Una mostra per ricordare Franco
Autiero drammaturgo e scenografo, una mostra fortemente voluta dalla figlia, Valentina
, architetto, una mostra che – già nella sua struttura, nel materiale
fondamentale – il cartone – testimonia una filosofia di vita che, in qualche
modo è il tratto determinante di questo autore eclettico ed oscuro insieme.
Tutto il cartone che compone il labirinto è
cartone riciclato della ditta Sabox, di Aldo Savarese, amico di infanzia e di
sempre – direi- di Franco Autiero, una scelta eco friendly di Valentina Autiero in un’epoca in cui i rifiuti
stanno distruggendo l’etica e l’estetica delle nostre vite. Il riciclo, il riutilizzo,
la filosofia del robivecchi in un epoca in cui il consumismo ha imposto a tutti
l’obbligo di gettare il vecchio e l’usato: per Franco Autiero, figlio del secondo
dopoguerra e dei poveri anni ’50, non è mai stato così. Lui non gettava mai
niente e, bisognava costringerlo a comprarsi una t shirt nuova o un paio di
scarpe che non fossero le sue perennemente sfondate come barche.
Non era uno snobismo il suo: che bisogno c’era
di comprare altra roba se lui aveva già tutto quello che gli occorreva? Nei
primissimi anni 70, quando la mia frequentazione con lui divenne un’amicizia
indissolubile, ogni cosa che facevamo aveva per noi il valore di una scelta culturale,
di una presa di campo e di posizione ma era così anche per altri amici nostri.
Mi sembra un’epoca remotissima
eppure sto parlando di quaranta anni fa, non di quattrocento eppure è come se
ne fossero passati quattrocento. Avevamo riferimenti letterari o filosofici per
ogni cosa che facevamo: Pasolini, De Simone, Ernesto De Martino, Th. Adorno o
Marcuse,Bertrand Russel . Tra quei ventenni che eravamo e i ventenni di adesso
credo che siano passati i famosi 400 anni e non 40. Forse si era troppo
ideologici, è vero,ma oggi credo sia prevalsa la peggiore delle ideologie,
quella che sostiene che le ideologie sono morte tutte, per affermarne
vittoriosa solamente una:una visione molto triste della vita, direi e anche
cupamente ignorante e incolta e sicuramente molto rozza nonostante Internet.
Credo che in quegli anni di
impegno culturale si sia costruita la figura dello scenografo e del drammaturgo
venute fuori , la prima eclettica e totalmente inventata in tutti gli anni ’80 con
il sodale Annibale Ruccello e la seconda oscura ed intimista, privata, negli
anni ’90. Così tutto questo cartone che assemblato senza colla o adesivi o chiodi
che vedrete è una scelta ecologica di Valentina Autiero che, così facendo, ha
reso omaggio alle pazze scenografie di Franco Autiero che erano fatte di
materiali repechages il più delle
volte, come quelle di Matamoro che potrete ammirare nella mostra o di Espiantati,
o di Polveri condominiali.
Altre volte invece, come nel caso
di lavori scenografici più complessi, come Ferdinando, o Giacomo il prepotente,
o la Zaide o la Fiaccola sotto il moggio, con registi di spessore nazionale e
internazionale. La filosofia rimaneva la stessa, ma la ricerca del particolare,
come la sedia, un letto, una consolle,
poteva richiedere serate intere di discussioni accese, sui volumi e le
proporzioni degli oggetti sulla scena.
Era tutto questo Franco Autiero.
Di contro, quando Annibale Ruccello morì drammaticamente, si dice che Franco,
cominciò a scrivere. Anche qui credo che vada detto il giusto. Franco non ha
cominciato a scrivere perché morì Annibale, io credo che Franco Autiero avesse
da sempre dentro di sé un coacervo di storie e racconti che gli erano stati
trasmessi dalla madre, ma anche dalle storie che egli ascoltava curioso nel
paese come “La Vera storia di madama ed altre storie”,solo che, quando Ruccello era in vita lui faceva lo
scenografo, tutto qua. E’ vero, ha cominciato a scrivere negli anni 90, ma la verve dissacrante ed ironica, l’amore
per i giochi di parole e gli esprit des
mots l’ha avuta da sempre: ricordo che tra la signorina Sara Banda e la
signora Sara Cinesca che insieme prendevano un coctail di frutta alla Zanzi
Bar, abbiamo trascorso nottate sino alle tre del mattino nella sua cinquecento
gialla puzzolente di fumo in piazza, magari discutendo anche sul nimbo quadrato delle persone viventi o sul
quello rotondo di quelle morte, rappresentate sull’ Exultet rolls beneventano del IX secolo sul quale si
laureava.
Lo ripeto sempre quando parlo di lui, che è
stato lui a farmi conoscere nel 1972 un autore teatrale argentino surreale che
allora era pubblicato dalla rivista di strips,
fumetti, più autenticamente snob e difficile che si potesse leggereallora:
Linus. Sto parlando di Copì, al secolo Raul Damonte Taborda. Credo che in molte
cose scritte da Autiero possano riecheggiare le storie assurde e patafisiche delle sue donne
frustrate e vessate dalla sorte come la donna col nasone di Copì appunto, o di
Lori gracile o di Loretta strong, una donna che vive su tre anelli di saturno e
alla quale capita veramente di tutto e che in qualche modo rappresentavanoo
tutti i perdenti, tutti gli sconfitti, al di la dei pregiudizi morali e delle
buone intenzioni, ovvero tutte le figure delle sue piéces teatrali.
Questa mostra ripercorre o vuole
provarci a ripercorrere i labirinti dell’anima di un autore, di un
intellettuale anomalo, perché schivo e riservato in un epoca di narcisismo
pataccaro dove tutti si mettono in mostra anche quando non ne avrebbero proprio
alcun motivo.
Godetevi allora i suoi disegni fatti di solito con la biro o con
acquerelli che aveva sotto mano, i
bozzetti di scenografie, ma anche gli articoli che ha scritto come storico dell’arte,
le locandine che spesso partorivamo insieme io e lui.
Sulla sua scrittura complessa e
destrutturata potrei rimandare ad un mio libro anche se è sempre non di buon gusto
auto citarsi, o forse, meglio ancora, ritrovarsi per un altro incontro,
sperando che chi amministrerà in futuro questo comune, possa essere così
sensibile da decidere di pubblicarne per un casa editrice seria tutte le opere
che sono tante, o istituire di concerto con l’Università, borse di studio su un
autore che a mio modesto avviso dovrebbe essere letto e conosciuto da tutti e ancora rappresentato a teatro e questo lo
dico soprattutto a chi lavora nel teatro e per il teatro.
Ringrazio ancora Valentina Autiero per averci
dato l’opportunità di poter frugare nell’anima di un grande artista. Grazie!
Franco Cuomo
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