lunedì 28 aprile 2014

VESUVIO


Vesuvio

L’altro giorno, il riccetto che controlla gli abbonamenti ha avuto un diverbio con un signore molto distinto: io avevo già notato qualche altra volta questo comportamento ma mi ero ripromesso di non intervenire anche perché stanco delle continue discussioni col personale e anche perché, come avrete capito, preferisco fantasticare sulla gente, osservare, ascoltare insomma distrarmi da quello che si presenta ogni mattina come un inferno quotidiano. Il riccetto puntualmente da Vico fino a diciamo Torre Annunziata chiede  - con fare molto poco garbato, come nello spirito di cui si parlava qualche pagina prima,- di verificare gli abbonamenti. Di solito fa scendere moltissimi studenti sprovvisti di biglietto e di abbonamento, ma anche attempati signori o signorine finto svagate che rovistando nella borsa alla fine dicono di aver smarrito un biglietto sicuramente mai fatto e questo fa parte del suo lavoro ed è giusto che sia fatto magari forse sarebbe preferibile un po’ più di educazione e modi più urbani. Arrivato ad un signore chiede:
“ favorisca biglietto o abbonamento”, il signore come se non avesse sentito, continua a leggere il giornale. Il riccetto ancora, questa volta in lingua locale, ovvero dialetto e visibilmente più villano del solito: “ bello! Nun ‘e sentuto? ‘O bigliett, sinnò scinn ‘a prossima!”. Il signore molto distinto, finalmente alza gli occhi dal giornale, si toglie lentamente gli occhiali e in maniera molto cortese, ma decisa, risponde: “ io le mostrerò il mio abbonamento solo quando lei lo avrà chiesto – negli stessi toni in cui lo ha chiesto a me e agli altri- a quei due signori che stanno seduti lì”, e indica due figuri corpulenti, con pesanti collane d’oro, pance debordanti e aria da bulli di periferia. Il riccetto si gira…guarda…soppesa tutta la situazione e, questa volta fingendo di non aver sentito la risposta, si allontana con aria di sufficienza come a dire “ ma che vo stu strunz?”: il signore però continua e lo invita, alzando però questa volta un po’ di più la voce, ad effettuare la verifica. A questo punto tutto il vagone comincia a protestare e a fare la stessa richiesta del signore. Il treno sferraglia in galleria: Pozzano, poi Castellammare Terme, ancora tratto in galleria poi Castellammare di Stabia. A Castellammare di Stabia il riccetto guardando minacciosamente il signore, scende e cambia vagone, qualcuno filma la scena col cellulare, qualche altro chiama i carabinieri perché tra le due gallerie era scoppiata quasi una rissa, io invio un articolo in simultanea al Corriere del Mezzogiorno. A via Nocera i due bulli sono spariti e il riccetto pure. Un inizio giornata di ordinaria follia. Quando succedono queste cose spesso ho invocato una catarsi divina, spesso ho pensato come i veronesi: Vesuvio pensaci tu. All'improvviso il Vesuvio che sonnecchia dal 1944 esploderà con una potenza mai vista. Una colonna di gas, cenere e lapilli s'innalzerà per duemila metri sopra il cratere. Valanghe di fuoco rotoleranno sui fianchi del vulcano alla velocità di 100 metri al secondo e una temperatura di 1000 gradi centigradi, distruggendo l'intero paesaggio in un raggio di 7 chilometri spazzando via case, bruciando alberi, asfissiando animale, uccidendo forse un milione di esseri umani. Io immaginato spesso di vedere la scena dal treno . Il tutto, in appena 15 minuti, i binari fonderanno e io con tutto il treno e tutta la disumanità che trasporta spariremmo in un batter di ciglia. Ah! Finalmente ! invece lui se ne sta li tranquillo come il bello addormentato.
Alla stazione di Leopardi, piccola e solitaria, lo puoi vedere in tutta la sua bellezza, nella sua maestosa e inquietante silhouette. E’ l’unico tratto che ha conservato in qualche modo la bellezza delle vecchie stazioni di una volta in un paesaggio ormai devastato da una speculazione brutta e cementizia, venuta su senza programmi e senza architettura. Case, case e ancora case, palazzoni che hanno soffocato la bellezza di antiche ville borboniche una volta circondate solo da pini ad ombrello e ginestre e macchia mediterranea. Oggi nascoste da palazzoni, raccordi autostradali,o visibili da sprazzi brulli e non coltivati, come in un tratto dove da una pavimentazione di cemento, non si capisce costruita per quale uso e poi abbandonata, in cui la natura si è presa la rivincita, spaccandolo in molti punti e facendo fuoriuscire arbusti o ceppi di agavi ma anche roveti e parietaria, quello che qualche urbanista oggi chiama, non senza provocazione- il terzo paesaggio . In quella stazioncina che ricorda la permanenza di Giacomo Leopardi, puoi ancora vedere una bella maiolica con la Madonna del Buon Consiglio sul muro di un convento con accanto un ortus conclusus con un aranceto verdissimo e ben curato. Ma la parte da leone nel paesaggio la fa lui: il Vesuvio, con ai piedi i pochi campi coltivati rimasti. Il versante vesuviano ovvero, quello che vedo io dal treno, l’altro, quello del monte Somma è nascosto, è più arido, in gran parte riforestato per impedire fenomeni franosi e presenta le caratteristiche successioni della macchia mediterranea. Sulle colate laviche più recenti licheni dal tipico aspetto grigio e filamentoso. Il lichene ricopre interamente la lava del 1944 e la colora di grigio facendole assumere riflessi argentati nelle notti di luna piena, ma anche nelle sere di autunno quando le giornate sono più corte. Sulle colate più antiche invece si affiancano le altre piante, tra cui l'Elicriso, l'Artemisia e la Romice rossa. Poi estesi ginestreti, che imprimono un aspetto caratteristico ai versanti del Vesuvio soprattutto durante le fioriture, poi ancora: lecceti, pinete e querceti. Avrò fotografato non so più quante volte quel monte per conservare sfumature diverse ogni volta di grigi o di verdi cupi, come fanno moltissimi turisti, che credendo di poterlo guardare per tutto il tratto, fotografano col treno in movimento e dunque appena si lascia Leopardi, la silhouette sparisce dietro i palazzoni brutti o dietro le pareti laviche grigio scuso della stazione di Torre del Greco. Una mattina, mentre tornavo a Vico, da Napoli, in un orario morto, con un treno stranamente vuoto mi imbattei in uno storico del paesaggio, un architetto che insegnava estetica del paesaggio a Ca’ Foscari, che si recava a Sorrento. Sembrava impazzito dal piacere di quei luoghi e di quello che lui chiamava “forza tellurica del paesaggio del golfo”. Cominciammo la nostra conversazione, proprio perché lui mi vide fotografare e, credendomi un turista per caso, cercò di spiegarmi la genesi di quel paesaggio. Grande fu la sua meraviglia, quando gli dissi che io da più di quarant’anni percorrevo quel tratto due volte al giorno e che ne conoscevo le trasformazioni nel tempo. Gli dissi che il paesaggio, in quel percorso che facevo da tanto tempo era stato assassinato e che dunque quello che noi due stavamo vedendo era il corpo in decomposizione di ciò che un tempo era stato vivo. L’italia e quel luogo preciso che noi due potevamo guardare dal finestrino era un luogo della memoria di un paesaggio violentato dall’indifferenza e dalla cupa ignoranza, quella stessa con la quale facevo i conti tutte le mattine su quei treni. Nel passato, nella storia, nella cultura, insomma: nelle profondità del tempo, è esistita una specie di macchina filatrice, che imbastiva segni e solchi. A volte si trattava di versi di poesia, di letteratura o magari della facciata di una villa  settecentesca, altre volte semplicemente di rughe. L’Italia per me è stata per anni tutto questo: il luogo che custodiva quella filatrice, ma che oggi qualcuno ha distrutto. Quali sono i linguaggi del Paesaggio? Quali sono i linguaggi con i quali il Paesaggio comunica con noi? E’ il linguaggio del Mito? Quello della ragione? E’ il linguaggio della nostalgia e della memoria? E’ il linguaggio del teatro ? I luoghi ed i paesaggi parlano attraverso quanto hanno incessantemente registrato, conosciuto e stratificato. Parlano attraverso la condivisione di identità o il riconoscimento e l’interazione con di identità altre. Quelle che ci scorrevano veloci davanti agli occhi erano solo trasformazioni e anche la mia nostalgia di un paesaggio antico era un puro e semplice estetismo, come lo era anche la sua meraviglia o il suo stupore nel verificare lo sconcerto di paesaggi sciatti e brutti venuti su la dove una volta c’era “ il paesaggio”, invenzione romantica del secolo del gran tour.  In fondo noi due stavamo sperimentando di persona che  comunicazione avveniva attraverso la percezione delle relazioni fra i vari segni riconoscibili nella scena visiva di quel  particolare paesaggio, mentre la nostra percezione di quel luogo o di quel paesaggio variava repentinamente se in esso scorgevamo un artefatto o un segno contemporaneo opera di un artista, oppure se mentre lo stavamo osservando ascoltavamo Bach oppure Wagner o i Rolling Stones. Ci lasciammo a Vico e la sera ci rivedemmo a cena a Sorrento per continuare la conversazione interrotta: complice il Vesuvio e il suo maestoso silenzio, ma anche un treno mezzo vuoto che restituiva interesse ad un tratto in cui per me non c’era più niente da scoprire.






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