<< Perché abbiamo
trent’anni. E a trent’anni il tempo comincia a diventare un problema.>>
[…] << E’ che alla nostra
età entri nell’ordine di idee di un tempo non infinito>>
aggiunse.<<Per carità non sei a tre quarti e nemmeno a metà. Ma è come
un’infiltrazione, di cui sei a conoscenza e che prima o poi sgorgherà in tutta
la sua potenza. Hai come il presentimento di essere a buon punto, ma di non essere
ancora diventata nulla. Per la prima volta ti dai uno sguardo alle spalle e ci
resti male. Quel che è peggio e che ti senti senza ancoraggio. E il tempo per
trovarlo sta per finire. Non credi che questo basti e avanzi per avere
paura?>>
Ecco, dopo aver letto questo
brano a pag.170, stavo per chiudere il libro e lasciarlo incompiuto. Ho
pensato: “ Che palle ‘sti trentenni che
si vivono già come dei Matusalemme!
Poi ho pensato che forse, liquidare un romanzo a metà, sarebbe stato ingiusto e dunque, sono andato avanti superando la iniziale ritrosia e insofferenza. Sto parlando dell’ultimo romanzo di Massimiliano Virgilio edito da Rizzoli.
Poi ho pensato che forse, liquidare un romanzo a metà, sarebbe stato ingiusto e dunque, sono andato avanti superando la iniziale ritrosia e insofferenza. Sto parlando dell’ultimo romanzo di Massimiliano Virgilio edito da Rizzoli.
Massimiliano Virgilio è uno
scrittore napoletano, poco più che trentenne che ha già al suo attivo altri due romanzi, collabora con vari giornali ed è anche sceneggiatore. In
effetti il romanzo narra di Michele, scrittore napoletano che sceglie di
rimanere a Napoli, mentre la sua compagna Chiara e i suoi amici l'abbandonano per invivibilità culturale e sociale. Impegnato nella stesura di ciò che sogna essere il capolavoro letterario della sua vita
e che, alla per lui, fatidica età di trent’ anni appunto, decide di comprare una
casa con un mutuo e di arredarla e dei suoi incontri con i personaggi più
importanti della sua formazione letteraria. Michele infatti, come suo nonno che
invece diceva di incontrare il diavolo, incontra le figure letterarie che hanno
segnato il suo sviluppo emotivo e culturale: dal Giovane Holden, a Ismaele di
Moby Dick, a Arturo Bandini il litigioso emigrante di Fante, fino a Martin Eden
di London . Tutti antieroi o eroi negativi ai quali l’esistenza urbana di Michele
sembra ispirata. Così ho ripreso la lettura ma ho mantenuto tutte le mie
riserve, trovando forse troppo comuni o scontati i riferimenti letterari
scelti, e l’estetica complessiva di degrado urbano e di vite bohémien descritte con una lingua troppo
simile ai ritmi di una sceneggiatura da fiction televisiva (limite, ma anche
risorsa della scrittura di MassimilianoVirgilio): la figura di Miss Vrenzola per esempio e dell’amica,
quella di Daniel J Russo pornografo, eroinomane, impotente. Insomma un’estetica
troppo abusata dai trentenni con ambizioni letterarie cresciuti tra Bim Bum Bam e Il Mio amico Arnold, che bevono solo Negroni, che si fanno le
canne, che sono democratici, ma anche aristocratici nello stesso tempo, che
hanno la puzza sotto al naso, che sono elettivamente attratti dalla diversità ( neri, omosessuali, puttane
moldave da emancipare) ma che poi coltivano in segreto il culto dell’amore in coppia e dei buoni
sentimenti anche se tra dubbi e spossatezze emotive. Diciamo che fino a pagina.
235 sono stato convinto di aver letto un “niente
di che” arrancando tra citazioni spesso non richieste e ambientazioni di
maniera con una Napoli in sottofondo tutto sommata già descritta da altri – me
compreso – sempre uguale, sempre sciatta, sempre assolutamente insalvabile.
Poi, improvvisamente, stamattina, in circumvesuviana (ho letto tutto il romanzo
in treno, non in una volta) alla pagina 239 ho capito perché Massimiliano
Virgilio è uno scrittore forte uno scrittore che è capace di smuovere emozioni e
perché il suo romanzo si riscatta improvvisamente, con un brutale e secco
schiaffo, ma anche con una ruvida carezza che ti graffia l’anima e ti scaraventa
pienamente nella storia. La storia, mentre sembrava lasciare intuire altre
soluzioni, improvvisamente vira bruscamente e in questa virata, - che preferisco
scopriate da soli per non togliere togliere il gusto della lettura a chi decidesse di leggerlo - , cambia radicalmente
tutto il romanzo dall’inizio alla fine. Così, mentre continuavo a leggere è
sparito tutto intorno a me: la calca, i rumori sferraglianti, il tempo stesso
che si è come dilatato. Sono stato risucchiato dalla storia senza più avere il
tempo di fare quello che avevo fatto nelle pagine precedenti ovvero distrarmi
con le mie riflessioni su quella scrittura. E quella scrittura che mi era
sembrata manierata fino a quel momento, è diventata letteratura alta, ovvero: un’esperienza che ti lascia un segno
profondo, che ti apre spiragli di valutazioni di senso, che ti commuove e ti
agita. E Michele, a quel punto, è
diventato per me ciò che Ismaele, Arturo Bandini, Martin Eden, erano stati per
lui: una presenza vera e non un’invenzione letteraria. Quando ho chiuso il
libro perché l’ho finito quasi dimenticandomi che dovevo scendere, ho dovuto
faticare non poco a uscire da quella storia e per tutta la mattinata ho ripensato
alla conclusione racchiusa nel lucido fotogramma finale e magistralmente
sintetizzato in 5 righi intensi, senza una sbavatura, senza un aggettivo di troppo,
di quello che, alla fine, è stato un bellissimo romanzo.
Franco Cuomo
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