slavoj zizek
E’ un
filosofo e studioso di psicoanalisi sloveno. Il suo ultimo libro è Dalla tragedia alla farsa (Ponte alle
grazie 2010).
Le
proteste a Wall street e di fronte alla cattedrale di St. Paul a Londra hanno
in comune “la mancanza di obiettivi chiari, un carattere indefinito e
soprattutto il rifiuto di riconoscere le istituzioni democratiche”, ha scritto
Anne Applebaum sul Washington Post. “A differenza degli egiziani di piazza
Tahrir, a cui i manifestanti di Londra e New York si richiamano apertamente,
noi abbiamo istituzioni democratiche”. Se si riduce la rivolta di piazza Tahrir
a una richiesta di democrazia di tipo occidentale, come fa Applebaum, diventa
ridicolo paragonare le proteste di Wall street a quelle in Egitto: come possono
i manifestanti occidentali pretendere ciò che già hanno? Quello che la
giornalista sembra non vedere è un’insoddisfazione generale per il sistema
capitalistico globale, che in luoghi diversi assume forme diverse.
“Eppure in un certo senso”, ammette Applebaum, “è comprensibile che
a livello internazionale il movimento non sia riuscito a produrre proposte
concrete: sia le origini della crisi economica globale sia le sue soluzioni
sono, per definizione, al di fuori della sfera di competenza dei politici
locali e nazionali”. Ed è costretta a concludere che “la globalizzazione ha chiaramente
cominciato a minare la legittimità delle democrazie occidentali”. È proprio
questo il punto su cui i manifestanti vogliono richiamare l’attenzione: il
capitalismo globale mina la democrazia. La conclusione logica è che dovremmo
cominciare a riflettere su come espandere la democrazia oltre la sua forma
attuale – basata su stati-nazione multipartitici – evidentemente incapace di
gestire le conseguenze distruttive dell’economia. Invece Applebaum accusa i
manifestanti “di accelerare il declino” della democrazia.
Sembra sostenere quindi che, siccome l’economia globale non è alla
portata del sistema democratico, qualunque tentativo di espandere la democrazia
per gestire l’economia rischia di accelerare il declino della democrazia
stessa. Cosa dovremmo fare allora? A quanto pare dovremmo continuare a
riconoscere un sistema politico che, stando alla spiegazione di Applebaum, non
è in grado di fare il suo lavoro. In questo momento le critiche al capitalismo
non mancano: siamo sommersi da storie di imprese che inquinano spietatamente
l’ambiente, banchieri che intascano bonus enormi mentre le loro banche sono
salvate dal denaro pubblico, fabbriche che sfruttano i bambini per confezionare
abiti destinati a negozi di lusso.
Ma c’è un tranello. Il presupposto è che la lotta contro questi
eccessi dovrebbe svolgersi nel quadro liberaldemocratico. L’obiettivo è
democratizzare il capitalismo, estendere il controllo democratico sull’economia
globale grazie alla denuncia dei mezzi d’informazione, a inchieste parlamentari,
leggi più severe, indagini di polizia eccetera. Ciò che non si mette mai in
discussione è il quadro istituzionale dello stato democratico borghese.
Qui l’intuizione cruciale di Marx è attuale ancora oggi: la
questione della libertà non dovrebbe essere riferita solo alla sfera politica,
cioè a cose come le libere elezioni, l’indipendenza della magistratura, la
libertà di stampa o il rispetto dei diritti umani. La vera libertà risiede
nella rete “apolitica” dei rapporti sociali, dal mercato alla famiglia, dove la
trasformazione necessaria per promuovere dei miglioramenti non è la riforma
politica, ma un cambiamento nei rapporti sociali di produzione. Noi non votiamo
su chi possiede cosa o sul rapporto tra i lavoratori in fabbrica. Queste cose
sono lasciate a processi che esulano dalla sfera del politico, ed è
un’illusione che si possa cambiarle “estendendo” la democrazia: creando, per
esempio, banche “democratiche” controllate dal popolo.
Occorre ricordare che i meccanismi democratici fanno parte di un apparato
dello stato borghese chiamato ad assicurare il regolare funzionamento della
riproduzione capitalistica. Alain Badiou aveva ragione quando sosteneva che il
nemico ultimo oggi non si chiama capitalismo, impero, sfruttamento o cose del
genere, ma democrazia: è l’“illusione democratica”, l’accettazione dei
meccanismi democratici come unico mezzo legittimo di cambiamento, a impedire
un’autentica trasformazione dei rapporti capitalistici.
Le proteste di Wall street sono appena un inizio, ma bisogna cominciare
così, con un gesto formale di rifiuto che è più importante del suo contenuto
propositivo, perché solo un gesto di questo tipo può aprire lo spazio a un
nuovo contenuto. Perciò non dovremmo farci distrarre dalla domanda su cosa
vogliamo. Questa è la domanda che l’autorità maschile rivolge alla donna
isterica: “Ti lamenti e piagnucoli: almeno sai cosa vuoi?”. In termini
psicoanalitici le proteste sono una crisi isterica che provoca il padrone,
minandone l’autorità. E la domanda del padrone, “Ma cosa vuoi?”, nasconde il
suo sottinteso: “Rispondi nei miei termini oppure stai zitto!”.
Finora i manifestanti sono riusciti a evitare di esporsi alla
critica fatta da Lacan agli studenti del 1968: “Come rivoluzionari siete degli
isterici che vogliono un nuovo padrone. Lo troverete”.
Traduzione di Gigi
Cavallo.
Internazionale, numero 922, 4 novembre 2011
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