Ieri ho visto l’ultimo film di
Woody Allen To Rome with Love. Dopo
aver visto Midnight in Paris, mi è
venuta un po’ di frustrazione. Ho pensato: perché ha descritto i francesi così
moderni e brillanti e noi così primitivi, o se volete “ piitoreschi” come lo pronunciava Enrico Montesano quando faceva la
signorina inglese. E’ mai possibile che uno intelligente e colto come lui abbia
voluto rappresentare la parodia dell’Italia degli anni ’50 o addirittura di prima
ancora? Ho letto tutta la stroncatura da Denise Pardo su l’Espresso, come ho
letto l’esaltazione che ne ha fatto Francesco Merlo su La Repubblica , poi sono
ritornato alle mie impressioni, agli
scambi di opinione con amici con i quali ho visto il film. Uno di loro
sosteneva che Woody Allen con questo film vuole suggerirci di ritornare a come
eravamo negli anni ’50. Un po’ caciaroni, con la nostra super storia e le
nostre antiche vestigia che – in fondo, non a torto – sono la nostra grande
ricchezza come il buon cibo. Per questo siamo famosi e celebrati
nel mondo. Insomma! Meglio quello che eravamo piuttosto che quello che siamo veramente
oggi. Così dunque riproporre i nostri stereotipi, forse ironizzando, forse no:
il bel canto (sotto la doccia) perché tutti gli italiani sanno cantare, il buon
cibo, il melodramma. Il film visto da questo punto di vista vorrebbe
essere un invito a coltivare le nostre radici. Potrebbe essere una lettura
valida perché no? Ma non mi convince del tutto e forse il film alla fine non mi è piaciuto, ma
non per il contenuto che veicolava bensì per la debolissima ed inconsistente
struttura narrativa. Di certo colpisce l’esagerazione convenzionale dello
stereotipo e qui ha ragione Denise Pardo: “gli
uomini indossano la canotta bianca super ascellare e usano affacciarsi alla
finestra in tale déshabillé (fanno la doccia cantando l'opera lirica italiana,
se sposati hanno l'escort di riferimento con cui spassarsela: su questo si può
immaginare la fonte dell'ispirazione) e sono bruni, barbuti e pelosi e molto
machi […] il lato femminile della faccenda, invece, parla a malapena, lo
chignon come pettinatura e un daffare tra mattarelli e polpette. La
corrispettiva americana fa la strizzacervelli, ha jeans di marca e occhiali da
sole da 300 dollari almeno, comprati con i suoi soldi, non quelli del marito.
Quella italiana è molto rispettosa del coniuge e sotto al vestito porta la
sottoveste e – aggiungo io – impugna ancora il coltellaccio per difendere il
suo uomo. La sottoveste? Sì ma non intrigante, colorata o contenitiva per furbi
curvy. No, siamo nella città del papa. E l'indumento è chiuso quasi al collo,
fiori sbiaditi da lavaggi frequenti, cotonaccio ruvido: un vetusto modello
nemmeno da sora Cecioni. Un capo "povera ma bella". Manca solo il
rammendo neo realista anni Cinquanta” (Denise Pardo, L’Espresso). Insomma
nel film ci sono molte contraddizioni o ingenuità: volute o realmente tali? Questo
resta difficile da capire. Io da
italiano del 2012 ho visto un film caricaturale, con un sottofondo di
Ciripiripì, Arrivederci Roma, Volare. è un po’ come se fossi andato su una
bancarella di souvenir. Quella che Allen propone è l’Italia della cartolina che
neanche si trova più. Bravissima Judy Davis, degna moglie psichiatra di Woody
Allen. Bravo Albanese nella parte dell’attore, ovviamente bellissima Penelope
Cruz, prevedibile e scontato Benigni, varie comparse inutili: Maria Rosaria
Omaggio, Ornella Muti. Non ho dimenticato Alec Baldwin, ma la storia di lui che
si rivede ragazzo l’ho trovata francamente scema. Va detto per rigore cinefilo che Woody Allen
comunque non è mai stato un regista realista, nel senso che non ha mai tentato
di fare descrizioni naturalistiche. Chiunque abbia visto un film di Woody Allen
sa bene che il realismo non è tra i suoi interessi. Anche la
New York raccontata in Manhattan o quella di "Io
e Annie" è abbastanza edulcorata ma è quello che quella metropoli
rappresenta nell'immaginario del regista, e così pure la Londra di Mach Point, che gli inglesi avranno
riconosciuto in parte, e Barcellona di Vicky Cristina Barcelona. In ultima
analisi è la testimonianza definitiva dell'immagine oltreoceano di Roma e
dell'Italia tributata da un regista smagato e nevroticamente intellettuale e di
mondo, ma che però coltiva verso l’Italia lo stesso identico immaginario di uno
yankee claustrofobico e per scelta poco attento al mondo che cambia.
Franco Cuomo
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