Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella |
I
cattolici hanno stravinto in questo paese grazie al partito democratico. Un
greve conformismo centrista che ha riabilitato in toto la Democrazia Cristiana
di un tempo, la sua cultura, i suoi uomini. Sparisce, da un partito che si
definisce di sinistra - ma che è invece strutturalmente di centro- ogni segno
di cultura comunista e di tradizione marxista. Una strana metamorfosi che dal
vecchio PCI ha veicolato la trasformazione, come un serpente che muta la sua
pelle, nel PDS, poi nei DS, poi nel PD dove l'anima morotea democristiana è
venuta fuori con tutto il suo manifesto moralismo e con il peggiore
strumentalismo che qualsiasi politica possa mai aver messo in campo. Gioiscono
e si commuovono tutti i vecchi democristiani, a partire dalla Bindi, ma anche
Renzi e la sua corte che non è mai stata comunista e la Boschi che-
pubblicamente- ha dichiarato di preferire Fanfani a Berlinguer anche se non ha
mai conosciuto nessuno dei due.
L’ascesa
di Sergio Mattarella al Quirinale ci ridarà un quaresimalista dello stampo di
Oscar Luigi Scalfaro. Anche Mattarella è pio, schivo, poco incline al sorriso.
Sul Colle lo vogliono i democristiani del Pd. In prima linea, Rosy Bindi che
con lui, negli anni di Tangentopoli, liquidò con un amen una democrazia
cristiana divenuta troppo ingombrante ma non cessando mai di esserlo.
Questa
fragranza di candele accese da chiesa e di crisantemi inquadra perfettamente la
tradizione culturale di Sergio Mattarella. L’origine è quella dei «basisti», variante della Dc di sinistra
(l’altra era morotea), nella mia città si chiamarono “fiorini” dal nome della
lista Fiore dove confluirono in molti allora giovani democristiani. Il più noto
“basista” del tempo è l’irpino, Ciriaco De Mita. L’anima della stirpe fu però
lombarda. Capostipite era il sen. bresciano Salvi, ormai defunto. Costui
indossava il cilicio, era cupo ed ebbe il soprannome di «2 novembre». Salvi
clonò un gruppo di identici a lui: l’on. Padula, detto «bonjour tristesse», il
sen. Martinazzoli noto come «cipresso», l’on. Gitti, soprannominato «cripta»,
nomi affibiati loro dagli stessi amici di partito. Di tutti si è persa la
memoria. Tutto questo è nel DNA del 73enne Mattarella, reperto di un mondo
scomparso e tutto questo ha preso il sopravvento in un partito che ha definitivamente
disintegrato ogni minima tradizione comunista.
Va
detto a “onore” di Mattarella di avere capito quasi per tempo che la politica
del Duemila non era più per lui. Nel 2008 se ne andò dal Parlamento per usura,
essendoci entrato nel 1983. Durante le sette legislature fu prima DC, poi
Margherita, infine PD, che è la stessa cosa.
È
stato più volte ministro – nei governi Goria, De Mita e Andreotti alla fine
degli anni ’80 – e addirittura vicepresidente del Consiglio con il D’Alema I
(1998-1999). Il suo maggiore exploit fu l’invenzione del Mattarellum, dal suo
nome latinizzato per burla dall’indignato politologo Giovanni Sartori.
Lasciato
il Parlamento, Mattarella dimostrò di non essere il tipo che resta appiedato
senza una poltrona. Entrò subito nel CPGA, il Csm dei giudici amministrativi,
incarico di nicchia, come si usa dire, ma discretamente remunerato. Poi, puntò
direttamente alla Corte Costituzionale che è la più bella poltrona che ci sia.
Dura nove anni, più di ogni alta carica; sei rispettato come un Dio, pagato
come un principe, intoccabile come un re, in un vorticare di auto blu, autisti,
segretari e privilegi vari.
Il
volo di “Sergiuzzo” – come lo chiamano i palermitani che stanno festeggiando -
cominciò il giorno in cui Piersanti, suo fratello maggiore e presidente della
Regione Sicilia, fu brutalmente assassinato dalla mafia nel 1980. Sergio, che
aveva assistito impietrito all’omicidio, soccorse il fratello che morì tra le
sue braccia in ospedale, un episodio terribile che ne ha segnato la vita. In
quell’istante decise di raccogliere il testimone e continuare la tradizione
politica cominciata col padre Bernardo, moroteo, più volte ministro nel
dopoguerra, gran notabile che però riusci a convivere senza urti con la mafia.
Contrariamente ai suoi figli Piersanti
che, ne fu ucciso e di Sergiuzzo che dell’antimafiosità ha fatto il suo
vessillo corredandola di altre virtù: moralità politica, trasparenza, severità
dei costumi, salda osservanza alla Chiesa.
Nel
1983 divenne deputato e l’anno dopo fu per tre anni il plenipotenziario
demitiano in Sicilia. In questa veste, inventò la figura di Leoluca Orlando
facendolo sindaco di Palermo. Ce l’avrà per sempre sulla coscienza. Leoluca era
ancora un placido dc ma la promozione gli dette al cervello. Divenne un
compulsivo antimafioso e il prototipo di chi su questo imbastisce la carriera,
finendo per accusare di connivenza perfino Giovanni Falcone.
Nel
’95 ruppe con Rocco Buttiglione che, da segretario, voleva portare il Ppi
nell’orbita del centrodestra e lo irrise come «el general golpista Roquito
Buttillone» una mossa politica non da poco anche per l’insipienza di Rocco
Buttiglione. Negli anni in cui Berlusconi governò, definì «indecenti» le sue
leggi affermando che i «ministri vanno in Parlamento solo quando c’è da votare
leggi a favore del premier», aveva ragione. Ebbe poi un travaso di bile il
giorno in cui FI entrò nel PPE, sembrandogli sacrilego che lui della Margherita
dovesse stare sotto lo stesso tetto. «È un incubo irrazionale», affermò, come
se ci fossero incubi razionali. Brigò al punto che la sinistra dc uscì dal PPE
per non infettarsi. Inutile dire che tanto livore non è il migliore
lasciapassare per il Quirinale.
Per
concludere, Mattarella è un moralista. Come spesso accade con costoro, anche
lui è inciampato. Negli anni ’90, fu rinviato a giudizio per finanziamento
illecito, accusato da un imprenditore siciliano di avere intascato 50 milioni
di lire, più buoni benzina. Sergiuzzo giurò: «Il contributo non è mai
esistito». Era falso. Messo alle strette, ammise la benzina, non i soldi. Se la
cavò per il rotto della cuffia: l’imprenditore non fu creduto e i buoni, per un
valore di tre milioni, furono giudicati veniali. E’ stato Assolto. Ma la bugia
resta e per il Colle pesa ( Marco Travaglio?).
Dei
comunisti nel PD, per la verità spariti già da tempo, invece non resta più
nulla e il Partito Democratico oggi altro non è che la vecchia Democrazia
Cristiana che come araba fenice è risorta dalle sue ceneri. Morale della
favola: in un paese corrotto dall’assenza di moralità, il moralismo perbenista
cattolico stravince , mentre la cultura comunista si è spostata in un altrove
di cui si fa fatica a ritrovarne le tracce.