L’uomo sta sparendo? Sembrerebbe di si, intanto dopo Foucault e
Derrida che hanno decretato finito
l’umanismo/umanesimo, l’uomo come soggetto non ha più una sua definizione
certa. Questa fase della storia mi procura ansia e incertezza emotiva. Il posto
del soggetto sembrerebbe essere stato preso dalle moltitudini: siamo passati a
una fase in cui gli spostamenti decretano la distruzione della soggettività. I
“molti” sono il soggetto di quest’era: non c’è più tempo per la singolarità? Non
c’è più tempo per l’individualità? Sembrerebbe di sì. Dalla seconda metà degli
anni Ottanta del Novecento fu Jacques Derrida che spostò i suoi interessi verso
i temi etici e politici, ancora una volta affrontandoli in maniera poco
tradizionale, cioè con uno stile in cui poco spazio era lasciato alla
"teoria" uno stile che può essere inteso solo alla luce dei
presupposti fondamentali della decostruzione: fu lui che coniò, per far fronte
alla sparizione del soggetto le
“politiche dell’amicizia” che sovvertirono, in filosofia, l’idea di
stato/nazione. Gli quegli anni costituirono un periodo di particolare vivacità
a livello filosofìco-politico, poiché in essi si sviluppò quel dibattito tra
moderno e postmoderno che coinvolse anche il decostruzionismo, e il cui avvio fu
segnato dal discorso di Jürgen Habermas, "Il moderno: un progetto incompiuto", pronunciato nel 1980 in occasione del
conferimento del premio Adorno. Secondo la tesi di Habermas, che condivido
totalmente, il postmoderno sarebbe stato contraddistinto dalla rinuncia all'ideale emancipativo della
modernità, le cui radici si trovano nel razionalismo illuminista,
ripiegando verso una forma ambigua e pericolosa di neoconservatorismo, che
caratterizzerebbe soprattutto la filosofia francese contemporanea e i cui
ispiratori sarebbero principalmente Nietzsche e Heidegger. Credo che Habermas[1]
avesse ragione allora e oggi più che mai: la scena del politico oggi è
precipitata nelle braccia di un bieco conservatorismo economico che ha stritolato
in una morsa di necessità “l’esistenza
dell’etico”: Al valore del soggetto/uomo si è dato la precedenza alla sua
decostruzione finalizzata alla sopravvivenza dell’economico, da qui,
l’importanza attribuita alle “moltitudini” anonime e al valore numerico della
vita da parte di chi amministra gli assetti del mondo. Ma credo però che avesse
ragione anche Derrida, soprattutto nell’ultima fase del suo pensiero quando
rivolse la sua attenzione ai fenomeni contemporanei di attraversamento delle
frontiere, da quelli "normali" dovuti alla cosiddetta
"globalizzazione" o a emigrazioni fisiologiche a quelli
"eccezionali" dovuti a movimenti di profughi, a spostamenti o
deportazioni etniche, di cui le vicende di fine Novecento hanno offerto
numerosissimi esempi (dal Ruanda al Kosovo). Da questi fenomeni – dovrebbe
poter venire fuori una " democrazia a venire " che non intende
chiudersi sullo stato di fatto delle democrazie occidentali, ma che vuole
dischiuderle appunto sull'avvenire, su un futuro la cui riflessione etica dovrebbe
essere tutta centrata su una fenomenologia dell'altro. Un compito arduo poiché,
se una democrazia a-venire vuole davvero rispettare l'alterità dell'altro, non
può mai preventivamente identificarlo, non può mai dire "che cosa" esso sia, non può pretendere
di sapere che cosa avverrà, non può anticiparlo, può solo accoglierlo come si
accoglie un ospite inaspettato: " senza questa desolazione, se proprio si
potesse contare su quel che viene, la speranza non sarebbe che il calcolo di un
programma. Se ne avrebbe la prospettiva, ma non si attenderebbe più nulla ne
nessuno. Il diritto senza la giustizia[2]
".
[1] Jurgen Habermas, Il
discorso filosofico dulla Modernità, Laterza Editore, 2003;
[2] Jacques Derrida, Gli spettri di Marx. Stato del debito,
lavoro del lutto e nuova Internazionale, Raffaello Cortina Editore, 2006;
Nessun commento:
Posta un commento