Sul
fondo dell'abisso si manifesta l'essenza della poesia (e non solo di questa) e
su questo avvicinarsi al fondo dell'abisso si misura il grado di forza, di
capacità rischiaratrice della verità, dei poeti (non tutti, sono rari soltanto quelli che toccano il
fondo: nel verso, nella scelta di guardare in faccia alla morte , penso ad
Allan Poe al racconto Il Mallstrom oppure
a Giorgio Colli). Certo, nelle antologie letterarie non troverete a questo, nessun accenno, perché i loro
compilatori hanno difetto di tragico, di male radicale, di luce e di tenebra;
non sanno, non percepiscono nulla...
Si può essere rivelatori e testimoni di un tempo che non giustifica nulla – se non
solo il suo stesso scorrere- arrivando
così a un momento di fortissima illuminazione, e che trascrivo in maiuscole: chi più
partecipa di questo arcano, più s'iscrive tra pensatori e i poeti:
NELLA
NOTTE DEL MONDO, L'ABISSO DEL MONDO DEVE ESSERE SPERIMENTATO E PATITO, E PER
QUESTO BISOGNA CHE TALUNI ESSERI AFFACCIANDOSI SULL’ENIGMA PERCEPISCANO IL FONDO DELL'ABISSO.
C’è al
mondo qualcuno che non abbia avuto, di Altrove e di Assoluto, fame?." (G.
Ceronetti, Siamo fragili, spariamo poesia,
ed. Qiqajon, Magnano, BI)
L'umanità
è ardimentosa e curiosa, ma è specialmente presuntuosa e ignorante. Questo alla
fin fine non è del tutto un male - sapere tutto non è saggezza, e certe verità
sarebbe più saggio ignorarle. Siamo circondati dai nostri limiti - siamo
circondati dal mistero e dall'ignoto pauroso. La scienza, e i suoi derivati, è solo
uno degli strumenti per allontanare dall'uomo
la paura dell'ignoto ma la menzogna alla base di questa illusione evidente,
come la stessa menzogna è presente nell’inganno della salvezza tramite la fede, perché la verità è che siamo già tutti
salvi.
Si può
sfuggirne con la poesia, con la parola che accetta e giustifica l'ignoto e la
paura dell'ignoto - e su di essa incide le mappe per una coraggiosa
esplorazione di ogni faccia del cosmo.
Un amico
mi raccontò che, ateo dalla nascita, a una certa età aveva iniziato a credere
in Dio. Gli chiesi perché, se ci fosse una ragione. Lui mi disse che non voleva
spiegarlo. Allora capii la sincerità della sua strana conversione, e la sua
fondatezza, e la verità che conteneva.
Perché
credo che anche nel non dire, nel tacere, ci sia verità, e sapienza. Nel non
sapere, paradossalmente, può esserci altrettanto sapere, ma questa è la verità
antica ma già moderna di Socrate.
Il
nostro linguaggio è limitato solamente ad un metodo di lettura del mondo; ma
quali parole possiamo usare per dire ciò che che non è il mondo che vediamo?
Quale realtà definibile può spiegare una realtà indefinibile? Quale
comunicazione può esserci riguardo a un qualcosa di incomunicabile?
Leggiamo
il mondo con la scienza, sulla base di un metodo logico e dalla pretesa
oggettività: ma siamo sicuri di voler ignorare ciò che che non possiamo
esperire? L'insufficienza che avvertiamo di fronte alle spiegazioni razionali
ne è la conferma. Ah! Filosofi, filosofi!!!!! Le Brihadaranyaka Upanishad erano arrivate a
questo prima di voi senza gli
inganni ai quali ci avete ammansiti.
Nessuna determinazione verbale riuscirebbe a renderne
la natura: "non così, non così" (neti
neti): è l'unica espressione applicabile all'energia cosmica. Chi riflette
su tutto questo, scoprirà che Dio abita già nel suo stesso cuore, e capirà di
essere già salvo.
Ci
affrettiamo dietro alla conoscenza, ma i mezzi che abbiamo non sono adeguati, e
dobbiamo attrezzarci con strumenti diversi: il linguaggio, il principale e più
naturale che abbiamo, non basta una volta entrati in territori al di là della
logica. Per questo a volte è più saggio tacere che dire l'ombra incompiuta di
una verità, o rivelare un segreto che può non essere capito.
Per questo
ci si dedica all'arte, scrivendo frasi oblique e allusive: per fuggire le
strade della comunicazione diretta, sapendo che il suo obiettivo fallirebbe.
Con i versi, misteriosi e imprendibili ma capaci di nascondere un bagliore di
verità, allora si può istituire una conoscenza.
Una
poesia può apparire incomprensibile o insensata: ma dietro alla sua oscurità
c'è un'altra e più nuova visione del mondo. Saperla cogliere, al di là della
bizzarria questo è ciò che occorre. Perché scrivere in "prosa",
scrivere "chiaro", non è altro che scienza.
Chi fa
arte, chi fa poesia - sono le api dell'invisibile. Pensate a cosa si attinge quando si chiudono gli occhi, quale vivanda si distilla, quele
intenso nettare si assapora.
Chi
legge come chi scrive non cerca idee nuove, ma pensieri già da altri pensati, che acquistino nella memoria o sulla
pagina un suggello di conferma.
Credo che almeno una parte di ciò che ho
appena detto sia vero. Ma chi potrà mai darmene certezza?
E' più
frequente, anziché abbandonarsi a sponde ignote e quasi barbare, vedere
riconfermate nella lingua d'un altro le proprie prove, i propri pensieri; e
uscire dalla lettura come fortificati.
O
cercare, se non pensieri già pensati, almeno chiavi per porte che portavamo
dentro, da tanto tempo, senza riuscire ad aprirle.
“Un giorno stavo guardando i libri della mia
stanza. Ripensavo alle occasioni che mi
avevano portato all'acquisto di uno o dell'altro; pensavo alle volte che li
avevo letti, a quello che ci avevo trovato dentro, o a quello che non vi avevo
trovato. Li osservavo ordinati sugli scaffali secondo un preciso criterio; se
avessi chiuso gli occhi avrei saputo ricostruire perfettamente la loro
successione. Ogni settimana, da molti anni, la mia libreria cresce, con
lentezza e pazienza, come un albero. Guardando i miei libri e pensando alla
storia di ciascuno di loro, al modo in cui li avevo incontrati, mi è venuto in
mente che una biblioteca uguale alla mia, con gli stessi libri ordinati allo
stesso modo, non ce l'ha nessun altro. Molti avranno letto alcune cose che ho
letto io, così come io posseggo molti classici che probabilmente mancano a
pochi. Molti libri mi sono stati prestati; altri, che io ho prestato a
qualcuno, non mi sono più tornati. Ma i libri che sono lì, su quegli scaffali della
mia stanza, sono lì per una scelta precisa, la conseguenza di un gesto o di un
pensiero che ogni volta è stato significativo, e che ogni volta ha portato a un
altro gesto, o ad altri pensieri. Ma quello stesso numero di volumi,
quell'elenco preciso di titoli ce l'ho solo io. Ognuno di noi possiede, grande
o piccola, una raccolta di libri, che sia disposta su scaffali, mobili,
accatastata per terra o abbandonata in giro per casa, conservata in un salone,
in una cameretta, in uno studio, in un solaio. Ma nessuna è uguale a quella di
un altro, dovesse differire anche soltanto per un titolo, o per la data di
un'edizione, o per l'ordine in cui è conservata. La biblioteca di ognuno di noi
è diversa, è speciale, ha un'individualità definita e precisa, cresciuta
insieme a quella del suo raccoglitore”.
Da F.Cuomo, " Quell'estate psichedelica del '66". lampi di Stampa, Milano 2006
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