venerdì 16 ottobre 2015

Caro Eduardo, l'Italia non è un paese per gay e il tuo cattolicesimo non aiuta a cambiarlo.


Caro Eduardo,
Ti ho letto tutto, come sempre. Ti ho letto attentamente, anche se, scusami, certi voli da catechesi non ce l’ho fatta e li ho saltati. Mi sono chiesto, mentre leggevo, se prima di fare il magistrato tu non volessi farti prete. Saresti stato perfetto, anche dopo che ti ho visto in TV: mite, pacato, elegante. Sei un uomo di destra Eduardo e non lo hai mai nascosto, sei un uomo di destra vecchia maniera, bon ton, colto, non come quei pupazzoli  ignoranti che circolano per il parlamento italiano e fanno “politica”o sono in circolazione ormai dovunque. Anche la tua concezione della sessualità è di destra, fortemente conservatrice e fortemente ideologizzata. Non credo possa esistere, e te lo dico subito, un amore omosessuale come quella di cui tu parli,una idealizzazione estrema dell’amore, e, se esiste, perdonami Eduardo, non è vera! E’ un artificio, come è un artificio quello degli eterosessuali che pensano le cose come le pensi tu, sto parlando naturalmente di tutti i cattolici. Naturalmente ti trovi come interlocutore un omosessuale libertino, nel senso più illuministico del termine, cresciuto in altri ambiti culturali e, gli omosessuali libertini come me, non sono un luogo comune, ma una realtà, come lo sono quelli che scimmiottano le donne ecc. ecc. non mi dilungo perché queste cose le sai : naturalmente,da omosessuale libertino, ho avuto anche storie d’amore lunghissime e importanti nella mia vita, anche se una sola, per la verità,rimane ancora tale. Una storia che oggi, nonostante siano passati 20 e più anni dura ancora anche se molto profondamente trasformata e, quando iniziò, non c’era nessuna “signora” che la benedì. Iniziò e basta: c’è stata passione intensa, poi , amore profondo e incondizionato,fiducia reciproca, affetto delicato, tradimenti colpevoli, abitudine affettiva, poi è finita dopo 14 anni. Poi dopo un silenzio durato 4 anni ci siamo rincontrati: altre vite, altri affetti. Ancora oggi  rimane tra noi un legame profondo e immenso di amicizia. Non abbiamo mai desiderato sposarci, non abbiamo mai voluto o desiderato avere un figlio, né una famiglia tradizionale, soprattutto nessuno ha mai posto la questione dell’amore omosessuale, del sentimento profondo d’amore, nei termini in cui lo hai posto tu. Capisco i tuoi riferimenti colti a San Tommaso, capisco questo anelito di sublime elevazione spirituale, quasi una “ ragion pratica mistica” che permea di sé il tuo assoluto amore o amore assoluto. Questo amore di cui parli mi sembra un “imperativo categorico”, un’estensione del “divino amore” che tutto avvolge ( dovrebbe avvolgere ma non lo fa), ma in cuor tuo, mi domando: sei veramente convinto di ciò? Anzi, ti pongo meglio la domanda . Sei sicuro che tu non voglia forzare e rafforzarti in tutto ciò, perché sai che non è così? Che è tutto più semplice, più istintivo, più naturale, anche se tutto fortemente avversato e condannato . In fondo stiamo parlando anche di sessualità  Io posso capire tutta questa costruzione fatta di pinnacoli colti, di elaborazione raffinata del senso del sacro, ma non la condivido. Non ne condivido neanche una sola virgola, perché in essa vedo riaffiorare oscuro come una minaccia, il senso di colpa al quale ci ha costretto e ancora ci costringe la Chiesa cattolica e le sue gerarchie e vedo la minaccia di esclusione di tutti quelli che, pur essendo omosessuali, vivono l’amore con minori ansie di legittimazione.
Fatte queste premesse – io vorrei  però evidenziare e denunciare anche una sorta di appiattimento  della cultura gay su questa problematica,- quella del PACS e/o del MATRIMONIO come se tutte le persone omosessuali  consapevoli, non aspettassero altro che di sposarsi o di adottare un bambino. Questo non è assolutamente vero, come non è vero che questi argomenti siano stati ben recepiti anche all’interno del movimento. Ci sono molte cose ancora che restano scoperte: il coming out è difficile, il rispetto di sé è un percorso fatto di consapevolezza maturata in contesti di civiltà che mancano in Italia. Ti ho già scritto che se parlo col mio amico che vive da 20 anni in Olanda di queste cose, mi guarda con uno sguardo stranito, come se stessi farneticando. Io che vengo da una storia diversa, che molte giovani persone omosessuali oggi neanche conoscono, ho nostalgia per una certa critica alla cultura che si faceva all’inizio degli anni settanta all’interno del movimento e che  serviva proprio a rafforzare l’identità omosessuale, questa oggi, seriamente minacciata soprattutto tra le giovanissime generazioni . Non sento il bisogno di un riconoscimento ecclesiale e fossi in te, neanche lo cercherei, perché tu sai meglio di me che questa Chiesa, anche quella di Papa Francesco per sua intima architettura, non potrà mai riconoscere l’omosessualità o di più ancora l’amore omosessuale, pena la sua deflagrazione e implosione. Ciò di cui sento forte il bisogno oggi è di innalzamento culturale della popolazione e dei giovanissimi sul problema dei diritti e del rispetto di ogni differenza o diversità. Ciò di cui sento il bisogno è di normative che ci elevino allo stesso stato dei paesi europei, dove leggi specifiche riconoscono dignità e diritti alle coppie omosessuali in Francia, Germania, Olanda, Belgio, Portogallo Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia, Islanda, Lussemburgo, Irlanda e nelle regioni spagnole di Catalogna, Aragona, Navarra. La Gran Bretagna, la Svizzera e la Croazia stanno per approvare leggi analoghe su proposta dei rispettivi governi, se non lo hanno già fatto! Di questo avverto la necessità e l’urgenza, anche se, come ti ho detto, da libertino quale sono, non mi sposerei mai. Poi, bisognerebbe fare tutta una serie di  riflessioni sulla cultura di ogni singolo omosessuale, perché l’omosessuale non è una specie, nel senso che gli omosessuali non sono tutti uguali tra loro, come molti eterosessuali  pregiudizialmente  pensano. Ma ci sono differenze di carattere,  di classe, di status, di comportamento, per cui certi modelli omosessuali appartengono ad una certa estrazione culturale, certi altri no, e questi determinano a loro volta stili di vita e atteggiamenti affatto biologici.  In ultima analisi, non esiste una natura omosessuale, come non esiste un amore omosessuale,  bensì diverse culture omosessuali  e diversi modi di vivere l’amore omosessuale, e tutti hanno o dovrebbero avere  uguale dignità questa è una cosa da non dimenticare mai, ma che oggi anche all’interno del movimento non è più ricordata da nessuno. Essere omosessuali non deve significare esclusione e emarginazione, ma nemmeno avere una medaglia:significa essere una persona come tutte le altre, così è nei posti che non sono l’Italia di oggi.  I pregiudizi di cui ho parlato sono purtroppo ancora molto radicati, anche in persone di cultura medio-alta e non è raro sentire anche persone accreditate culturalmente aprire una conversazione con la frase: voi omosessuali , come se fossimo  una razza a parte. Questo appunto la dice lunga su quanto l’affermazione dei propri diritti, non risolva, se non in minima parte, il problema della necessità di una cultura delle relazioni tra gay, cioè tra di noi, una cultura dell’identità omosessuale oggi difficilmente reperibile. Oggi tende a prevalere l’immagine del gay  tutto amore familiare e buonismo d’accatto. Un’immagine veicolata da un certo centro sinistra, ma anche l’operazione culturale che fai tu, come ho già detto di destra,  formalizza  un insopportabile cliché che mal si adatta alle persone omosessuali. Al momento, da questo punto di vista,  il panorama è abbastanza sconfortante: a noi gay certamente sono riconosciuti molti più spazi e molti più diritti di un tempo nelle società del capitalismo globalizzato, ma questa è a mio avviso una situazione apparentemente rassicurante e anche  effimera, nel senso che è legata alle opportunità e alle sensibilità politiche dei governanti, e delle culture. Poco si è fatto e si fa, per la sistemazione e la fortificazione (perdonami i termini ) di una identità gay e di un  sistema culturale di valori, che possa essere condiviso da tutti noi . Intanto queste “libertà” potrebbero essere perdute in un momento , ma peggio, i comportamenti delle persone omosessuali potrebbero essere lasciati ancora per molto tempo solo nell’ambito del sessuale o traslati solo nell’ambito del “sublime sentimentale”, rafforzando il pregiudizio che dall’origine della società borghese pesa sugli omosessuali anche nella stessa definizione: in più, la scarsa formazione culturale delle giovani generazioni, rafforza comportamenti improntati ad un consumismo sessuale nevrotico svincolato da qualsiasi affettività, contribuendo ancora una volta a determinare colpevolizzazioni e insicurezze. Ad un uso dei piaceri  dovremmo - parafrasando Foucault - affiancare anche  una” cura di sé” . Ovvero una costruzione profonda di un codice, che includa sentimenti e affetti, cultura dei valori etici da coltivare all’interno delle nostre comunità e cultura della persona che bilanci una volta per tutte gli effetti del desiderio falsamente liberatorio in cui spesso si resta costretti. Bisognerebbe, in ultima analisi, impegnarsi nella seria costruzione di una scandalosa educazione sentimentale gay e vivere finalmente, dimenticandosi di essere tali, e avvertendosi solo come una persona qualsiasi, invece tu mi scrivi un libro per ricordarmi che c’è un amore omosessuale che confina addirittura con Dio. No caro Eduardo, non ce la faccio! Così è tutto troppo macchinoso e pesante, mentre invece potrebbe essere tutto più lieve e defilato, un low profile insomma più minimale e più silenzioso, come dovrebbe esserlo quello di tutte le persone, siano  etero che omo , nel rispetto della dignità umana e dei propri diritti .
                                                                                                        Ti abbraccio
                                                                                                     Franco Cuomo



martedì 6 ottobre 2015

Diciamocelo in tutta verità: la sinistra non esiste più


Ho chiosato un articolo di Franco Berardi, il mitico BiFo di radio Alice e lo condivido in pieno Eccolo:
Possiamo ben dire che gli organismi della sini­stra non esistono più, ma che, nessuno, com­pren­si­bil­mente vuole ammetterlo e nem­meno sen­tir­selo dire. Se penso che cosa è la sinistra del Partito Democratico che di fatto è un partito di destra, e se penso ai suoi rappresentanti: Pippo Civati, Stefano Fassina, Gianni Cuperlo e poi Vendola, Bersani ecc.ecc. possiamo senza ombra di dubbio dire che la sinistra è morta e che, cosa ancora più veritiera, non se ne sente più il bisogno. Ma, questa è una affermazione ormai scontata e se invece si affrontasse la que­stione da un punto di vista un po’ meno pre­ve­di­bile? Se tutti, consapevolmente e senza nostalgie cominciassimo a dirci che  a sinistra non c’è più nulla. Se si eccettuano gruppuscoli eroici ma sten­tati di un vasto numero di asso­cia­zioni e orga­ni­smi di base che cer­cano di garan­tire la tenuta di alcuni livelli molto ma molto minimi di solidarietà, mi riferisco ai molteplici centri sociali, o a piccolissime testimonianze comuniste: il partito comunista d’Italia, o altre esperienze simili, in Italia non c’è più nulla: la verità, che lo si voglia o no è questa; non c’è più vita, e se mai c’è qualcosa, questa è mera soprav­vi­venza di esperienze che non riescono più teoricamente e fattivamente a fare i conti con la realtà di una società in cui la tecnologia è diventata l’elemento agglutinante e dominante di tutto il sociale. La sinistra, così come si presenta non partorirà più nessuna novità, se riuscissimo tutti a dirci questa verità, forse potremmo cominciare ad elaborare una nuova visione o nuovi scenari per rappresentarci livelli più congrui di dignità umana in un futuro prossimo. Ieri sera, in TV la Moretti era assolutamente devastante (linguisticamente), devastata (concettualmente), e indecente  (politicamente), così come lo era, lo è, Lilli Gruber: sfiderei qualsiasi donna comunista o banalmente di sinistra a tentare di identificarsi in questi due modelli, penso a Nilde Iotti naturalmente o Miriam Mafai o Margherita Hack o Franca Rame. Dunque, la prima cosa da fare è: non parlare più di sinistra. Una certa sinistra forse esiste ancora, per raggiunger percentuali bassissime elettorali forse solo perché esistono ancora ultra sessantenni, ma, una volta estinti questi ultimi il libro potrà dirsi chiuso. Come pure la democrazia come governo di rappresentanze elette dal popolo, non esiste più, sostituita com’è da gruppi oligarchici che si autonomino. “ Ma se sini­stra vuol dire una forza capace di imma­gi­nare una svolta nella sto­ria sociale eco­no­mica e poli­tica del mondo, una forza capace di attrarre le ener­gie della gene­ra­zione pre­ca­ria e con­net­tiva, se sini­stra vuol dire una forza capace di rove­sciare il rap­porto di forze che il capi­ta­li­smo glo­ba­liz­zato ha impo­sto all’umanità — allora è meglio non rac­con­tarci bugie pie­tose. Non c’è e non ci sarà nel tempo prevedibile.” Per­ché si dovrebbe pensare che la democrazia abbia ancora una sua verità politica dopo i fatti  di Grecia e l’esperienza di Syriza? Ma non occor­reva l’esperienza greca, per sapere che la demo­cra­zia non è più una strada per­cor­ri­bile. Basta ricor­darsi del refe­ren­dum ita­lico con­tro la pri­va­tiz­za­zione dell’acqua, i suoi risul­tati trion­fali, e i suoi effetti pra­ti­ca­mente nulli sulla realtà eco­no­mica e politica.
E allora, se la demo­cra­zia non è una strada per­cor­ri­bile, ce ne viene in mente un’altra? A me no. A me viene in mente che tal­volta nella vita (e nella sto­ria) è oppor­tuno par­tire da un’ammissione di impo­tenza. Non posso, non pos­siamo farci niente.
Cioè, fermi un attimo. Due cose dob­biamo farle, e se volete chia­marle sini­stra allora sì, ci vuole la sinistra.
La prima cosa da fare è capire, e quindi prevedere.
Pos­siamo pre­ve­dere che nei pros­simi anni l’Unione euro­pea, ormai entrata in una situa­zione di scol­la­mento poli­tico, di odii incro­ciati, di pre­da­zione colo­niale, finirà nel peg­giore dei modi: a destra. Pos­siamo dirlo una buona volta che la sola forza capace di abbat­tere la dit­ta­tura finan­zia­ria euro­pea è la destra?
Dovremmo dirlo, per­ché que­sto è quello che sta già acca­dendo, e le con­se­guenze saranno vio­lente, san­gui­nose, cata­stro­fi­che dal punto di vista sociale e dal punto di vista umano. Dob­biamo allora smet­tere i gio­chi già gio­cati cento volte per met­terci in ascolto dell’onda che arriva.
Pos­siamo pre­ve­dere che nei pros­simi anni gli effetti del col­lasso finan­zia­rio del 2008 mol­ti­pli­cati per gli effetti del col­lasso cinese di que­sti mesi pro­durrà una reces­sione glo­bale. Pos­siamo pre­ve­dere che la cre­scita non tor­nerà per­ché non è più pos­si­bile, non è più neces­sa­ria, non è più com­pa­ti­bile con la soprav­vi­venza del pia­neta, e ogni ten­ta­tivo di rilan­ciare la cre­scita coin­cide con deva­sta­zione ambien­tale e sociale.
La decre­scita non è una stra­te­gia, un pro­getto: essa è ormai nei fatti, nelle cifre e negli umori. E si tra­duce in un’aggressione siste­ma­tica con­tro il sala­rio, e con­tro le con­di­zioni di vita delle popo­la­zioni. E si tra­duce in una guerra civile pla­ne­ta­ria che solo Fran­ce­sco I ha avuto il corag­gio di chia­mare col suo nome: guerra mondiale.
La seconda cosa da fare è: imma­gi­nare.
Imma­gi­nare una via d’uscita dall’inferno par­tendo dal punto cen­trale su cui l’inferno pog­gia: la super­sti­zione che si chiama cre­scita, la super­sti­zione che si chiama lavoro sala­riato. Le poli­ti­che dei governi di tutta la terra con­ver­gono su un punto: pre­di­cano la cre­scita in un momento sto­rico in cui non è più né auspi­ca­bile né pos­si­bile, e soprat­tutto è ine­si­stente per la sem­plice ragione che non abbiamo biso­gno di pro­durre una massa più vasta di merci, ma abbiamo biso­gno di redi­stri­buire la ric­chezza esistente.
Le poli­ti­che dei governi di tutta la terra con­ver­gono su un secondo punto: lavo­rare di più, aumen­tare l’occupazione e con­tem­po­ra­nea­mente aumen­tare la pro­dut­ti­vità. Non c’è nes­suna pos­si­bi­lità che que­ste poli­ti­che abbiano suc­cesso. Al con­tra­rio la disoc­cu­pa­zione è desti­nata ad aumen­tare, poi­ché la tec­no­lo­gia sta pro­du­cendo in maniera mas­sic­cia la prima gene­ra­zione di automi intel­li­genti. Da cinquant’anni la sini­stra ha scelto di difen­dere l’occupazione, il posto di lavoro e la com­po­si­zione esi­stente del lavoro. Era la strada sba­gliata già negli anni ’70, diventò una strada cata­stro­fica negli anni ’80. Era una strada che ha por­tato i lavo­ra­tori alla scon­fitta, alla soli­tu­dine, alla guerra di tutti con­tro tutti.
Per­ché dovremmo difen­dere la sini­stra visto che è stata pro­prio la sini­stra a por­tare i lavo­ra­tori nel vicolo cieco in cui si tro­vano oggi?
Di lavoro, sem­pli­ce­mente, ce n’è sem­pre meno biso­gno, e qual­cuno deve comin­ciare a ragio­nare in ter­mini di ridu­zione dra­stica e gene­ra­liz­zata del tempo di lavoro. Qual­cuno deve riven­di­care la pos­si­bi­lità di libe­rare una fra­zione sem­pre più ampia del tempo sociale per desti­narlo alla cura l’educazione e alla gioia.
So bene che non si tratta di un pro­getto per domani o per dopo­do­mani. Negli ultimi quarant’anni la sini­stra ha con­si­de­rato la tec­no­lo­gia come un nemico da cui pro­teg­gersi, si tratta invece di riven­di­care la potenza della tec­no­lo­gia come fat­tore di libe­ra­zione, e si tratta di tra­sfor­mare le aspet­ta­tive sociali, libe­rando la cul­tura sociale dalle super­sti­zioni che la sini­stra ha con­tri­buito a formare.
Quanto tempo ci occorre? Baste­ranno dieci anni? Forse. E intanto? Intanto stiamo a guar­dare, visto che nulla pos­siamo fare. Guar­dare cosa? La cata­strofe che è ormai in corso e che nes­suno può fer­mare. Stiamo a guar­dare il pro­cesso di finale disgre­ga­zione dell’Unione euro­pea, la vit­to­ria delle destre in molti paesi euro­pei, il peg­gio­ra­mento delle con­di­zioni di vita della società. Sono pro­cessi scritti nella mate­riale com­po­si­zione del pre­sente, e nel rap­porto di forza tra le classi.
Ma natu­ral­mente non si può stare a guar­dare, per­ché si tratta anche di sopravvivere.
Ecco un pro­getto straor­di­na­ria­mente impor­tante: soprav­vi­vere col­let­ti­va­mente, sobria­mente, ai mar­gini, in attesa.Praticando filosofie che rifiutano l’esistente, che rifiutano le bugie dei media, che praticano una sobrietà intellettuale e ricercata. Riflet­tendo, imma­gi­nando, e dif­fon­dendo la coscienza di una pos­si­bi­lità che è iscritta nel sapere col­let­tivo, e per il momento non si can­cella: la pos­si­bi­lità di fare del sapere la leva per libe­rarci dallo sfruttamento.
Atten­dere il mat­tino come una talpa, fingendosi morti come fanno molti animali quando avvertono il pericolo estremo.


venerdì 18 settembre 2015

COLORI FUORI SCENA. QUASI UNA PRESENTAZIONE ALLA MOSTRA DI OPERE DI VANNI BAIANO. FINO A DOMENICA DALLE 19 IN POI AL CIRCOLO INTERNAZIONALE DI CASTELLAMMARE DI STABIA. INGRESSO LIBERO

vanni baiano le zingare danzanti intorno ai lumini
vanni baiano gli scaricatori di farina
vanni baiano stazione fantasia ( il francobollo)
vanni baiano la prima comunione di assuntina
vanni baiano il foyer
otto dix cabaret
vanni baiano le pupe
emil nolde, maschere



Una mostra su Vanni Baiano pittore. Dei quadri nei quali sono delineati figure che rendono sensibile una specie di tragitto, una specie di esplorazione che stabilisce rapporti fatti di forma e colori o meglio ancora una esplorazione compiuta delle figure. Vanni Baiano , nel cuore segreto della sua pittura segreta, segreta fino ad oggi, non nasconde questo procedimento esplorativo che,nonostante la raffinatezza di certe sue combinazioni, è quasi rudimentale. Le figure dei suoi quadri non costringono i personaggi all’immobilità e aprono percorsi narrativi e rappresentativi su interni emotivi nascosti. Il segno alcune volte è rapido e veloce, altre volte maniacalmente curato, quasi una decorazione fine a se stessa all’interno di una rappresentazione che se ne va per fatti suoi.

Come rendere visibili forze invisibili? Le figure della pittura di Vanni Baiano, ma io credo tutte le figure della storia della Pittura, possono essere interpretate come il tentativo di rispondere a questa domanda, che è indispensabile porre affinché  la pittura sia collocata nel luogo che le è proprio, ovvero lo spazio della rappresentazione. Ecco allora il procedimento della Pittura di Vanni Baiano che ci viene consegnato attraverso la pubblicità di questa mostra: figure teatrali, ma anche volti caricaturali, attenzione maniacale al trucco di facce imbellettate che coprono smorfie o di scherno o di trita quotidianità: Spose, scaricatori di farina, lo scemo del paese o una prima comunione che pare di più il ritratto di odalische lussuriose o ancora l’urlo di dannati che rimandano all’espressionismo di cui dirò tra poco. 

Con questi quadri Vanni Baiano mette in gioco lo statuto di un’arte particolare, la pittura appunto, così diversa dalle altre forme d’arte: Vanni Baiano, attraverso i suoi quadri i suoi disegni i suoi schizzi immediati, non riproduce o inventa delle forme, ma rappresenta forze emotive e pulsioni psicologiche, ovvero, come ebbe a dire Klee “ Non rendere il visibile, ma rendere visibile ciò che non si vede”. I quadri di Vanni Baiano sono un tutto pieno e fanno a meno della rappresentazione naturalistica, l’intera superficie del foglio, Vanni Baiano ha dipinto prevalentemente su carta o cartoncino, è fin subito investita virtualmente da ogni genere di cliché con cui è necessario rompere. 

Così, “ Colori fuori scena”, una mostra sulla pittura di Vanni Baiano, poliedrica e multipla, che si deve alla testarda volontà della sorella Nunzia Baiano che ha conservato con cura e amore una collezione enorme di dipinti, disegni, schizzi, bozzetti e studi per costumi di scena realizzati per lavori teatrali eseguiti con Annibale Ruccello e per altri lavori dei quali è stato autore e regista. Il titolo della mostra però, vuole essere una chiara indicazione per chi si accosta a questo autore poliedrico ed eclettico, una caratteristica comune a tutti i protagonisti di quella ormai lontana stagione teatrale tra la seconda metà dei ‘70 e la prima metà degli ’80 che da Castellammare tracimò nel mondo. Questa mostra parla esclusivamente di Vanni Baiano pittore, divisa in tre sezioni vuole condurre il visitatore nel ricco e complesso mondo figurativo dell’artista.

Tampere, matite, pastelli , collage e tecniche miste prevalentemente su carta che ripercorrono un avventura estetica fatta di citazioni anche ai grandi della pittura europea e nazionale: George Grosz, Otto Dix, Emil Nolde, James Ensor, ma anche Enrico Baj, Salvatore Fiume . Attraverso una lucida osservazione non ostentata Vanni Baiano dipinge nel segreto della sua casa, nel cuore di Castellammare con tratto espressionista e tinte forti il mondo di cui si sentiva attraversato; così troviamo la cugina scema, gli scaricatori di farina, ma anche il  foyer, totalmente espressionista o una picassiana donna sole o un sognante Ruccello/Benino che dorme in maniera protettiva su una sonnacchiosa Castellammare. 

Fonti artistiche importanti ma anche  iconografie volgari e popolari. Vanni Baiano  passa così da disegni caricaturali ad apocalittiche e violente vedute urbane ad una grafica inconsapevolmente politica, al tratto leggero dell’illustratore e del costumista teatrale, lavoro fatto con grande maestria e dignità, per approdare infine a figure che ricordano l’eredità della nuova oggettività. La mostra è stata suddivisa in tre sezioni

 Intanto perché tre sezioni? Si è pensato – anche se credo che tutta l’opera pittorica di vanni Baiano vada in una sola direzione – di sezionare la imponente mole di lavori che l’artista ha prodotto nell’arco quasi di un ventennio. Quelle che vedete qui esposte sono solo una piccola parte di tantissimi lavori che non era possibile esporre, per spazio e per tempo. Un percorso dunque, pensato e suddiviso in tre momenti:   che corrispondono ad altrettanti filoni espressivi della poetica visiva dell’artista: «La scena pittorica», ovvero  Vanni Baiano pittore, «Il costumista e l’illustratore», che raccoglie i disegni preparatori e le idee di scena per i costumi dei lavori teatrali nei quali era coinvolto appunto come costumista e  «Il mondo e i personaggi: ovvero Vanni Baiano osservatore di realtà». Poi, Colori  fuori scena, perché ciò che qui si presenta stasera è il lavoro di un artista autentico che nella sua ricerca visiva credo sia andato molto al di là della finalità di illustratore di costumi di scena e dunque appunto è debordato “fuori scena” per approdare allo spazio della creazione pittorica vera e propria.

Dunque la pittura di Vanni Baiano sembra muoversi in un preciso ambito espressivo, quello dell’espressionismo ovvero quello di artisti che, in antitesi con il verismo impressionista, ricercavano un’espressione irreale o  se volete surreale della realtà, intendendo l’arte come ricerca interiore e autonoma rispetto al dato oggettivo e sono molti i quadri di Vanni Baiano che vanno in questa direzione. Vorrei solo ricordare come il Foyer, che è stato utilizzato come sfondo per l’ affiche della mostra ricorda in maniera incredibile  un quadro di Ernst Ludwig Kirchner, Berlino, scena di strada, del 1913 o Cabaret di Otto Dix o un senza titolo che io ho immaginato potesse chiamarsi “i volti dell’anima” sia incredibilmente simile a un quadro di Emile Nolde “ gente eccitata” sempre del 1913. Vanni Baiano era un attento decostruttore di realtà e spesso  il suo sguardo curioso andava molto al di là di ciò che appena appariva in superficie. Il suo era un osservare scevro da qualsiasi estetismo, e sono convinto che l’aver fatto parte dei Dodici Pozzi, e poi della compagnia il Carro, abbia contribuito non poco ad affinare la sua arte che coltivava nel chiuso della sua casa quasi in segreto. 

Colgo negli scaricatori di farina o nella  prima comunione come la volontà di rappresentare, un mondo non naturalistico, ma una , realtà destrutturata o esagerata ad arte, dove i volti sembrano, nelle loro smorfie grottesche quasi delle caricature, dalle cui espressioni si può leggere la persona ridotta a personaggio in tutta la sua miseria umana. Così pure la stessa incapacità formale, il rifiuto della forma chiusa, la sparizione dello spazio, la deformazione, l’esasperazione dei colori, stanno ad indicare l’acuto sguardo  di un  artista che, osservando il male di un’epoca, capisce di non potere dare una forma finita alla sua opera. 

Così, i quadri di Vanni Baiano sottendono e fanno affiorare l’effetto di spaesamento che accomuna la pittura alla produzione teatrale e musicale della sua personale esperienza di vita. Il rapporto tra l’artista ed il mondo diviene un rapporto un poco isterico e fluttuante; è come se Vanni Baiano dicesse: se l’Io è insalvabile e la realtà esterna non è univocamente percepibile, allora solo i nervi e le tensioni che mutano, di volta in volta, possono permettermi di esprimere ciò che sento in ralazione al mondo esterno.


Franco Cuomo, Vico Equense , 7 agosto 2015






giovedì 17 settembre 2015

Soldi che si sbloccano, squali e la Bindi


Sì sta incominciando a delineare l' affare, forse, che andrà avanti, forse, per altri trenta anni e forse io non ci sarò per vedere come finirà; 50 milioni di euro ( 25 per il depuratore e 25 per la rete "nuova"); già gli squali e non i delfini,  svettano sottocosta e da lontano si intravedono le loro lugubri pinne nere.  Intanto le  7000 faccine FB spacciate ad arte per un movimento popolare, mai visto nella realtà, montato ad arte da politicanti locali scaltri, ha fatto bene la sua parte. La Grande Onda e  era necessaria a tutto questo, e Laura Cuomo ha svolto bene la sua funzione , quella di riuscire far smuovere i soldi per un depuratore che ne ha già ingoiati tanti e che doveva essere finito già da un bel po’ e per un sistema fognario che prevedo che ne ingoierà tanti altri ancora per avere risultati, se mai vi saranno simili a quelli che vediamo ogni qual volta piove. Nel frattempo i cittadini della costiera pagano le bollette dell’acqua alla GORI  carissime, nonostante i ricorsi dei cittadini, questi si, veri  e non fittizi come quelli di FB, per un sistema fognario che alla prima bomba d’acqua fa saltare tombini o tracimare rivi che sversano a mare di tutto. Ora la macchina fabbrica soldi si è attivata: il PD ( non si sa quale anima) impegnato davanti a tutti a sbloccare i dané . Per la cronaca: non ho visto questa estate un solo cittadino  per strada, ma solo faccine, improperi, lamentele e fotografie di mare a tutto spiano, coordinate da un’attenta regia fatta da sindaci ed ex sindaci. Poi, dopo aver intasato la rete  il colpo finale è arrivato col divieto di balneazione a Sorrento: mai si era osato tanto, ma si sa, il fine giustifica qualsiasi mezzo. Ora affluiranno altri soldi.  Gli squali, sono questi gli unici protagonisti di questa vicenda . Non quelli che stanno nel mare inquinato sorrentino, ma quelli che nuotano tra uffici regionali alla ricerca di altri milioni da inghiottire come fosse plancton rigenerante. Quel depuratore doveva essere finito da anni, e così , incompleto com'è ha inghiottito già milioni di euro. Ora, quelli che sono stati gli attori politici di quella grande abbuffata per una grande opera mai finita, come vuole la tradizione italiota, si fanno promotori della salvezza ambientale e chiedono ancora altri soldi da gestire per altre opere da appaltare e gli allocchi del pensiero mutilato tutti al seguito come mosche cocchiere sulla merda. Ci dovrebbe essere un limite a tutto questo, la decenza e il buon senso dovrebbero obbligare la gente a svegliarsi invece di cianciare di trasparenza . In questo rilancio alla richiesta di altri soldi di trasparente non c'è nulla! Gli attori poi sono le stesse persone che da decenni hanno gestito questo fallimento. Tutti quelli che prendono parola nella grande onda - i maître a penser- sono stati sindaci , hanno amministrato le nostre cittadine costiere. Si tiene fuori Gennaro Cinque, ma lui non sa che farsene del consenso di FB , lui, fortunatamente sconfitto alle elezioni , è il provinciale eroe dei due monti ( Faito e Scutolo), e meno male che il suo seguito è fatto solo di creduloni equensi. E allora? Di cosa stiamo parlando ? E con chi andiamo a parlare ? Con Casillo? Con Amato? Con Tito? Con Cinque? Con Beneduce? Sono questi i rappresentanti della Grande Onda? Sono loro i novelli paladini ambientali?

 Si, forse sono proprio loro quell'overflow che fa tracimare e scoppiare le fogne e proprio per questo sono sempre loro che chiedono altri soldi per sistemare le fogne peninsulari e per "adeguare " punta Gradelle" ad una penisola sorrentina che non è più la stessa di quando fu progettato. Magari l'adeguamento durerà altri 20 anni e tra venti anni bisognerà chiedere altri soldi
per adeguarlo di nuovo. Nel frattempo la Bindi, che non mi sta simpatica, fa saltare dalla sedie le anime belle della politica locale e nazionale quando dice che la camorra è funzionale alla economia della città di Napoli e gli ipocriti si scandalizzano.  Perdiamoci di vista, vi prego.

Franco Cuomo VAS VERDI AMBIENTE E SOCIETA'

venerdì 14 agosto 2015

Sta tornando Marx o è solo moda culturale?


Dopo vari post e commenti – anche un poco scemi e superficiali – come tutto quello che scorre su FB su attualità del marxismo e sue possibili rivisitazioni (è mia opinione) in chiave fideistica e scarsamente teorica, mi sono messo a scartabellare tra cose scritte tanti anni fa da un me fresco laureato e dimenticate; una di queste era una “fortuna” critica delle opere di Karl Marx del 1978, fatta per il corso di storie delle Dottrine Politiche, col prof. Riccardo Campa a Scienze Politiche alla Federico II. Mi ero laureato da due anni e il prof mi affidò la conduzione di un seminario su Marx, avevo 27 anni. Ricordo che iniziai il seminario citando un'opera di  Umberto Cerroni , La libertà dei Moderni ( La teoria alla prova della società di massa) allora membro del Comitato direttivo dell’Istituto Gramsci e se ricordo bene anche del Comitato centrale del PCI e insieme portai  una breve relazione sulla storia avventurosa della diffusione dell’opera di Marx. Si parlava già di “morte del marxismo” e il post modernismo e i "nouveaux Philosophes" dilagavano, il TIME annunciava “ Marx is dead”. Le cose poi sono andate come sono andate, quello fu l’ultimo anno che presi la tessere del PCI, presa la prima volta nel 71.Nel frattempo molti magisteri filosofici sono tramontati, ma il padre del socialismo scientifico sembra essere ancora oggi un grande problema aperto e soprattutto sono in molti che lo stanno ristudiando.

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 Dunque iniziai quel seminario facendo mie le parole di Umberto Cerroni.
“La diffusione dell’opera di Marx è la storia di una colossale sfortuna editoriale”. Poi continuai “ La prima opera marxiana importante, la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, che è del 1842-43, vide la luce tra il 1927 e il 1929, uno stacco incredibile. La Questione ebraica esce nel 1844 in tedesco ma in italiano solo nel 1899. I Manoscritti economico filosofici del 1844 si pubblicarono postumi in Inghilterra nel 1932  e in Italia nel 1949. L’Ideologia tedesca, composta nel 1845, venne stampata nel 1932 sempre in Inghilterra. Sono testi fondamentali , come ognuno sa per un approfondimento della filosofia marxiana, eppure questi testi rimasero ignoti per moltissimi anni, quasi un secolo, sicché, alcuni ideologi del marxismo – Lenin e lo stesso Gramsci – li ignorarono. Il secondo volume del Capitale vide la luce in Italia nel 1946 e il terzo dieci anni dopo. I famosi Grundrisse , composti attorno al 1859, appaiono in lingua originale nel 1939-41 e in appena dieci anni fa. Si può parlare allora di “un” marxismo? Tutto quello che abbiamo ricevuto fino ad ora è il frutto di un marxismo stratificato, filtrato attraverso una congerie di interpretazioni che sicuramente andrebbero tenute separate dall’autentico cammino di Marx. Ora, se proprio si vuole istituire un rapporto tra Karl Marx e i paesi socialisti si potrebbe dire: Marx previde che una serie di paesi sarebbero diventati socialisti, sbagliando pure, e questa previsione non l’ha fatta Kant, né Smith, né Hegel. Dopodiché la responsabilità è di chi ha costruito quelle società così come sono. Marx, si sa, aveva dato ben poche prescrizioni per l’avvenire.
Gli studenti sono invitati alla discussione. 

Febbraio 1978
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Il seminario durò fino a maggio mese in cui finì il corso e fu molto seguito, con grande soddisfazione del prof che però, dopo la morte di mio padre, avvenuta nel giugno di quello stesso anno, mi scaricò molto impietosamente privilegiando due suoi protetti che oggi sono ordinari a Napoli nella stessa facoltà o forse in pensione. Oggi, dopo tanti anni, i commenti che - ripeto ho trovati un po' provvisori e generici, compresi i miei - mi hanno riportato alla memoria quel seminario e mi chiedo se veramente c'è una ripresa degli studi marxiani o ci troviamo davanti a una delle ennesime mode culturali.

domenica 9 agosto 2015

Derrick de Kerckhove e Vico Città cablata

Derrick de Kerckhove


8 agosto, ovvero ieri, ma già il 7 sera a Vico Equense black out telematico: telefoni muti, bancomat scollegati, internet assente, non si naviga né con smartphone, né con chiavette. Forse lunedì o martedì si ritornerà alla normalità ma quella normalità non sarà molto dissimile dall'isolamento di questi giorni:  internet a Vico Equense è una chimera, la connessione wifi Free City, fa ridere, se stai in piazza il tuo smartphone è praticamente bloccato e gira a vuoto col 3G, se va bene, altrimenti gira a vuoto con E!  Qualche mese fa con un convegno a cui prestarono la loro faccia e la loro professionalità un massmediologo di fama internazionale e la Società di Cominucazione Media 2000 e vari mammasantissima della cultura accademica e non : Derrick de Kerckhove direttore del Programma McLuhan in cultura e tecnologia, Lello Savonardo, docente presso l’Università Federico II, Maria Pia Giovannini, dell’Agid, Cesare Protettì, direttore del master di giornalismo alla Lumsa, Giovanni Santella, dell’Agcome e Maria Pia Rossignaud direttore della rivista Media 2000 sancirono che Vico Equense, grazie alla rete di fibra ottica che l'ex sindaco Gennaro Cinque aveva sistemato insieme si tubi del gas - era diventata la città più connessa del mondo, in pratica in quel convegno si disse che stavamo più avanti di Olanda e Danimarca tanto da fargli dichiarare:” A Vico Equense siamo arrivati prima degli obiettivi fissati dall’agenda digitale europea dotando la città di un’infrastruttura in fibra ottica capace di garantire ai cittadini e alle aziende una banda massima di 1gigabyte”, non so quanti siano d’accordo a Massaquano , Moiano, Arola  e molte zone alte . Tralascio i contenuti espressi in quell'occasione dai due insigni intellettuali, soprattutto de Kerckhove, che forse, consapevole di non andare oltre Vico Equense, dette il meglio di sé nelle sue incomprensibili affabulazioni, dimentichi forse che la UE, ha collocato l'Italia al penultimo posto ( dopo ci sono solo la Grecia e la Turchia) per la copertura la velocità dei collegamenti internet in Europa. Tralascio che quel convegno farsesco e bugiardo incuriosì - per i contenuti mirabolanti sostenuti dai due mega intellettuali - anche Rai 2 che tramite i giornalisti di Caterpillar, intervistò l'ex sindaco- ridicolizzando tutta l'operazione: l’ascolto di quell’intervista, per chi riesce ancora a trovarla è esilarante. Di fronte a questo scatafascio mediatico e a queste bugie mi chiedo sempre perché professionisti, che si professano seri, si prestano a simili buffonate, ma soprattutto perché poi tacciono di fronte a simili disservizi. Il black out di due giorni fa certamente non è dipeso da loro, ma sulla completa inefficienza dei collegamenti internet a Vico Equense, forse dovrebbero dire qualcosa, soprattutto de Kerckhove che molto invece disse in quel convegno farsa del 28 marzo scorso. L’onestà intellettuale è una cosa seria, molto ma molto,seria!


Franco Cuomo VAS- Verdi Ambiente e Società



domenica 2 agosto 2015

Martedi in Regione Campania i sindaci della Penisola Sorrentina come giovani vergini




Martedì 4 agosto ci sarà l'incontro in Regione dei sindaci della Penisola Sorrentina con l'assessore regionale all'ambiente. Questi sindaci andranno a difendere la vita distrutta del nostro mare, portando un documento stilato da alcuni componenti del gruppo FB la Grande Onda. Un documento risibile e ingenuo per i contenuti, ma è solo una mia opinione. Ebbene questi sindaci andranno a questo incontro come se loro non c'entrassero niente col disastro ecologico che sta sotto gli occhi di tutti, questi sindaci si presenteranno come giovani vestali con l’imene integra, questi sindaci andranno in Regione come se per anni i comuni della penisola fossero stati amministrati da alieni venuti da altri mondi. Questi sindaci di meta, Piano, S.Agnello e Sorrento, dovrebbero intanto dirci perché Vico Equense, nel cui territorio ricade il depuratore di Punta Gradelle, dovrebbe prendersi tutta la cacca della penisola sorrentina?  Ma dovrebbero spiegarci pure : Meta, Piano , S. Agnello e Sorrento perché non hanno mai fatto un progetto di separazione delle acque nere da quelle bianche; progetto che , con tutti i limiti è stato fatto dal comune di Vico Equense, da un sindaco che – come ho più volte denunciato – e sono ancora convinto,  ha fatto molti disastri ambientali ma che forse, alla sua maniera, che non è la mia, aveva visto giusto sulla separazione delle acque. Il sindaco di Sorrento poi dovrebbe dirci perché non vuole aprire il depuratore di Marina Grande o perché non lo si mette in funzione? Queste sono le domande che il nostro sindaco facente funzione, l’avvocato Benedetto Migliaccio dovrebbe rivolgere in primis ai suoi colleghi peninsulari e poi all’assessore all’ambiente della Regione Campania. Domande che vanno fatte non per stupido campanilismo ma semplicemente perché - ammettendo che Punta Gradelle entrerà mai in funzione (doveva essere a regime il 31 luglio scorso su assicurazioni della signora Flora Beneduce), quel depuratore non potrà mai smaltire il flusso di acque da depurare di tutti i comuni della costiera, soprattutto senza prima aver fatto una separazione tra acque bianche e nere cosa che nessun comune costiero ha fatto, ne sembra intenzionato a fare . Tutto queste cose questi i sindaci le conoscono e sanno pure che  sono i diretti responsabili, eppure, stanno cavalcando la grande bara/ONDA mediatica messa su ad arte da qualcuno di loro e lo stanno facendo ancora una volta sulla pelle dei cittadini per salvaguardare interessi e magari far passare altri “progettoni” inutili . Non è una cosa di poco conto: lo ripeto, c’è chi si ostina ancora a non capire, il livello di disastro ambientale del nostro mare non è una casualità ma il risultato di politiche amministrative miopi e dissennate che queste amministrazione costiere hanno gestito fino ad ora e continuano a farlo con gli stessi sistemi e le stesse procedure, gli stessi uomini e gli stessi politici . Ora che questi sindaci, con la copertura di questo gruppo la Grande baraOnda, si stiano ricostruendo una verginità è assolutamente inaccettabile ma ancora più inaccettabile è il mantenimento dello status quo sul regime delle acque e su tutto il carico dei flussi delle acque che dovrebbe sopportare solo punta Gradelle. Allora alla civile Grande Sorrento si chiede intanto: 1) di cominciare o attivare progetti di regimentazione delle  proprie acque e 2) di far entrare in funzione anche  il depuratore di Marina Grande! Ma a questi sindaci e ai loro sodali si chiede soprattutto di togliersi la maschera dell’innocenza e di programmare serie politiche di recupero ambientale, perché ormai da noi possiamo solo recuperare e soprattutto non pensare solo agli interessi di ristoratori e albergatori, solitamente defilati sulle battaglie di civiltà, perché i loro interessi non possono più essere gli unici da difendere, perché quelli dei cittadini comuni sono molto più importanti.

Franco Cuomo –VAS – Circolo “Giovanni Esposito” Vico Equense