Argomenti apparentemente
disgiunti ma che sollecitano riflessioni che hanno invece moltissimi punti in
comune: la cosiddetta crisi degli scavi di Pompei e l’esortazione di un
italianista che insegna a Cambridge agli intellettuali italiani a dimenticare
Pasolini. Su Pompei si sta facendo un gran parlare e mi chiedo perché non su
Ercolano o Oplonti. Perché Pompei? Non passa giorno che non ci sia una foto su
un piccolo crollo, su cantieri aperti. In fondo è una città che ha più di
duemila anni riportata alla luce da circa trecento anni, a Napoli cadono le
case fatte vent’anni fa, perché non dovrebbe crollare un muro di contenimento
di duemila cinquecento anni fa? Perché non dovrebbe consumarsi una città che ha
un flusso di cittadini in cammino di milioni e milioni all’anno? Perché non ci
dovrebbero essere infiltrazioni in pareti che sono esposte alle intemperie. Io
credo che sicuramente la povertà delle politiche culturali sia un dato
inequivocabile, ma credo anche in una forma di sciacallaggio mediatico che vorrebbe
consegnare il sito in mano a gestioni private. Ha ragioni da vendere il
professore Settis quando scrive che il governo annunciò, col decreto-legge 112
(luglio 2008), un taglio ai Beni Culturali per oltre un miliardo e 200 milioni
di euro nel triennio, allora furono in pochi a denunciare l´enormità dello
scippo a un bilancio già drammaticamente inferiore alle necessità di un
patrimonio enorme come il nostro. Ma allora nessuno volle capire che a un
taglio di tale portata non potevano che seguire disfunzioni e problemi d´ogni
sorta; anzi, a ogni nuovo disastro non manca chi cade dalle nuvole e si chiede
"come mai?", senza collegare gli effetti con le cause.
L´irresponsabile taglio dei finanziamenti è dunque una causa primaria di questi
e altri crolli, chi non dice queste cose, insieme a quelle che ho scritto in
premessa, è in malafede. L’Italia è un paese che potrebbe risolvere i problemi
della disoccupazione giovanile con la sola gestione di tutti i musei e di tutti
beni disseminati sul territorio. Se intellettuali seri si trovassero nelle
istituzioni ai posti giusti, ma soprattutto se pensassero in termini culturali
e non alle baggianate dysneiane che qualcuno vorrebbe proporre, le cose
andrebbero diversamente. Quindi su Pompei la si smettesse di apparire dovunque
esibendo competenze non documentabili e misurare col metro ogni caduta di
intonaco o dire ad ogni piè sospinto che la città sta crollando: Pompei è una
città che è già crollata, Pompei è già il rudere di ciò che un tempo è stata
una città. Si affrontasse invece il discorso politico: se poi la si vuole
affidare ai privati, ognuno si accollasse le propri responsabilità: fra poco
potremmo venderci Capri, e poi pezzi del Cilento e così via. Gli intellettuali
che dovrebbero dimenticare Pasolini o che l’anno già dimenticato o che forse
non lo hanno mai conosciuto sono purtroppo gli stessi che inneggiano alla
modernizzazione. Sono quegli stessi che per essere troppo antiideologici sono
diventati totalmente post moderni, e anche qui, l’abuso delle terminologie si
spreca, inneggiando spesso a sproposito la nuova connotazione di una figura di
intellettuale policentrica e sopravvalutata che si formerebbe all’interno dei
social network. Così si legge di figure che, a mio parere sono funzionali solo
al sistema dei media ma che non hanno ruoli critici come invece aveva la figura di Pasolini o di un Baudrillard, da
cui l’italianista che ha scritto il saggio ha mutuato il titolo del suo libro.
Saviano, come Pasolini? Ma siamo su altri pianeti e poi Sorrentino e Matteo
Garrone o Antonio Pascale quali possibili confronti? No, Anche qui come per
Pompei prevale la chiacchiera e la povertà culturale e l’approssimazione e la
fama mediatica. Io credo che in Italia bisognerebbe essere tutti più seri con
la storia, e riprendere tutti a studiare e a studiarla seriamente. Riprendere a
studiare cominciando da Antonio Gramsci per esempio, ( un autore di punta
studiato e conosciuto in tutte le università statunitensi che contano e
sconosciuto da noi) e rileggersi se si vuole parlare di intellettuali due saggi
fondamentali: “Gli intellettuali e
l'organizzazione della cultura” e “ Letteratura e vita nazionale”, che invece
Pasolini conosceva benissimo. Sicuramente il libro di Pierpaolo Antonello, che
leggerò, avrà ottimi argomenti, ma quello che succede purtroppo in Italia mi suggerirebbe
di consigliargli di ricordarlo Pasolini, non dimenticarlo, perché da questo
punto di vista credo che non bisognerà fare grandi sforzi.
Franco Cuomo
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