mercoledì 9 agosto 2017

L'insopportabile leggerezza di un'insopportabile gergo dell'autenticità



Leggevo l’altro giorno un post su fb, ora non ricordo di chi, mi perdoni chi lo ha postato, sul discrimine puri e i mpuri, sul fatto che si attribuiva ai puri una sorta di integralismo di fondo e la purezza avrebbe sporcato l’autenticità delle buone intenzioni. Io qualche giorno fa ho postato sul mio blog un post sulla melensaggine del fare beneficenza,ovvero di come si dice di fare del bene e le modalità con le quali questo verrebbe fatto. Naturalmente sono stato immediatamente attaccato, anche da persone in assoluta buona fede che mi rimproveravano una sorta di cinismo, prodotto a loro dire da "scompensi" della mia personalità, e infatti si è aperta subito una discussione dove la argomentazioni – come spesso succede, sono andate anche sul personale. Trovo che forse ci siano similitudini tra le due cose: la purezza e  la beneficenza  veicolano modalità di manifestazioni che spesso sono profondamente ideologiche , ma chi le usa al giorno d’oggi pensa che invece siano delle astrazioni . Io credo invece che la mobilità delle parole comporti indubbiamente sin dall’inizio, la loro corruzione. Mi spiego meglio, in qualsiasi termine funzionale, ovvero termini che presumono di rappresentare azioni di solito morali, l’inganno  inerente al principio di scambio che regola le nostre vite e le vite di tutti, penetra anche nello spirito delle azioni, poiché queste non sono mai dissociate dai contesti economici che le producono. Dunque non c’è mai una purezza assoluta nella beneficenza, né mai una beneficenza avulsa da una determinata condizione ideologica, né mai un puro più puro di qualcun altro. Oggi, l’impoverimento culturale veicolato dai media fa credere a tutti – ingannando tutti- che sono possibili  azioni sostenute da parole che sarebbero delle astrazioni per lo più false come: fare il bene, fare beneficenza, essere buoni, fate i buoni ( come il famoso refrain del panettone), una stucchevole stupidità sostenuta da una profonda ignoranza dell’uso delle parole che ne permette l’utilizzo in maniera inconsapevolmente ideologica, fortemente falsa, e soprattutto manifestamente di parte, perché chi si atteggia o usa questi stereotipi culturali, non comprendendo veramente l’uso del linguaggio, sta sempre dalla parte del potere politico di cui dice di differenziarsene. Ora qui non voglio fare l’analisi del linguaggio, qui tento di definire dei contesti e questo post – per ritornare alla questione iniziale – non vuole essere più “puro” di un altro, né contrapporvisi  in maniera polemica. No, questo post vorrebbe solo sollecitare la curiosità verso argomenti importantissimi che oggi non  sono – non dico analizzati – ma nemmeno  presi in considerazione, ritenendo tutti che si possano usare dei termini: quali bene, bontà, beneficenza, come li usa la pubblicità: appunto il “fate i buoni” del famoso panettone. In un contesto organizzativo – consentitemi il termine – ontico, ovvero, che concerne ognuno di noi, come esistenza singola determinata nel tempo e nello spazio, tutte queste proposizioni  fanno uso di un gergo dell’autenticità, nel  quale, proprio questa è la più vistosa manifestazione di falsità. E allora, consentitemi di essere cattivo o di definirmi tale, consentitetimi di non avere sempre lo smile stampato sul viso, perché il mio viso non è un emoticon, ma una faccia che vive di contraddizioni, consentitemi di diffidare di chi si incontra per fare del bene o dice di essere puro, di chi dice ti voglio bene in continuazione ma appena sparisci si è dimenticato di te e consentitemi di diffidare di tutti quelli che vogliono sempre comprendere tutti perché credono che tutti abbiano delle ragioni che debbano essere comprese, ma che invece non è così, perché anche di questo è fatto questo gergo dell’autenticità a buon mercato dove falsi e ideologici modelli televisivi la fanno da padrone. E consentite anche me di essere inautentico, solitario, musone come qualche preoccupata eroina di vivacità alla sempre libera degg'io folleggiare di gioia in gioia, preoccupata a suo dire, scrive di me. Vengo da un'altra scuola, per me le parole sono importanti e non sono mai innocenti ma corrotte sempre, vengo dalla scuola di un pensiero critico - oggi purtroppo latitante- che ha il compito di svelare questa corruzione, e di denunciare poi questa, come corruzione reale e non solo più linguistica.

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