martedì 2 luglio 2013

Pompei, i crolli e gli intellettuali postmoderni





Argomenti apparentemente disgiunti ma che sollecitano riflessioni che hanno invece moltissimi punti in comune: la cosiddetta crisi degli scavi di Pompei e l’esortazione di un italianista che insegna a Cambridge agli intellettuali italiani a dimenticare Pasolini. Su Pompei si sta facendo un gran parlare e mi chiedo perché non su Ercolano o Oplonti. Perché Pompei? Non passa giorno che non ci sia una foto su un piccolo crollo, su cantieri aperti. In fondo è una città che ha più di duemila anni riportata alla luce da circa trecento anni, a Napoli cadono le case fatte vent’anni fa, perché non dovrebbe crollare un muro di contenimento di duemila cinquecento anni fa? Perché non dovrebbe consumarsi una città che ha un flusso di cittadini in cammino di milioni e milioni all’anno? Perché non ci dovrebbero essere infiltrazioni in pareti che sono esposte alle intemperie. Io credo che sicuramente la povertà delle politiche culturali sia un dato inequivocabile, ma credo anche in una forma di sciacallaggio mediatico che vorrebbe consegnare il sito in mano a gestioni private. Ha ragioni da vendere il professore Settis quando scrive che il governo annunciò, col decreto-legge 112 (luglio 2008), un taglio ai Beni Culturali per oltre un miliardo e 200 milioni di euro nel triennio, allora furono in pochi a denunciare l´enormità dello scippo a un bilancio già drammaticamente inferiore alle necessità di un patrimonio enorme come il nostro. Ma allora nessuno volle capire che a un taglio di tale portata non potevano che seguire disfunzioni e problemi d´ogni sorta; anzi, a ogni nuovo disastro non manca chi cade dalle nuvole e si chiede "come mai?", senza collegare gli effetti con le cause. L´irresponsabile taglio dei finanziamenti è dunque una causa primaria di questi e altri crolli, chi non dice queste cose, insieme a quelle che ho scritto in premessa, è in malafede. L’Italia è un paese che potrebbe risolvere i problemi della disoccupazione giovanile con la sola gestione di tutti i musei e di tutti beni disseminati sul territorio. Se intellettuali seri si trovassero nelle istituzioni ai posti giusti, ma soprattutto se pensassero in termini culturali e non alle baggianate dysneiane che qualcuno vorrebbe proporre, le cose andrebbero diversamente. Quindi su Pompei la si smettesse di apparire dovunque esibendo competenze non documentabili e misurare col metro ogni caduta di intonaco o dire ad ogni piè sospinto che la città sta crollando: Pompei è una città che è già crollata, Pompei è già il rudere di ciò che un tempo è stata una città. Si affrontasse invece il discorso politico: se poi la si vuole affidare ai privati, ognuno si accollasse le propri responsabilità: fra poco potremmo venderci Capri, e poi pezzi del Cilento e così via. Gli intellettuali che dovrebbero dimenticare Pasolini o che l’anno già dimenticato o che forse non lo hanno mai conosciuto sono purtroppo gli stessi che inneggiano alla modernizzazione. Sono quegli stessi che per essere troppo antiideologici sono diventati totalmente post moderni, e anche qui, l’abuso delle terminologie si spreca, inneggiando spesso a sproposito la nuova connotazione di una figura di intellettuale policentrica e sopravvalutata che si formerebbe all’interno dei social network. Così si legge di figure che, a mio parere sono funzionali solo al sistema dei media ma che non hanno ruoli critici come invece aveva  la figura di Pasolini o di un Baudrillard, da cui l’italianista che ha scritto il saggio ha mutuato il titolo del suo libro. Saviano, come Pasolini? Ma siamo su altri pianeti e poi Sorrentino e Matteo Garrone o Antonio Pascale quali possibili confronti? No, Anche qui come per Pompei prevale la chiacchiera e la povertà culturale e l’approssimazione e la fama mediatica. Io credo che in Italia bisognerebbe essere tutti più seri con la storia, e riprendere tutti a studiare e a studiarla seriamente. Riprendere a studiare cominciando da Antonio Gramsci per esempio, ( un autore di punta studiato e conosciuto in tutte le università statunitensi che contano e sconosciuto da noi) e rileggersi se si vuole parlare di intellettuali due saggi fondamentali:  “Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura” e “ Letteratura e vita nazionale”, che invece Pasolini conosceva benissimo. Sicuramente il libro di Pierpaolo Antonello, che leggerò, avrà ottimi argomenti, ma quello che succede purtroppo in Italia mi suggerirebbe di consigliargli di ricordarlo Pasolini, non dimenticarlo, perché da questo punto di vista credo che non bisognerà fare grandi sforzi.

Franco Cuomo

Nessun commento:

Posta un commento