua personale strategia di sopravvivenza. Io non le dico niente: la conforto e accarezzandola i capelli e stringendola a me le rispondo:” domani ti porto e andiamo a trovare tutti”. Lo dice ogni mattina e lo ripete molte volte durante tutta la giornata, nella sua mente che si spegne lentamente ogni giorno un po’ di più lei è convinta che quel posto sia ancora come lo ricorda nella sua percezione di bambina e poi di giovane donna ed è lì che vuole tornare. Un luogo dell’anima e quei posti, nel napoletano e nel casertano una volta si chiamavano proprio “luoghi”: questo di mamma si chiamava “ ‘o luogo ‘e quaranta”, forse perché vi abitavano tantissime famiglie. Io appena posso ci torno, ma che tristezza, che profondo sconforto e malinconia: Non c’è più nessuno, al centro è cresciuto un albero, c’è un silenzio irreale e la casa della nonna ha le finestre murate. L’ultima volta entrai e mi sedetti al centro del cortile sotto l’albero. Chiusi gli occhi e con tutta la forza dell’immaginazione provai ad essere lei, volevo essere un tramite, volevo portarla lì: sentii l’odore della legna bruciata e vidi improvvisamente la gente indaffarata, la nonna sull’uscio, zio Ciccio nella casa di fronte dove abitava la sua fidanzata che poi sposò e Concetta la vicina che dava da mangiare i maiali. Poi ho riaperto gli occhi, e intorno lo stesso silenzio. Così “muoiono le infanzie”, come dice Saramago e nessun ritorno è più possibile e noi non possiamo farci niente se non lasciarci andare nel flusso della vita senza chiedersi perché.
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