Elisabetta D'acunzo e Ernesto Lama in " Le cinque rose di Jennifer"
La rappresentazione della solitudine, un canto a due voci
crudo ed essenziale, senza sbavature, questa è la piéce teatrale che Elisabetta D’acunzo e Ernesto Lama
stanno rappresentando al teatro Elicantropo
a via dei Gerolomini e che si protrarrà fino a domani sera. “ Le
cinque rose di Jennifer” rappresentata per la prima volta nel 1981, è l'opera d'esordio dell'allora
ventiquattrenne Annibale Ruccello.
Nella prima rappresentazione, fu lo stesso Ruccello
a interpretare il ruolo della protagonista. Io l’ho visto per tre volte
interpretato da lui, mentre il ruolo di Anna fu interpretato rispettivamente da Francesco
Silvestri e poi da Vanni Baiano
poi, sono passati più di trent’anni. Ieri sera Ernesto Lama e Elisabetta D’acunzo
ne hanno dato una versione che per molti
aspetti avvicina il dramma alla fonte originaria che ispirò l’allora
giovanissimo Ruccello: “La voce umana”
di Cocteau, un autore molto amato dal drammaturgo stabiese. Nell’opera di Cocteau, in scena è presente solamente una donna al
telefono. L'opera rappresenta una complicata rottura di un rapporto d'amore. La
donna, dopo essere stata lasciata, telefona al suo amante (del quale non si
sente mai la voce all'altro capo del telefono) che ama ancora. La protagonista
tenta anche il suicidio. A causa del basso livello del servizio telefonico di
Parigi di quel tempo la conversazione viene interrotta più volte. In “ Jennifer” di Ruccello un travestito
malinconico, sensibile e romantico che vive in un monolocale a Napoli. Indifferente
al serial killer che sta mietendo
vittime nel suo quartiere, Jennifer non
esce più di casa da molto tempo, trastullandosi tra maquillages vistosi e pesanti e indossando misé trash e di cattivo
gusto, un po’ come tutta l’atmosfera nella quale si svolge il dramma: una
camera da letto pacchiana con una
consolle piena degli oggetti del trucco e una radio sempre accesa. Jennifer non
esce più perché sta aspettando una
telefonata da Franco, toro
ascendente scorpione, l'ingegnere di Genova con cui ha intrapreso una relazione
tempo prima e a cui nell'attesa continua a dedicare, telefonando a Radio Cuore libero "Se perdo te" di Patty Pravo:
con quella, si crogiola in un illusorio ritorno dell’amante. Purtroppo è ben difficile capire
quando (e se) Franco chiamerà: il telefono di Jennifer, per un cattivo
funzionamento della linea (come in Cocteau), sembra infatti intercettare tutte
le chiamate del quartiere, creando fraintesi e malintesi. Quando lo vidi nell’81,
quello spettacolo fu veramente un pugno nello stomaco: noi ( io e Franco Autiero) che eravamo gli amici
intimi di Ruccello, capimmo che quell’opera
prima rappresentava lo spartiacque nella drammaturgia partenopea, tra il
vecchio e il nuovo, e fece veramente
scalpore: l’alienazione urbana, l’irruzione delle emittenti private che allora –
stupidamente chiamavamo libere – la questione delle sessualità omosessuale.
Quella di Ernesto Lama ieri è stata
una scelta molto coraggiosa. Lo è stata perché i tempi sono cambiati: oggi i transgender
o i transessuali sono invitati in prima serata nelle cosiddette fasce non
protette, mentre i social network
rappresentano dal vivo in simultanea ogni genere di spettacolo degno e indegno.
Lo è stata perché Ernesto Lama e
Elisabetta D’Acunzo, che nella piéce è Anna,
e che non è un altro travestito, come nella versione originale, ma una donna, evitando sbavature e tratti
caricaturali ci restituiscono un clima di opprimente solitudine. Annibale Ruccello era notoriamente un
omosessuale consapevole, interpretare Jennifer anche caricando molti
atteggiamenti, gli veniva naturale, in fondo Jennifer era Annibale stesso. Una
sfida molto dura per Ernesto Lama, che non è omosessuale e dunque, sarebbe
potuto scivolare rapidamente in caratterizzazione ridicole o caricaturali.
Così non è stato. La professionale
bravura di un grande interprete del teatro qual' è Lama, ci ha restituito una
Jennifer drammatica, cruda, a tratti crudele e impietosa nell’esasperazione di
una solitudine /destino e che accomuna nello stesso destino, la solitudine di
una donna, Anna la cui unica compagnia era quella della sua gatta Rusinella. Una
rilettura giusta , alla luce dei nostri tempi, e la considerazione amara che la
solitudine è una condizione universale che accomuna tutti. Uno spettacolo da
non perdere con la colta regia di Peppe
Miale e una scenografia che, col grande specchio posto al centro della sala
come un grande schermo, catapultava tutti noi nell’asfissiante monolocale
Jennifer. Veramente una prova di grande bravura per due interpreti eccezionali:
Ernesto Lama e Elisabetta D’Acunzo.
Franco Cuomo
-22.04.2017
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