Bellezza
Oggi il sogno nicciano di una società estetica si è realizzato. L’Uebermensch, l’Oltre-uomo, l’eletto, colui che, ergendosi al di sopra del caos della vita, afferma con forza la propria wille zur macht, “volontà di potenza”, la sacralità primigenia del vivere e del bello, furoreggia nelle nostre palestre, nei nostri body center, sulle passerelle delle grandi collezioni o in quello dell'ultima pubblicità della nuova fragranza maschile di Versace. E’ l’apoteosi della seduzione del corpo, del sesso esibito, di pettorali scolpiti, di glutei tonici.
E’ l'apoteosi della raggiunta perfezione artificiale, l'incanto del
desiderio realizzato. E’ la nuova catabasi ovvero: il viaggio impossibile
verso l’inferno del rimodellamento estetico infinito. E' l'imprimatur delle società cosiddette post/moderne
e Habermas nel suo intensissimo Discorso
filosofico sulla modernità, edito da Laterza, se la prendeva, già venti
anni e più anni fa, prima con Nietzsche e poi con i suoi figli post moderni a
partire da Lyotard e Derrida per dire più o meno ( perdonatemi la riduttività,
ma è per economia di spazio): bene! Siete contenti? Finalmente le forme,
l'arte, il corpo hanno spazzato via, il concetto, la filosofia, lo spirito, ora
siamo stati completamente asserviti al mercato! La reificazione prima marxiana
e poi adorniana è ormai pienamente compiuta. E’ per questo motivo che, quando
parlo di educazione alla bellezza, intendo educazione al concetto di bellezza,
perché avverto la necessità di porre un argine alla deriva estetica ma non
estatica della vita. Sia ben chiaro che questo mio propendere per la morale non
va nella direzione hegeliana dell’assunzione di una società etica e/o di
uno stato etico, ma solo e semplicemente vuole tentare di ristabilire il
primato del concetto/idea rispetto alla forma/corpo. Il concetto,
etimologicamente: Cum capio .ovvero, raccolgo, prendo assieme,
da cui derivano anche i termini comprensione, comprendere. Tutti termini che
esprimono la facoltà innata che hanno gli esseri umani di raccogliere e
sintetizzare gli innumerevoli stimoli provenienti dalla percezione della realtà
esterna ed utilizzarli per crearsi una propria rappresentazione astratta della
realtà stessa ovvero: eιδέα, l’idea.
Questo è un altro termine usato sia
volgarmente che in filosofia con varie accezioni in genere riferibili ad un
concetto o al ciò che pensiamo sia il “disegno
della mente”. Ristabilire
dunque il primato della riflessione sull'edoné/kalò, ovvero sul piacere
formale del bello. Un percorso, che mi porta a coniugare insieme bello e vero di aristotelica memoria.
Oggi tutti sembrano impazziti per il bello in sé e per sé, ma nessuno si chiede
quanta verità ci sia in quel bello, che non coincide più con buono o con giusto.
Arte
Nell’arte: il cavallo impagliato di
Cattelan e poi appeso al soffitto che cos’è? Una truffa? E che cos’è la testa
di mucca mozzata in una pozza di sangue rappreso con mosche che soffocano in
una teca di vetro ermeticamente chiusa di Hirst? Quest’ arte contemporanea si è
talmente autoriferita che può permettersi di fare a meno della materia prima:
cioè dell’arte. Un’arte che fa a meno dell'arte e si trasforma nella firma
identitaria dell'artista, nella sua volontà
di potenza, la nicciana wille
zur macht. Un’ arte alla quale non interessa sapere cosa sia più giusto
fare per fare veramente arte. Quella firma, quel segno apposto al niente,
rappresentano il massimo grado del nichilismo estetico che travolge ogni
significato di valore in favore dell'unico valore di oggi: i soldi. “Fare soldi è un'arte e lavorare è un'arte e fare
buoni affari è l'arte ...”. [1]
Dunque il massimo dell'immoralità, lo
“sterco del diavolo” eretto
a sistema di valutazione estetica? Non credo di sbagliarmi se dico che questo
stesso sistema di valutazione sul quale oggi si basa la cosiddetta arte
contemporanea sia estendibile alla moda, alla chirurgia estetica, in un’orgia
realizzata di simulacri. Bene si chiedeva Baudrillard - che però è un
postmoderno: que resterà aprés
de l'orge, cosa rimarrà dopo l’orgia? Io rispondo: resteranno gli avelli
vuoti, appunto, i simulacri, perché la nostra è l’età dei simulacri.
Abbiamo abbassato la guardia, abbiamo
pensato tutti che in fondo la bellezza era tutto, ma la bellezza senza la bontà
non è niente. La bellezza senza un fine non è rappresentabile. Gli iconoclasti
queste cose le sapevano meglio di noi che pensiamo di saper tutto meglio degli
altri che ci hanno preceduti e invece non è vero. Se religioni come l’ebraismo
e l’ islam avversavano la rappresentazione della forma di Dio e l’arte era solo
possibile se rinviava ad un’idea più alta, una ragione certamente ci sarà
stata. Siamo poveri mentecatti schiavi dell’estetica vuota e la nostra deriva
continuerà ancora per molto altro tempo.
[1] Andy
Warhol, Citazioni, in: http://it.wikiquote.org/wiki/Andy_Warhol ; Slavoj Zizek, America oggi. Abu Ghraib e altre
oscenità, Ombre Rosse,
2005.
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