Dal profondo del dolore, sulla
necessità di accettare la fine della vita: “ non moriamo perché ci ammaliamo,
ma ci ammaliamo perché dobbiamo morire”, così ci ricorda Michel Foucault [1],
affrontando i tre più insormontabili tabù delle nostre società: la vecchiaia,
la malattia, la morte . Sembra tutto razionalmente accettabile, tutto così
“naturale”, tutto “nelle cose”, specialmente quando una persona si fa molto
vecchia, ma non è così, per lo meno non è così specialmente quando si attivano
le dinamiche degli affetti, quando sei coinvolto in prima persona, eppure
bisogna cominciare proprio da qui e, ripercorrere il significato dell’esistenza
e il senso stesso della vita . L’altra sera mi capitò di vedere in TV Anna
Marchesini, mitica interprete teatrale di grande forza espressiva, consumata da
una devastante artrite reumatoide. Ero solo, in poltrona, oppresso da un
pesante senso di angoscia, come mi capita da un po’ di tempo in qua. Di là,
mamma, la mia mamma, che si lamentava nel sonno dei quasi suoi ottantanove
anni, come fa ormai tutte le sere, tutte le notti. Anna Marchesini parlava dal di dentro della sua
malattia, non nascosta, né esibita: semplicemente vissuta come un momento della
sua vita e ha raccontato della sua scrittura, del suo teatro e della morte come
di un altro momento della nostra vita, perché, sempre di vita si tratta. La
ascoltavo e pensavo che ci sono argomenti tabù che si cerca di rimuovere. Pensavo
che se le strade si riempissero di gente malata, o vecchia, che se la TV invece di mostrare sempre
corpi levigati, giovani e belli, mostrasse le donne e gli uomini come realmente
sono,forse cambieremmo la nostra testa, ma soprattutto il nostro atteggiamento
verso la vita e verso la morte e anche verso noi stessi. Invece nella nostra
società, la malattia è una vergogna e la vecchiaia pure lo è e si nasconde la
prima e la seconda. Le si isola entrambe
-per la vergogna- in luoghi di sofferenza e di segregazione: gli ospizi, le
case di cura, le cliniche, gli ospedali. Espelliamo dalle nostre vite i segni
tangibili di ciò che invece fa parte della vita e sono essi stessi la vita.
Anna Marchesini parlava e io mi sono sentito piano piano una serenità
interiore, anche se ero consapevole di che tipo di notte mi aspettava.
Continuiamo a vergognarci della malattia, nascondiamo asetticamente la morte e vediamo solo gente sana e giovane e bella, che
è pure giusto, ma non è la verità, o meglio: la verità della vita non è solo
questa: quando incontriamo qualcuno che sta male siamo presi da un turbamento
fuori misura, come se non sapessimo che quello è il nostro specchio. Così il
dolore per la vecchiaia di mia mamma sempre più stanca mi riporta a una sua
accettazione, benché non sia facile, a meno di non inserirsi in un processo
incessante che è la vita stessa, così miei due infarti. Cerco di adeguarmi ai
cambiamenti del mio corpo che, paradossalmente sono più facili da accettare che
non i cambiamenti del corpo di mia madre o di una persona che si ama
profondamente, perché il tuo corpo ha reazioni, mentre non puoi fare nulla per
il corpo di un altro, se non assistere impotente . Ecco, mi sembra che il tabù
della nostra epoca sia la mancanza di consapevolezza delle cose importanti e
tragiche e essenziali della vita: cioè queste cose, contro la banalità di un
mondo o di comportamenti fatti da smile
stupidi come faccine perennemente sorridenti.
Forse bisognerebbe parlare di
queste cose non in modo macabro o funebre ma come un fatto vitale, perché la morte
e la vita infine sono esattamente la stessa cosa. Ed eccoci ritornati al punto
di partenza: nella visione greca dell’uomo la vita si concede finché non
sopraggiunge la malattia e la morte e la filosofia- che mi ha sempre soccorso -
serve anche a ricordarci che, necessariamente,
noi non moriamo perché ci ammaliamo ma ci ammaliamo perché siamo mortali
e che questo incessante movimento non è altro che la vita stessa.
[1] Michel Foucault, Nascita
della clinica: il ruolo della medicina nella costituzione delle scienze umane
oppure con sottotitolo Una archeologia
dello sguardo medico (1963), trad. Alessandro Fontana, Einaudi, Torino
1969.