Al netto della diminuzione forzata del voto di scambio e della probabile scelta tattica della mafia, l’astensionismo record siciliano - di maggioranza assoluta - si proietta sulle elezioni nazionali. Ed è un dato che riflette oltre al naturale qualunquismo un diffuso e comprensibile disgusto verso il malaffare, la separazione ormai irrecuperabile fra cittadini e partiti.
Se mettiamo assieme questo elemento di svuotamento della rappresentanza con
il commissariamento euro-tecnico in atto e la ben nota legge elettorale
oligarchica, che difficilmente sarà cambiata in extremis, e di certo non sarà
cambiata in meglio, diventa sempre più impegnativo parlare di democrazia
rappresentativa e sovranità popolare.
Per rigenerare la democrazia rappresentativa, che non funziona più,
sequestrata com’è da partiti, gruppi di interesse e strutture di potere
sovranazionali, sistema di informazione controllata, una delle strade - come ho scritto più volte - è l’introduzione,
ovunque possibile, di elementi di democrazia diretta e partecipativa.
In modo ben calibrato, articolando attentamente le procedure e i campi di
applicazione, senza illudersi di poter eliminare le mediazioni e fare a meno
delle forme della rappresentanza, che in una comunità ampia sono comunque
necessarie.
Può servire per esempio sperimentare il referendum propositivo, a livello
locale e nazionale, o meglio ancora: deliberativo. Magari con un maggior numero
di firme richieste, con un filtro preventivo nel caso del nazionale da parte
della corte costituzionale all’atto del deposito dei quesiti, e senza quorum, o
abbassandolo, in modo che chi si assume la responsabilità di partecipare decide
direttamente le leggi sottoposte al giudizio popolare.
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