lady Goldenberg di franco cuomo |
C’è sempre un epilogo per queste
storie, per questi racconti e quest’ultimo ne racchiude il senso, la verità
sapete qual' è? La verità è che non siamo ancora stati salvati. Si, siamo stati
addomesticati tutti quanti e oggi viviamo tutti in una specie di recinto, di
parco protetto e custodito. Siamo guardati a vista sempre ogni giorno, tutti i
giorni, C’è chi si illude di volersi bene e di auto gratificarsi, chi insegue
il sogno di essere sempre giovane e scattante anche a settanta anni con piccole
punturine e parrucchini vari, chi insegue progetti di lavoro, ma l’unica realtà
è che siamo tutti dentro un recinto che non è neanche più un hortus conclusus. Tutti su un treno in corsa,
tra stazioni diverse, si sale si scende, non ci si guarda in faccia, ci si urta,
si impreca l’uno contro l’altro e il treno sferraglia rumoroso in un recinto
chiuso: abbiamo tutti l’illusione di andare da qualche parte ma in realtà
nessuno va da nessuna parte. Se per molti solo un dio poteva salvarci io,
guardando tutti i visi che ho incontrato in questi anni ne ho dedotto che non
siamo ancora stati salvati, ma che, forse non è più neanche il caso di
attendere, perché non c’è nessuna salvezza tranne l’illusione di coltivare la
propria vanità. Si chiamava Domenico, lo trovavo nel treno già seduto al suo
posto, minuto, femmineo nei modi, un libro tra le mani tutte le mattine.
Conoscevo il suo nome perché una mattina una signora lo aveva salutato
chiamandolo: ecco, quell’uomo femmineo coltivava compiaciuto le sue vanità: era
talmente preso di sé che pensava di essere superiore a tutti quelli che gli
stavano intorno, ma, nello stesso tempo, dai discorsi che gli sentii fare con
la signora – una biondona molto cheap-
ostentava una finta umiltà edificante e un finto altruismo e una finta bontà
che lui praticava compiaciuto e con compunzione: ecco, Domenico si compiaceva
di se stesso metodicamente. Tutte le mattine lui dava il buon giorno a tutti
regalando sorrisi fioriti e buoni propositi, ma in realtà era solo a lui che
pensava. Bastava un nonnulla in quel vagone sgangherato per smascherare quel
minuetto che lui inscenava tutte le mattine. Come una mattina che aggredì
violentemente un signore un po’ goffo che inavvertitamente aveva fatto
gocciolare il suo ombrello sulle sue scarpe, o un’altra mattina con fare
disgustato aveva sbattuto in faccia ad una poverina un : “ signora! Ma lei non
si lava e che diamine! Si vendono tanti deodoranti e profumi, potrebbe pure
usarne qualcuno!”. La malcapitata, che poverina, io vedevo tutte le mattine,
come tanti su quel treno, lo guardò con commiserazione, evidenziando il
pensiero come in un fumetto sulla sua testa che conteneva queste parole “ ci
tocca pure questo al mattino, non basta tutto il resto” , cambiò posto e andò a
dormicchiare su un altro sedile. In
realtà Domenico odiava il mondo e tutti quelli che gli stavano intorno. Le sue
abitudini, cresciute nel segreto coltivavano una oscura avversione per l’umanità
che lo circondava a meno che non si trattasse di un bel giovanotto: se ne
adocchiava uno erano tutte mossettine e gentilezze e ammiccamenti, trascurando
anche la biondona che, manifestava tutto il suo disappunto serrando le labbra
in una smorfia che come una ferita gli tagliava il viso . Lui era un
costruttore identitario di egoismo puro. Tutte le mattine, tranne il sabato,
con la signora bionda tutto il mondo era passato al setaccio tra
raccapriccianti luoghi comuni e leziosismi stomachevoli. Erano insegnanti
entrambi. Una mattina, con discrezione, ma in cuor mio non ne potevo più di
ascoltare quelle scemenze sull’amore per tutti gli essere viventi, sull’azzurro
del cielo, e su quanto fosse bella la penisola sorrentina e i suoi scorci,
azzardai un intervento del tipo: “ mi scusi, sono sinceramente colpito dalle
cose che lei dice con tanta certezza, ma non le viene qualche volta il dubbio
che forse il mare non è sempre azzurro e il cielo non è sempre blu, che la
penisola sorrentina sta affogando nel cemento, che amare tutti gli essere
viventi incondizionatamente è una enunciazione di principio ma che riesce
difficile da realizzare e dunque non la realizza nessuno a parte di non essere
San Francesco o Gesù ( cha amava solo l’umanità, ma non l’animalità) o Budda(
che amava di più l’animalità e meno l’umanità) ?” La biondona che era con lui, si girò di
scatto, con fare stizzito, quasi a dire, “ma come si permette? Ma non si rende
conto di quello che ha detto? ” . Lui, con uno sguardo che sembrò lanciasse
saette, girandosi lentamente sul sedile, a gambe strette e piedi uniti,
accennando ad un sorriso finto e contenendo tutta la rabbia che avrebbe voluto
fare esplodere contro di me che avevo osato distruggergli tutti gli oggetti della
sua vanità disse, come se stesse distillando perle di saggezza: “Piacere a tutti, del
resto, significherebbe non piacere a nessuno. Ma la cosa fondamentale è piacere
a se stessi, volersi bene”. Questa frase, che forse sarebbe stata credibile se
fosse stata pronunciata con un altro tono evidenziò tutta la vistosa stonatura
di quell’uomo dai modi femminei e tutta la sua rabbia dall’esser stato
contraddetto da me, in fondo chi ero io se non un tizio qualsiasi che viaggiava
su un treno sgangherato come lui, ma soprattutto fece venir fuori la sua vanità
e il suo egoismo praticato con metodo: lui tutte le mattine voleva solo piacere
a se stesso e voleva bene solo a se stesso.
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