La prima volta cinematografica
delle Vele di Scampia non è stato Gomorra, ma un film di un regista napoletano
impegnato e a torto poco noto: Salvatore Piscicelli: “ Le occasioni di Rosa”,
un film del 1981. Nel film una giovanissima Marina Suma camminava spavalda,
come simbolo di una gioventù di una periferia abitata e vissuta già dal degrado
sociale, che si lasciava vivere dalla vita, senza opporsi o lasciare la loro
impronta distintiva, sullo sfondo svettavano le Vele di Scampia. Giovani per
cui il guadagno facile era più attraente del guadagno legato allo sforzo
lavorativo che li avrebbe nobilitati, giovani per cui il piacere sarebbe stato l’unica guida spirituale in un mondo in cui il
progresso si insinuava come processo di confusione e rimescolamento dei valori
e dei generi. Oggi, quel posto, che era già architettonicamente brutto 32 anni
fa è diventato l’epitome del degrado di una città, immortalato nel suo orrore
sociale in Gomorra, si spera l’ultima volta, prima di filmarne la demolizione.
L’architetto Franz Di Salvo immaginò un contesto architettonico che in quei
dedali e labirinti di cemento avrebbe dovuto riproporre l’immagine dei vicoli
di Napoli un complesso che avrebbe dovuto veicolare lo sviluppo sociale di
un’area, quella est, Ponticelli, già fortemente segnata dall’esclusione: pessimo
modernismo,pessima interpretazione dell’unità abitativa di Le Corbusier o delle
strutture a cavalletto di Kenzo Tange,
famoso a Napoli in quegli anni, che pure molti altri disastri urbanistici ha
lasciato. Giorgio Bocca riferendosi a Scampia scrisse: “Dicono
che le teste d'uovo che l'hanno costruite abbiano commesso degli errori: i
sette edifici giganteschi dell'edilizia popolare che arrivano al
quattordicesimo piano, ma non hanno ascensori, non hanno negozi e neppure
luoghi di riunione. Dei monumenti da abbattere”. Scampia, e le vele che erano sette, tre delle quali sono state
già abbattute, sono l’esempio di come un progetto urbanistico, svincolato da
uno sviluppo socio economico può produrre solo cattiva architettura e inferno
urbano: così, tra il 1962 e il 1975 furono innalzate quelle piramidi del sacrificio umano e
culturale. Non voglio entrare nel merito estetico oggi: erano già brutte
allora, voglio invece entrare nella proposta di oggi di spostare i policlinici
e le Università (fondere insieme le due strutture universitarie della Federico
II e della Sun) in un’area a forte impatto delinquenziale. Un servizio sociale
sanitario in un’area mal servita e pericolosa, con una sanità napoletana e
regionale allo sbando, con una Regione che non ha un soldo per far funzionare i
servizi minimi: anche questa mi sembra l’ennesimo esperimento sociale partorito
da chi non ha niente di autenticamente serio da proporre, l’ennesima roboante
proposta propagandistica: tra lo spostamento dei Policlinici e delle Università
è stato detto che bisognerebbe trovare più di 20 milioni di euro per “risanare”
un errore urbanistico che la città di Napoli sta pagando ancora molto caro. Lascia
pure sconcertati la posizione della Soprintendenza, attraverso il suo
Soprintendente, arch. Stefano Gizzi che ritiene le Vele una testimonianza
architettonica da preservare e tutelare. Mi sembra un estremismo estetico radicale,
laddove la stessa spesso tace su scempi devastanti di patrimoni architettonici
ben più rilevanti delle Vele. Quelle 4
strutture rimaste, andrebbero demolite subito, perché sono brutte e pericolose,
sono il simbolo di tutto quello che non dovrebbe più essere costruito. Ci
sono zone dove i bambini giocano a pallone sull’amianto; va bene l’inserimento
dell’Università, ma non nelle Vele, quella zona ha bisogno di un progetto di
risanamento ambientale di proporzioni gigantesche, qualcosa come è successo
nella Ruhr tedesca. Aree verdi auto depuranti, corsi d’acqua drenanti, riprogettazione
delle unità abitative, riqualificazione del sistema trasporti e poi last but not least uno progetto e uno sviluppo
culturale e sociale di respiro ampio a cominciare dalla lotta alla dispersione
scolastica e alla presenza di punti di ritrovo creativi: teatri, centri sportivi
attrezzati, sale cinematografiche, gallerie d’arte. Tutto il resto, tutto
quello che si sta dicendo sulle Vele di Scampia è propaganda politica, un’altra
manovra per mettere in circolazione altro denaro e lasciare quell’area e quei
simboli mostruosi in balia della criminalità e del degrado sociale. La Regione
Campania non ha né i mezzi, né le competenze, né la cultura per realizzare un
progetto simile e non li ha neanche il Comune di Napoli si cerchino altrove le
soluzioni, ci si faccia consigliare da competenze europee e da progettisti del
recupero ambientale internazionali, ma soprattutto chiediamoci tutti da dove
dovrebbero uscire questi soldi.
Franco Cuomo – Coordinatore Circolo
VAS- Costiera Sorrentina
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