Orlan
Perdonatemi se vi rimando sempre a dei testi, ma io parto dalla scrittura e pure se è dalla testa che parte la riflessione sulla scrittura, questa poi riverbera sul corpo i suoi effetti: io sono anche ciò che leggo e pure il mio corpo anche se il mio corpo è altro da me: ciò che cerco costantemente è una simpatia carezzevole del mio corpo, anche quando a volte alcune pratiche sessuali e non ci spingono ad abusare di lui…
Quando fui by passato, avevo una lunga ed orribile cicatrice, che partiva da metà gamba e finiva nell’inguine della coscia destra, ce l’ho ancora ma oggi è meno orribile e un’altra in mezzo al petto. Ebbene, la psicologa che mi assisteva nella mia convalescenza, mi ripeteva:”sig. Cuomo, accarezzi con dolcezza la sua coscia, lo faccia come se stesse dedicando dolcezze a qualcosa di diverso da lei, la sua coscia ha sofferto molto”. Lo ricordo come fosse adesso, sono passati, 14 lunghi anni, ma ci sono volte che mi ritrovo ancora a farlo e, allora come oggi, la coscia o qualsiasi parte del corpo che mi copre sente un gran benessere che comunica subito alla mia coscienza. Ciò che quella terapeuta voleva dirmi era che: è vero che la mia coscienza si manifesta nel corpo, ma quel corpo è anche una entità autonoma, una entità altra dalla mia coscienza. Ritorno ai testi allora. Ci sono due testi infatti che mi piace riproporre, complessi, ma non inaccessibili, si tratta di Fenomenologia della Percezione di Maurice Marleau Ponty e di Il Corpo vissuto, sempre di Ponty, editi entrambi da Il Saggiatore. In questi due lavori, la fenomenologia getta le basi per una “ontologia della carne”. Questa nozione, fu poi successivamente criticata da filosofi come Nancy, Deleuze e Derrida, che ritennero il termine carne troppo carico di significati cristiani e lo abbandonarono preferendo a questa ontologia una critica totale alla soggettività. Ma a Ponty si deve il merito di aver appena intravisto una autonomia dalla soggettività del corpo vissuto o per lo meno del corpo vissuto dalla soggettività. In qualche modo, quindi, l’esperienza del corpo come peculiarità di ciascuno e dunque anche come “organo” su cui ciascuno può esercitare possesso e controllo è un’esperienza, se vogliamo dire così, seconda, nel senso che risulta resa possibile da un’altra esperienza. Si tratta dell’esperienza della carne in quanto abitata dalla possibilità della mia coscienza, cioè dall’imminenza di un rovesciamento che permette di riconoscere il corpo sia come oggetto, che come soggetto di esperienza. L’esperienza della corporeità come possesso e controllo non può mai cancellare quella di un riconoscimento di una autonomia del corpo in sé: e mani non sono solo le mie mani, ma sono quelle mani, quei piedi, quelle cosce. Insomma, l’esperienza della corporeità come possesso e controllo si caratterizza o meglio dovrebbe caratterizzarsi, come dice Ponty come limite e perdita di questo possesso e controllo assoluto per un rispetto del corpo in quanto tale. Oggi invece il nostro corpo è asservito all’ideologie di sfruttamento intensivo. Noi riserviamo al nostro corpo le stesse torture che riserviamo alla natura, perché, naturalmente, l’occidente giudaico cristiano per circa quattromila anni ha ritenuto che il corpo perituro fosse sede di empietà, mentre l’unica salvezza era riservata all’anima. Se penso che anche in certa arte, per me discutibile, sia passato questo messaggio, capisco che il capitalismo ha veramente reificato il corpo: penso ad Orlan che infligge interventi chirurgici sul suo corpo come se l’unica depositaria dell’esistenza e della verità della sua esistenza fisica fosse solo la sua coscienza e non anche quelle braccia, quei seni, quelle le cosce, quei piedi noncurante di provocare sofferenze al suo viso o ai suoi seni o alle altre parti del suo corpo e, dal mio punto di vista è la direzione in cui va anche molta chirurgia estetica . Il corpo si caratterizza per essere non già “proprio”, bensì inappropriabile, e Nancy – che pure è critico con la fenomenologia- aggiunge un tassello in più per spiegare questa autonomia creando l’espressione ex-peau-sition, nella quale, all’interno della parola “esposizione”, viene introdotto il termine francese peau (che significa pelle) per indicare che il corpo, appunto nel suo essere anche pelle, in quanto tale risulta immediatamente esposto e quindi sempre passibile di essere sottratto alla mia proprietà, proprio in virtù di quella esposizione all’esterno che me lo rende inevitabilmente estraneo. Da questo argomento potremmo anche invertire il nostro atteggiamento verso il mondo animale: io sosterrei che gli animali sono posseduti dal corpo ma non lo possiedono o forse noi non sappiamo se essi lo possiedono o no, da qui, il rispetto che dovremmo anche agli animali, mentre l’uomo invece crede di possedere il suo corpo, senza quel limite che possa permetterne il riconoscimento della sua alterità .
Franco Cuomo
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sabato 4 gennaio 2014
L'IO E IL CORPO: SFRUTTAMENTO CAPITALISTICO DEL CORPO
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