Viviane Meier fotografa, 1926-2009 |
Forse sarebbe più giusto dire che
oggi immagini e scrittura sono alla portata di tutti nel senso che tutti
possono realizzarne ( arte , fotografia, saggi, romanzi, video, ) il punto è
vedere chi lascia una traccia ma soprattutto riflettere se ha ancora senso in
questo universo mediatico lasciare tracce.
Forse, sarebbe meglio non
lasciarne affatto. Bisognerebbe riflettere molto sul senso della fotografia
della Maier: lei ha scattato foto per circa quarant'anni senza mostrarle mai a
nessuno. Rullini interi mai aperti. Lei passeggiava e il suo occhio scattava
attraverso la sua Rolleiflex. Poi è morta e poi ok la storia della scoperta. Ma
siamo sicuri che la Meier
volesse lasciare una traccia? Ecco a cosa mi riferisco quando parlo di non
lasciare tracce. Oggi una cosa difficilissima perché ognuno di noi vuole leggersi e vedersi soprattutto o
sentirsi. Oggi capisco pure il senso di un vecchio libro come Esthétique de la disparition di Virilio e anche il suo più recente L’arte
dell’accecamento. La Meier
ha praticato una sublime ed inaccessibile estetica della sparizione. Una cosa
oggi, a mio avviso, assolutamente impraticabile perché dovrebbe presupporre
un'etica del privato in un mondo in cui ognuno fa vedere tutto di sé. E poi
sono convinto che il mondo non è mai stato così “estetico” come ora. E lo è in
un modo preciso: perché siamo talmente immersi dentro l’Arte che non abbiamo
più bisogno di essa: è solo precipitando nell'accecamento della visione che
smettiamo di vedere e poi di pensare e poi di riflettere. Dove si vede troppo
non si può più immaginare nulla e noi oggi vediamo troppo e dunque non
riusciamo ad immaginare più niente, ma soprattutto ogni cosa ci appare banale
nel suo essere, già vista o già sentita, scontata, ovvia. E allora? Io credo
che questo valga per tutto il sistema dell'arte. Oggi molti lavori artistici o
fotografici o letterari sono gonfiati - nel valore monetario- dai critici,
dalle gallerie disoneste, da editori commerciali, mentre appare sempre più
difficile rintracciarne la valenza spirituale di questi valori, ma anche quella
etica.
Non so cosa dire. Un convegno?
Forse, ma non risolverebbe. Nel
tempo di esposizione sempre più ridotto di ogni evento, nel susseguirsi degli
shock che si anestetizzano a vicenda, tutto è visto e quasi simultaneamente
dimenticato. Una irriflessa democrazia
umorale non razionale, una stimmung che viene fatta coincidere con
uno stato d’animo momentaneo subentra alla democrazia di opinione, ma, non
riesce a trattenere nessuna delle emozioni che il suo regime di simultaneità
produce e immette senza posa nel mondo. E’ un processo che si estende ad ogni
evento mediatico: per le immagini come per le parole. L’arte di vedere esce di
scena insieme alla filosofia politica, al linguaggio perché, non solo ogni
fissità, ma ogni durata è ostaggio dell’ “inerzia panottica”, ovvero di tutto ciò
rimane da un eccesso di esposizione, una sovraesposizione visiva. E in questa
nebulosa in cui la “violenza delle
immagini” sembra l’unico mezzo di espressione, solo l’opera oggettiva –
dice Virilio – “emerge come fenomeno di
resistenza,un gesto reale, infilato come un cuneo nella macchina celibe di una
banale surrealtà”[1]. Ma che cos’è alla fine l’opera oggettiva? L’opera oggettiva è la scrittura e la parola: la
resistenza si attua tramite la parola scritta e letta e più lunghe e complesse
sono le parole più efficace è la resistenza all’oblio, in pratica l’opera
oggettiva è l’esatto contrario di un Tweet, di un post. Ma l’opera oggettiva è
anche quella che sa coltivare l’estetica della sparizione . Per ritornare
all’arte o alla fotografia, forse dovremmo riconoscere che queste
oggi possono praticarle chiunque, perché queste non sono più da tempo “auratiche"
( la fotografia poi forse non lo è mai stata neanche in origine per la sua
riproducibilità intrinseca) per dirla
con Benjamin, oppure l’arte è talmente diffusa come estetismo nella società che
non se ne sente più la necessità e poi magari sperare, ma neanche, che tra
trenta o quaranta anni, quando si è morti, qualcuno scopre il tuo lavoro e lo
fa diventare un business, ma questo è un’altra cosa e ciò che si continua a
chiamare arte non è più tale già da tempo. Quell’arte è morta.
Oggi bisognerebbe fidarsi solo di
se stessi. Ti piace una cosa? Anche di uno sconosciuto? La compri e imponi di
pagarla per quello che essa vale in materiali , procedimenti usati e idea,
basta , niente di più..
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