domenica 2 luglio 2017

Dopo il pestaggio...


Dopo il pestaggio del dottor Pirozzi, la vita, anche in quel piccolo paese di campagna non fu più la stessa, il fascismo aveva arruolato nelle sue squadracce la peggiora feccia locale e dei paesi limitrofi. Da Marano, da Giugliano, da Villaricca, da Qualiano erano state sottratte braccia alla terra e i giovani maschi erano diventati camice nere. Nella piazza Umberto I, sotto il monumento ai caduti della prima guerra, il sabato mattina il comandante della squadra radunava tutti:  I balilla moschettieri e gli avanguardisti, e gridava :<< Eia, eia, eia>> E tutti rispondevano gridando seriamente: «Alalà!». Gli  avanguardisti sguainavano i pugnali e li mostravano minacciosamente al cielo, in un saluto che pareva di entusiasmo ed era di morte, mentre i piccoli balilla tendevano il braccio nel saluto romano. Quel grido che non significava nulla era un urlo comico e distruttore. Era il 1931, mia mamma aveva appena sei anni, con la manina stretta alla gonna della madre, assisteva insieme alle donne e ai vecchi a quel rito comico e teatrale, e lei ha ricordato tutto per tutti i suoi anni  e lo raccontava a me, e spesso le scappava da ridere specie quando il comandante urlava eia eia e tutti rispondevano alalà; ancora, quando me lo raccontava, al buio nelle sere d’estate fuori la balconata di casa nostra,in costiera sorrentina, quando stava ancora bene, le scappava da ridere e ridere al suo modo, stringendo gli occhi piccoli e portandosi le mani al viso, proprio come quella bambina di sei anni. Agli occhi di quella bambina tutta quella lugubre parata appariva ciò che realmente era: una farsa tragicomica che suscitava la risata. La mamma allora la strattonava e le diceva di finirla, temendo di essere richiamata dai capisquadra che sorvegliavano le reazioni della folla. Ma quella mattina era una mattina speciale, perché il duce veniva in visita a Napoli, e quei giovani in quella piccola piazza di paese stavano andando tutti a Piazza del Plebiscito per applaudirlo, mentre il podestà aveva fatto montare gli altoparlanti nella piazzetta del paese affinché tutti potessero sentire il discorso che Mussolini avrebbe tenuto di lì a poco dal balcone della Prefettura. Per ascoltare il discorso del duce nessuno era andato a lavorare e allora anche la piccola Maria non era andata né a scuola, né “ a campo” , anche per lei era stato un giorno di festa. Dopo il discorso, sciolta l’adunata, Angela col marito Antonio e i due bambini Maria e Ciccillo, andarono a casa di zia Maria che li aspettava per il pranzo. Li accolse zio Cristofaro sotto l’arco del “luogo ‘e quaranta”, a tavola c’era anche il dottore Pirozzi che appena vide la piccola Maria la prese in braccia e chiese alla madre come stava, la trovava bene e soprattutto irrobustita su quelle gambette che fino ad allora erano state gracili, Angela non dette peso alle parole del dottor Pirozzi e Antonio prontamente si versò un bicchiere di vino sotto lo sguardo di disapprovazione di sua sorella: zia Maria non permetteva a nessuno di toccare cibo prima che ci si fosse seduti tutti a tavola . Il dottore Pirozzi aveva ancora sul viso i segni della tumefazione del pestaggio: in quel mondo in cui l’umanità era protetta da una matriarca, la piccola Maria si sentiva al sicuro. L’anima di quella bambina sembrava attraversata da sprazzi ben dosati di gioia che le facevano dimenticare le umiliazioni che la povertà le faceva subire. Mia madre non ha mai dimenticato più quella casa e quella donna che l’amava forse più di sua madre. Fuori le forme del male traevano la loro forza dal loro carattere oppositivo, attraverso il quale esse pervertivano ciò che gli uomini avrebbero voluto, avrebbero potuto a avrebbero dovuto fare in modo migliore. Il peccato originale allora finisce col diventare un ostacolo originale, una contrarietà originaria, un’inezia oscena, in un impedimento insopportabile e in un perverso persistere di circostanze inaccettabile per qualsiasi uomo. La rimozione generale di questi ostacoli e contrarietà da parte di tutti diventò il cuore nero, l’uovo del serpente che come il livido scuro sull’occhio del dottor Pirozzi avrebbe devastato di lì a poco nuovamente quel mondo.

   

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