domenica 13 dicembre 2015

La leopolda 6, ovvero l’età dell’homo insipiens.




Dissoluzione del linguaggio, inesistenza di concetti, l’aver scelto Twitter come social network,  dove bisogna dire tutto in 140 caratteri, ma ci si riesce anche con meno, testimonia l’intenzione di parlare con slogan pubblicitari rapidi e veloci, ma soprattutto vacui. Renzi e i suoi accoliti sono riusciti a sdoganare anche l’Horror vacui, la paura del vuoto, che con la Leopolda 6 diventa l’elogio dell’orpello, della bugia, della falsità, dell’idiozia, delle utili vergogne, insomma: tutto va bene per riempire il nulla. Vittorio Sgarbi , che trovo insopportabile, mi ha rubato una battuta che io avevo già fatto per la prima Leopolda, ma si sa,  lui è super mediatico io no: alla Leopolda 6 preferisco quel gran pezzo della Ubalda tutta nuda e tutta calda. Così  con questa Leopolda 6 che si espande con meno di 140 caratteri su Twitter si celebra l’elogio della povertà di pensiero e la sua morte definitiva: dall’homo sapiens  all’homo insipiens.  La sfida contro l’idiozia è perduta: super sintetici e efficienti, a morte i professoroni e gli intellettuali, mentre una stampa asservita e una televisione pure descrivono una realtà fiabesca dove trovano spazio Biancaneve/Boschi , molti nani, Belle addormentate/Madia ( ispirate), fatine buone e volenterose /Serracchiani, per le quali questa Leopolda 6 è un grande valore aggiunto alla storia di un PD che diventa il castello assediato e l’unica espressione della verità fiabesca che si racconta. Spariscono i poveri, i disoccupati, gli sfruttati da contratti capestro, i trombati dalle banche, tutto si diffonde con un twit, con un liveblog col video integrale della Serracchiani. Mi chiedo: Qual è il confine esatto tra la ragione e l'idiozia? E soprattutto, esiste più oggi un simile confine, una simile frontiera? Nel mondo renziano delle varie Leopolde   ovvero il mondo dell’homo insipiens tutto è permesso ed a tutti i livelli, basta solo scegliere tra le miriadi di possibilità preconfezionate a disposizione e questo è quello che viene comunemente fatto passare per libertà. Come in un grande centro commerciale la società insipiens promuove i propri dogmi ed i propri principi etici attraverso delle vere e proprie campagne promozionali fatte su Twitter (programmi scolastici e corsi universitari, eventi istituzionali, incentivi statali, giornate mondiali ecc.) affiancate da una massiccia promozione commerciale che invogli al consumo (media, televisione, riviste specialistiche, risultati di studi pseudoscientifici, esperti ecc.). E’ chiaro che in una società così impostata l’evoluzione naturale ha portato alla diffusione ed al proliferare di individui homo insipiens a discapito dell’ormai inadeguado homo sapiens!! Ovvero il gufo.


lunedì 23 novembre 2015

AMBIENTE E POLITICA MISURARE PER MIGLIORARE IDEE E PROGETTI PER VICO EQUENSE.



Ok mi va bene! Ma In premessa – come scelta filosofica  dico subito che contesto il concetto di SOSTENIBILITA’ che, mi sembra di capire, dagli interventi, dai relatori e dai riferimenti riportati, sottenda tutta questa iniziativa  . Il termine sostenibilità (o anche sviluppo sostenibile) è entrato nell'uso comune e viene impiegato a livelli molto diversi, dal locale al nazionale o globale, in modo piuttosto generico per intendere un progetto o un prodotto, una politica locale o una strategia nazionale più attenta all'ambiente. Il concetto di sostenibilità nasce nel contesto delle scienze forestali e naturali ed è abbastanza preciso: l'uso di una risorsa naturale è sostenibile quando il prelievo della risorsa non supera la capacità di rigenerazione della risorsa stessa. Il concetto di sostenibilità dovrebbe dunque essere strettamente legato al concetto di limite di uso della risorsa naturale. Questo concetto entra immediatamente in crisi, quando viene coniugato e fatto camminare in tandem col concetto di SVILUPPO: è mia opinione, che ogni ambientalista serio dovrebbe guardare con sospetto al binomio SVILUPPO SOSTENIBILE, perché il primo termine fa a cazzotti con l’idea di tutela e rispetto e rigenerazione della risorsa stessa; in altri termini, SVILUPPO è strettamente connesso alle logiche di sfruttamento capitalistico di ogni tipo di risorsa, sia naturale che umana ed esso è sempre strettamente legato all’idea di crescita economica, basterebbe questo per comprendere già come ambiente, qualità dell’ambiente, dell’aria, delle acque e dunque, qualità delle nostre vite, non possano progredire ( PROGRESSO termine che anch’esso entra in contraddizione con SVILUPPO), o non progrediscano necessariamente dove vi sia solamente crescita economica. E’ una premessa necessaria perché ormai in Italia,paese fanalino di coda rispetto ad alcuni paesi europei,  l’ambiente e le sue qualità, sono usati come fiore all’occhiello per qualsiasi iniziativa che abbia come obiettivo un’occupazione del potere politico e amministrativo da parte di chicchessia. Naturalmente mi posso sbagliare, ma relativamente a questa città, ovvero Vico Equense, in Costiera Sorrentina, in provincia di Napoli, la tutela ambientale non è mai esistita e sono stati costituiti ad hoc, moltissimi strumenti – soprattutto urbanistici- per renderla quanto più possibile inefficace. Questo discorso vale non solo per Vico Equense, mentre la tendenza nazionale fa registrare picchi altissimi di interventi normativi e legislativi volti allo scardinamento delle ancora pochissime leggi vigenti in materia di tutela del territorio. E’ di qualche giorno fa la denuncia fatta fa tutte le associazioni ambientaliste presenti in Costiera Sorrentina, VAS compresi, dello sfregio ormai irreparabile apportata in un’area che il PUT, Piano Urbanistico Territoriale, strumento che si sta demolendo da più parti, considerava soggetta a vincoli rigidissimi, sto parlando della strada della Minerva, che da Termini, frazione di Massalubrense, porta a Punta Campanella. In luogo della stradina sterrata e con muretti a secco, il comune di Massalubrense – con fondi europei e con un concetto di sviluppo sostenibile dei luoghi, per una fantomatica “messa in sicurezza” , ha costruito una vera e propria strada carrozzabile con impianto di illuminazione. Uno sfregio ad un luogo che doveva rimanere così com’era, nonostante non lo fosse già più per l’enorme abusivismo edilizio presente. Il WWF difendeva l’esistenze di molte specie vegetali che con questo intervento rischiano la sparizione, io come VAS ponevo il problema di come spessissimo vengono usati i fondi europei per stravolgere il genius loci di posti che se avessero avuto la fortuna di trovarsi in Germania o in Danimarca o in Olanda, non sarebbero stati neppure calpestati o, se lo fossero stati, lo si sarebbe potuto fare a giorni alterni o rispettando rigidissimi controlli. Allora capirete tutte le mie diffidenze, quando sento parlare di ambiente e politica per migliorare questa città. Un discorso serissimo dovrebbe immediatamente controllare, se non addirittura fermare  l’intervento umano che dovrebbe essere limitato entro le capacità di carico dei sistemi naturali conservandone la loro vitalità e la loro resilienza;un discorso del genere dovrebbe necessariamente a spezzare il connubio deleterio usato da molti tra tutela ambientale e turismo. La vergognosa aggressione e distruzione della piana di Seiano è sotto gli occhi di tutti, come sono sotto gli occhi di tutti o facilmente documentabili, uno stradone in cemento armato inutile per il progetto per cui era stato pensato e inutile ora, o le farneticanti proposte di ascensori doppi a Villetta Paradiso per accontentare proprietari facoltosi che hanno costruito abusi edilizi in uno spazio dove un tempo c’erano rigogliosi vigneti prospicienti ad una costa oggi anch’essa devastata da ogni sorta di abuso. Va bene il progresso tecnologico, ma esso dovrebbe essere utilizzato per la produzione di beni e servizi indirizzati all’incremento del verde esistente e alla sua ristrutturazione e/o incremento piuttosto che all’esclusivo incremento del flusso di danaro e di consumo del territorio come invece accade e sempre per interessi privatistici. I famigerati fondi europei potrebbero esser chiesti per progetti di riqualificazione ambientale autenticamente tali e non per operazioni speculative come sempre accade. E così pure al controllo dell’’emissione di scarti e rifiuti (solidi, liquidi e gassosi) dovuti al metabolismo dei sistemi sociali non ecceda la capacità di assimilazione dei sistemi naturali, come invece ormai è una triste routine delle nostre zone, asfissiate da un traffico urbano mal controllato e abusato, o da un mare distrutto dai molti scarichi abusivi che dai rivi e dagli alberghi vengono sversati in esso e dalla monnezza che spesso tracima dovunque gestita spessissimo da enti in odore di camorra.Un mio possibile progetto per Vico Equense, seguendo queste linee guida se fossi un amministratore di questa città, credo di averlo già scritto da qualche parte una volta. Allora:
Revocherei tutte le concessioni date sugli arenili e sulle zone una volta demaniali per un più ampio progetto di recupero e ristrutturazione delle coste, comprensivo di demolizioni di abusi e superfetazioni. Un progetto curato da professionalità specifiche atte al recupero dei litorali e del mare. Quello che si vede oggi a marina d’equa è semplicemente indecente.
Attiverei controlli per gli sversamenti di siero nei rivi  nella zona alta per tutte le attività casearie e attiverei controlli serissimi per ogni tipo di sversamento in mare.
Metterei in funzione i vari depuratori presenti sulla zona.
Abolirei totalmente il traffico automobilistico privato dal centro urbano e o ridurrei drasticamente con divieto di transito sulla Raffaele Bosco per la quale, invece di interventi clientelari a macchia di leopardo come sono stati fatti fino ad ora dall’ex sindaco Gennaro Cinque, oggi assessore ai lavori pubblici, sarebbe pensabile un progetto generale, nel quale, la mobilità pubblica su gomma dovrebbe essere predominante rispetto a quella privata.
Attiverei progetti di recupero agricolo e di ripiantumazione con finalità agricole per le colture locali, anche questi, finanziabili con fondi europei. Insomma riuscirei a cogliere un’autentica svolta di paradigma solo se sentissi attor sociali e politici fare proposte simili. Pretendo, per chi dice di occuparsi di ambiente un’analisi critica  dell’economia occidentale oggi fatalmente destinata al collasso, articolando un’inversione di paradigma culturale e di  prospettiva economica alternativa che, proprio per l’inversione di tendenza che propone la smetta di parlare sempre di sviluppo, crescita economica, prodotto interno lordo ecc. ecc. Ecco proponetemi questa ristrutturazione della società e della città  e un’adeguata ridistribuzione delle ricchezze territoriali  e delle possibilità di incremento delle risorse della natura e forse sarò convinto della bontà e dell’originalità di un progetto di qualità ambientale e della vita. Uno degli strumenti strategici su cui potrebbe vertere questa trasformazione è la rilocalizzazione delle attività produttive e questa potrebbe rendere possibile una “riterritorializzazione” dei luoghi e un più diretto contatto con i prodotti e i mercati vicini. Tutto il resto sono solo un trito e ritrito bla bla di politicume berlusconian/renziano al quale dico no grazie.
Franco Cuomo, VAS –Verde Ambiente e Società,
Circolo “Giovanni Esposito” Vico Equense

   

venerdì 20 novembre 2015

Una breve lettera a Cambiare Fa Bene, Organizzazione politica




Cambiare fa bene ? Si forse, dipende, cambiare cosa per cos'altro? Intanto bisognerebbe cambiare le forme del nostro linguaggio, bisognerebbe, per esempio, decidere di veicolare un’idea senza coniare uno slogan pubblicitario, perché così facendo si dimostrerebbe la volontà autentica che non si sta vendendo un prodotto, ma che invece si vuole veramente attivare un processo. Sono due cose ben diverse, ma oggi nessuno lo sa più. Oggi non lo fa più nessuno. Siamo abituati a partire da una frase che dovrebbe sembrare una frase ad effetto, poi si raccoglie un po’ di nomi intorno ad essa e il gioco è fatto. Ma questo, ed è una mia opinione, significa già partire con il piede sbagliato. Per carità, forse non è neanche sbagliato, ma sicuramente non è la forma migliore per affrontare le problematiche proposte poi nel cerchio nero che racchiude il disegno del manifesto, ovvero:qualità dell’aria, delle acque,rifiuti, mobilità, e vivibilità urbana. Queste problematiche non sono prodotti o generi sui quali attivare delle forme di marketing, ma reali processi socio economici sui quali e attraverso i quali si esercitano poteri e interessi che spesso cozzano tra loro. Un esempio? Un completo risanamento della qualità dell’aria nel centro urbano dovrebbe comportare scelte coraggiosissime nel vietare o spostare tutto il traffico automobilistico dal centro della città, incentivando tutta un’altra serie di soluzioni di mobilità urbana, ma come ci si colloca di fronte a opere nefaste e purtroppo realizzate come il mega tunnel e il proliferare di opere simili che ancora si propongono come soluzioni possibili? Chi si oppone e come  ai dictat di un ente come l’ANAS che fa ancora il bello e il cattivo tempo? Oppure la qualità delle acque, che, da noi dovrebbe significare principalmente, ma non esclusivamente, la depurazione del mare e poi, all’interno delle buone politiche di gestione e tutela ambientale, arrivano proposte di far conciliare le politiche dello sviluppo turistico e la salubrità dei nostri litorali devastati da un abusivismo selvaggio incontrollato? Senza parlare poi dell’abuso e della pratica di gestione dei rifiuti urbani, vero cancro di pericolose commistioni tra pubbliche amministrazioni e società in odore di gestione camorristica. Io non riesco più a credere alle frasi di effetto, mentre mi lasciano perplessi i progetti dei cosiddetti ecosistemi urbani basati su un termine che personalmente ritengo devastante per l’ambiente ovvero quello di: sostenibilità. Da qualche anno a questa parte, attraverso questa parola, si fanno passare le cose peggiori per l’ambiente e il territorio, specialmente nelle nostre zone. Dunque: cambiare fa bene, ma per cosa e come? E poi la forma per dirle le cose: usciamo dal marketing e entriamo tutti nella buona pratica delle riflessioni critiche, analizzando gli attori, ciò che propongono e come lo propongono, solo allora potrei pensare di farmi un’opinione seria su un argomento e solo allora potrei pensare di attivare autentici processi di cambiamento, specialmente se questi hanno l’ambiente e la sua salvaguardia come punto focale.
Franco Cuomo
Coordinatore del Circolo VAS Verde Ambiente e Società, “ Giovanni Esposito”

Vico Equense           

sabato 7 novembre 2015

Punta Campanella: ecco cosa resta dell'antico percorso che portava al tempio di Minerva


Oggi WWF , VAS, ITALIA NOSTRA , LEGA AMBIENTE, Centro Studi MARYON CRAWFORD, insieme a Luigi Gallo del M5Stelle ci siamo recati a via Punta Campanella.Era presente la dr.ssa Tommasina Budetta della Soprintendenza ai beni archeologici , un assessore e la stampa: Corriere del mezzogiorno, Il Mattino, Il fatto Quotidiano, Positano News. Io sono arrivato a metà percorso,per un dolore al ginocchio, ma quello che ho visto mi è bastato: al posto di un sentiero c'è una strada, l'assessore motiva con la solita canzoncina della messa in sicurezza dei luoghi e con il garantismo che i disabili debbano poter raggiungere ogni luogo. In più, la ditta dovrebbe terminare i lavori entro il 31 dicembre pena la perdita dei finanziamenti europei. Grande attivismo dunque di ruspe e di gettate di cemento. Ora, con il massimo rispetto per i disabili e per le orchidee rare, mi chiedo: ma questa non era una zona con vincoli ambientali rigidissimi? Il PUT non prevedeva in essa alcun intervento come è stato possibile eseguire questi sconci? E l'altra Soprintendenza, quella per i beni ambientali e architettonici? Dov'era? Questa discesa mi è sembrata inutile ormai, tranne che a far conoscere al resto del mondo lo scempio avvenuto. i VAS denunciano l'uso improprio del consumo di paesaggio e chiede maggiori controlli sui progetti con fondi europei che spesso sono vere e proprie macchine di distruzione ambientali. Un particolare: la ditta che esegue i lavori è la ditta PASSARELLI.

venerdì 6 novembre 2015

Punta Campanella una strada carrozzabile al posto del vecchio sentiero


Domani pomeriggio, VAS,WWF, LegaAmbiente, Italia Nostra, Centro Studi e Ricerche Marion Crawford, insieme a rappresentanti del Movimento 5 Stelle si incontreranno sul cantiere di un progetto delirante: una strada carrozzabile che arriva fino a Punta Campanella. Là dove, esiste una mulattiera, un tracciato romano antico che arriva fino all'area archeologica con i fondi europei è stato versato una base di cemento coperta con lastroni di pietra e innalzato un muro di contenimento con lo stesso procedimento in sostituzione del muretto a secco ricco di vegetazione rara, l’operazione si sta eseguendo per consentire ai disabili la fruizione del sito .I VAS pensano che progetti simili insistano tutti su un'idea falsa e pericolosa del consumo di paesaggio e mettano seriamente in pericolo l'identità dei luoghi e il sistema floro/faunistico del sito. Qualcuno dovrebbe argomentare su cosa significa abuso del paesaggio o anche abuso delle aree archeologiche, un garantismo peloso che nascondendosi dietro la fruibiltà per i disabili, fa passare vere e proprie devastazioni e brutture su aree protette. E' già successo sopra Monte Comune a Vico Equense, orribilmente devastato e snaturato, è già successo a via Antignano sempre in zona alta di Vico Equense. Per questo progetto i VAS mettono sotto accusa i Fondi Europei che quasi sempre vengono calati a pioggia, senza controllo alcuno, su progettualità spesso discutibili, un vero e proprio alibi per operazioni che sicuramente non sarebbero consentite in altri paesi dell'Unione, penso alla Germania o all'Olanda dove la tutela e la conservazione delle aree ambientali protette è rigorosissima.

venerdì 16 ottobre 2015

Caro Eduardo, l'Italia non è un paese per gay e il tuo cattolicesimo non aiuta a cambiarlo.


Caro Eduardo,
Ti ho letto tutto, come sempre. Ti ho letto attentamente, anche se, scusami, certi voli da catechesi non ce l’ho fatta e li ho saltati. Mi sono chiesto, mentre leggevo, se prima di fare il magistrato tu non volessi farti prete. Saresti stato perfetto, anche dopo che ti ho visto in TV: mite, pacato, elegante. Sei un uomo di destra Eduardo e non lo hai mai nascosto, sei un uomo di destra vecchia maniera, bon ton, colto, non come quei pupazzoli  ignoranti che circolano per il parlamento italiano e fanno “politica”o sono in circolazione ormai dovunque. Anche la tua concezione della sessualità è di destra, fortemente conservatrice e fortemente ideologizzata. Non credo possa esistere, e te lo dico subito, un amore omosessuale come quella di cui tu parli,una idealizzazione estrema dell’amore, e, se esiste, perdonami Eduardo, non è vera! E’ un artificio, come è un artificio quello degli eterosessuali che pensano le cose come le pensi tu, sto parlando naturalmente di tutti i cattolici. Naturalmente ti trovi come interlocutore un omosessuale libertino, nel senso più illuministico del termine, cresciuto in altri ambiti culturali e, gli omosessuali libertini come me, non sono un luogo comune, ma una realtà, come lo sono quelli che scimmiottano le donne ecc. ecc. non mi dilungo perché queste cose le sai : naturalmente,da omosessuale libertino, ho avuto anche storie d’amore lunghissime e importanti nella mia vita, anche se una sola, per la verità,rimane ancora tale. Una storia che oggi, nonostante siano passati 20 e più anni dura ancora anche se molto profondamente trasformata e, quando iniziò, non c’era nessuna “signora” che la benedì. Iniziò e basta: c’è stata passione intensa, poi , amore profondo e incondizionato,fiducia reciproca, affetto delicato, tradimenti colpevoli, abitudine affettiva, poi è finita dopo 14 anni. Poi dopo un silenzio durato 4 anni ci siamo rincontrati: altre vite, altri affetti. Ancora oggi  rimane tra noi un legame profondo e immenso di amicizia. Non abbiamo mai desiderato sposarci, non abbiamo mai voluto o desiderato avere un figlio, né una famiglia tradizionale, soprattutto nessuno ha mai posto la questione dell’amore omosessuale, del sentimento profondo d’amore, nei termini in cui lo hai posto tu. Capisco i tuoi riferimenti colti a San Tommaso, capisco questo anelito di sublime elevazione spirituale, quasi una “ ragion pratica mistica” che permea di sé il tuo assoluto amore o amore assoluto. Questo amore di cui parli mi sembra un “imperativo categorico”, un’estensione del “divino amore” che tutto avvolge ( dovrebbe avvolgere ma non lo fa), ma in cuor tuo, mi domando: sei veramente convinto di ciò? Anzi, ti pongo meglio la domanda . Sei sicuro che tu non voglia forzare e rafforzarti in tutto ciò, perché sai che non è così? Che è tutto più semplice, più istintivo, più naturale, anche se tutto fortemente avversato e condannato . In fondo stiamo parlando anche di sessualità  Io posso capire tutta questa costruzione fatta di pinnacoli colti, di elaborazione raffinata del senso del sacro, ma non la condivido. Non ne condivido neanche una sola virgola, perché in essa vedo riaffiorare oscuro come una minaccia, il senso di colpa al quale ci ha costretto e ancora ci costringe la Chiesa cattolica e le sue gerarchie e vedo la minaccia di esclusione di tutti quelli che, pur essendo omosessuali, vivono l’amore con minori ansie di legittimazione.
Fatte queste premesse – io vorrei  però evidenziare e denunciare anche una sorta di appiattimento  della cultura gay su questa problematica,- quella del PACS e/o del MATRIMONIO come se tutte le persone omosessuali  consapevoli, non aspettassero altro che di sposarsi o di adottare un bambino. Questo non è assolutamente vero, come non è vero che questi argomenti siano stati ben recepiti anche all’interno del movimento. Ci sono molte cose ancora che restano scoperte: il coming out è difficile, il rispetto di sé è un percorso fatto di consapevolezza maturata in contesti di civiltà che mancano in Italia. Ti ho già scritto che se parlo col mio amico che vive da 20 anni in Olanda di queste cose, mi guarda con uno sguardo stranito, come se stessi farneticando. Io che vengo da una storia diversa, che molte giovani persone omosessuali oggi neanche conoscono, ho nostalgia per una certa critica alla cultura che si faceva all’inizio degli anni settanta all’interno del movimento e che  serviva proprio a rafforzare l’identità omosessuale, questa oggi, seriamente minacciata soprattutto tra le giovanissime generazioni . Non sento il bisogno di un riconoscimento ecclesiale e fossi in te, neanche lo cercherei, perché tu sai meglio di me che questa Chiesa, anche quella di Papa Francesco per sua intima architettura, non potrà mai riconoscere l’omosessualità o di più ancora l’amore omosessuale, pena la sua deflagrazione e implosione. Ciò di cui sento forte il bisogno oggi è di innalzamento culturale della popolazione e dei giovanissimi sul problema dei diritti e del rispetto di ogni differenza o diversità. Ciò di cui sento il bisogno è di normative che ci elevino allo stesso stato dei paesi europei, dove leggi specifiche riconoscono dignità e diritti alle coppie omosessuali in Francia, Germania, Olanda, Belgio, Portogallo Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia, Islanda, Lussemburgo, Irlanda e nelle regioni spagnole di Catalogna, Aragona, Navarra. La Gran Bretagna, la Svizzera e la Croazia stanno per approvare leggi analoghe su proposta dei rispettivi governi, se non lo hanno già fatto! Di questo avverto la necessità e l’urgenza, anche se, come ti ho detto, da libertino quale sono, non mi sposerei mai. Poi, bisognerebbe fare tutta una serie di  riflessioni sulla cultura di ogni singolo omosessuale, perché l’omosessuale non è una specie, nel senso che gli omosessuali non sono tutti uguali tra loro, come molti eterosessuali  pregiudizialmente  pensano. Ma ci sono differenze di carattere,  di classe, di status, di comportamento, per cui certi modelli omosessuali appartengono ad una certa estrazione culturale, certi altri no, e questi determinano a loro volta stili di vita e atteggiamenti affatto biologici.  In ultima analisi, non esiste una natura omosessuale, come non esiste un amore omosessuale,  bensì diverse culture omosessuali  e diversi modi di vivere l’amore omosessuale, e tutti hanno o dovrebbero avere  uguale dignità questa è una cosa da non dimenticare mai, ma che oggi anche all’interno del movimento non è più ricordata da nessuno. Essere omosessuali non deve significare esclusione e emarginazione, ma nemmeno avere una medaglia:significa essere una persona come tutte le altre, così è nei posti che non sono l’Italia di oggi.  I pregiudizi di cui ho parlato sono purtroppo ancora molto radicati, anche in persone di cultura medio-alta e non è raro sentire anche persone accreditate culturalmente aprire una conversazione con la frase: voi omosessuali , come se fossimo  una razza a parte. Questo appunto la dice lunga su quanto l’affermazione dei propri diritti, non risolva, se non in minima parte, il problema della necessità di una cultura delle relazioni tra gay, cioè tra di noi, una cultura dell’identità omosessuale oggi difficilmente reperibile. Oggi tende a prevalere l’immagine del gay  tutto amore familiare e buonismo d’accatto. Un’immagine veicolata da un certo centro sinistra, ma anche l’operazione culturale che fai tu, come ho già detto di destra,  formalizza  un insopportabile cliché che mal si adatta alle persone omosessuali. Al momento, da questo punto di vista,  il panorama è abbastanza sconfortante: a noi gay certamente sono riconosciuti molti più spazi e molti più diritti di un tempo nelle società del capitalismo globalizzato, ma questa è a mio avviso una situazione apparentemente rassicurante e anche  effimera, nel senso che è legata alle opportunità e alle sensibilità politiche dei governanti, e delle culture. Poco si è fatto e si fa, per la sistemazione e la fortificazione (perdonami i termini ) di una identità gay e di un  sistema culturale di valori, che possa essere condiviso da tutti noi . Intanto queste “libertà” potrebbero essere perdute in un momento , ma peggio, i comportamenti delle persone omosessuali potrebbero essere lasciati ancora per molto tempo solo nell’ambito del sessuale o traslati solo nell’ambito del “sublime sentimentale”, rafforzando il pregiudizio che dall’origine della società borghese pesa sugli omosessuali anche nella stessa definizione: in più, la scarsa formazione culturale delle giovani generazioni, rafforza comportamenti improntati ad un consumismo sessuale nevrotico svincolato da qualsiasi affettività, contribuendo ancora una volta a determinare colpevolizzazioni e insicurezze. Ad un uso dei piaceri  dovremmo - parafrasando Foucault - affiancare anche  una” cura di sé” . Ovvero una costruzione profonda di un codice, che includa sentimenti e affetti, cultura dei valori etici da coltivare all’interno delle nostre comunità e cultura della persona che bilanci una volta per tutte gli effetti del desiderio falsamente liberatorio in cui spesso si resta costretti. Bisognerebbe, in ultima analisi, impegnarsi nella seria costruzione di una scandalosa educazione sentimentale gay e vivere finalmente, dimenticandosi di essere tali, e avvertendosi solo come una persona qualsiasi, invece tu mi scrivi un libro per ricordarmi che c’è un amore omosessuale che confina addirittura con Dio. No caro Eduardo, non ce la faccio! Così è tutto troppo macchinoso e pesante, mentre invece potrebbe essere tutto più lieve e defilato, un low profile insomma più minimale e più silenzioso, come dovrebbe esserlo quello di tutte le persone, siano  etero che omo , nel rispetto della dignità umana e dei propri diritti .
                                                                                                        Ti abbraccio
                                                                                                     Franco Cuomo



martedì 6 ottobre 2015

Diciamocelo in tutta verità: la sinistra non esiste più


Ho chiosato un articolo di Franco Berardi, il mitico BiFo di radio Alice e lo condivido in pieno Eccolo:
Possiamo ben dire che gli organismi della sini­stra non esistono più, ma che, nessuno, com­pren­si­bil­mente vuole ammetterlo e nem­meno sen­tir­selo dire. Se penso che cosa è la sinistra del Partito Democratico che di fatto è un partito di destra, e se penso ai suoi rappresentanti: Pippo Civati, Stefano Fassina, Gianni Cuperlo e poi Vendola, Bersani ecc.ecc. possiamo senza ombra di dubbio dire che la sinistra è morta e che, cosa ancora più veritiera, non se ne sente più il bisogno. Ma, questa è una affermazione ormai scontata e se invece si affrontasse la que­stione da un punto di vista un po’ meno pre­ve­di­bile? Se tutti, consapevolmente e senza nostalgie cominciassimo a dirci che  a sinistra non c’è più nulla. Se si eccettuano gruppuscoli eroici ma sten­tati di un vasto numero di asso­cia­zioni e orga­ni­smi di base che cer­cano di garan­tire la tenuta di alcuni livelli molto ma molto minimi di solidarietà, mi riferisco ai molteplici centri sociali, o a piccolissime testimonianze comuniste: il partito comunista d’Italia, o altre esperienze simili, in Italia non c’è più nulla: la verità, che lo si voglia o no è questa; non c’è più vita, e se mai c’è qualcosa, questa è mera soprav­vi­venza di esperienze che non riescono più teoricamente e fattivamente a fare i conti con la realtà di una società in cui la tecnologia è diventata l’elemento agglutinante e dominante di tutto il sociale. La sinistra, così come si presenta non partorirà più nessuna novità, se riuscissimo tutti a dirci questa verità, forse potremmo cominciare ad elaborare una nuova visione o nuovi scenari per rappresentarci livelli più congrui di dignità umana in un futuro prossimo. Ieri sera, in TV la Moretti era assolutamente devastante (linguisticamente), devastata (concettualmente), e indecente  (politicamente), così come lo era, lo è, Lilli Gruber: sfiderei qualsiasi donna comunista o banalmente di sinistra a tentare di identificarsi in questi due modelli, penso a Nilde Iotti naturalmente o Miriam Mafai o Margherita Hack o Franca Rame. Dunque, la prima cosa da fare è: non parlare più di sinistra. Una certa sinistra forse esiste ancora, per raggiunger percentuali bassissime elettorali forse solo perché esistono ancora ultra sessantenni, ma, una volta estinti questi ultimi il libro potrà dirsi chiuso. Come pure la democrazia come governo di rappresentanze elette dal popolo, non esiste più, sostituita com’è da gruppi oligarchici che si autonomino. “ Ma se sini­stra vuol dire una forza capace di imma­gi­nare una svolta nella sto­ria sociale eco­no­mica e poli­tica del mondo, una forza capace di attrarre le ener­gie della gene­ra­zione pre­ca­ria e con­net­tiva, se sini­stra vuol dire una forza capace di rove­sciare il rap­porto di forze che il capi­ta­li­smo glo­ba­liz­zato ha impo­sto all’umanità — allora è meglio non rac­con­tarci bugie pie­tose. Non c’è e non ci sarà nel tempo prevedibile.” Per­ché si dovrebbe pensare che la democrazia abbia ancora una sua verità politica dopo i fatti  di Grecia e l’esperienza di Syriza? Ma non occor­reva l’esperienza greca, per sapere che la demo­cra­zia non è più una strada per­cor­ri­bile. Basta ricor­darsi del refe­ren­dum ita­lico con­tro la pri­va­tiz­za­zione dell’acqua, i suoi risul­tati trion­fali, e i suoi effetti pra­ti­ca­mente nulli sulla realtà eco­no­mica e politica.
E allora, se la demo­cra­zia non è una strada per­cor­ri­bile, ce ne viene in mente un’altra? A me no. A me viene in mente che tal­volta nella vita (e nella sto­ria) è oppor­tuno par­tire da un’ammissione di impo­tenza. Non posso, non pos­siamo farci niente.
Cioè, fermi un attimo. Due cose dob­biamo farle, e se volete chia­marle sini­stra allora sì, ci vuole la sinistra.
La prima cosa da fare è capire, e quindi prevedere.
Pos­siamo pre­ve­dere che nei pros­simi anni l’Unione euro­pea, ormai entrata in una situa­zione di scol­la­mento poli­tico, di odii incro­ciati, di pre­da­zione colo­niale, finirà nel peg­giore dei modi: a destra. Pos­siamo dirlo una buona volta che la sola forza capace di abbat­tere la dit­ta­tura finan­zia­ria euro­pea è la destra?
Dovremmo dirlo, per­ché que­sto è quello che sta già acca­dendo, e le con­se­guenze saranno vio­lente, san­gui­nose, cata­stro­fi­che dal punto di vista sociale e dal punto di vista umano. Dob­biamo allora smet­tere i gio­chi già gio­cati cento volte per met­terci in ascolto dell’onda che arriva.
Pos­siamo pre­ve­dere che nei pros­simi anni gli effetti del col­lasso finan­zia­rio del 2008 mol­ti­pli­cati per gli effetti del col­lasso cinese di que­sti mesi pro­durrà una reces­sione glo­bale. Pos­siamo pre­ve­dere che la cre­scita non tor­nerà per­ché non è più pos­si­bile, non è più neces­sa­ria, non è più com­pa­ti­bile con la soprav­vi­venza del pia­neta, e ogni ten­ta­tivo di rilan­ciare la cre­scita coin­cide con deva­sta­zione ambien­tale e sociale.
La decre­scita non è una stra­te­gia, un pro­getto: essa è ormai nei fatti, nelle cifre e negli umori. E si tra­duce in un’aggressione siste­ma­tica con­tro il sala­rio, e con­tro le con­di­zioni di vita delle popo­la­zioni. E si tra­duce in una guerra civile pla­ne­ta­ria che solo Fran­ce­sco I ha avuto il corag­gio di chia­mare col suo nome: guerra mondiale.
La seconda cosa da fare è: imma­gi­nare.
Imma­gi­nare una via d’uscita dall’inferno par­tendo dal punto cen­trale su cui l’inferno pog­gia: la super­sti­zione che si chiama cre­scita, la super­sti­zione che si chiama lavoro sala­riato. Le poli­ti­che dei governi di tutta la terra con­ver­gono su un punto: pre­di­cano la cre­scita in un momento sto­rico in cui non è più né auspi­ca­bile né pos­si­bile, e soprat­tutto è ine­si­stente per la sem­plice ragione che non abbiamo biso­gno di pro­durre una massa più vasta di merci, ma abbiamo biso­gno di redi­stri­buire la ric­chezza esistente.
Le poli­ti­che dei governi di tutta la terra con­ver­gono su un secondo punto: lavo­rare di più, aumen­tare l’occupazione e con­tem­po­ra­nea­mente aumen­tare la pro­dut­ti­vità. Non c’è nes­suna pos­si­bi­lità che que­ste poli­ti­che abbiano suc­cesso. Al con­tra­rio la disoc­cu­pa­zione è desti­nata ad aumen­tare, poi­ché la tec­no­lo­gia sta pro­du­cendo in maniera mas­sic­cia la prima gene­ra­zione di automi intel­li­genti. Da cinquant’anni la sini­stra ha scelto di difen­dere l’occupazione, il posto di lavoro e la com­po­si­zione esi­stente del lavoro. Era la strada sba­gliata già negli anni ’70, diventò una strada cata­stro­fica negli anni ’80. Era una strada che ha por­tato i lavo­ra­tori alla scon­fitta, alla soli­tu­dine, alla guerra di tutti con­tro tutti.
Per­ché dovremmo difen­dere la sini­stra visto che è stata pro­prio la sini­stra a por­tare i lavo­ra­tori nel vicolo cieco in cui si tro­vano oggi?
Di lavoro, sem­pli­ce­mente, ce n’è sem­pre meno biso­gno, e qual­cuno deve comin­ciare a ragio­nare in ter­mini di ridu­zione dra­stica e gene­ra­liz­zata del tempo di lavoro. Qual­cuno deve riven­di­care la pos­si­bi­lità di libe­rare una fra­zione sem­pre più ampia del tempo sociale per desti­narlo alla cura l’educazione e alla gioia.
So bene che non si tratta di un pro­getto per domani o per dopo­do­mani. Negli ultimi quarant’anni la sini­stra ha con­si­de­rato la tec­no­lo­gia come un nemico da cui pro­teg­gersi, si tratta invece di riven­di­care la potenza della tec­no­lo­gia come fat­tore di libe­ra­zione, e si tratta di tra­sfor­mare le aspet­ta­tive sociali, libe­rando la cul­tura sociale dalle super­sti­zioni che la sini­stra ha con­tri­buito a formare.
Quanto tempo ci occorre? Baste­ranno dieci anni? Forse. E intanto? Intanto stiamo a guar­dare, visto che nulla pos­siamo fare. Guar­dare cosa? La cata­strofe che è ormai in corso e che nes­suno può fer­mare. Stiamo a guar­dare il pro­cesso di finale disgre­ga­zione dell’Unione euro­pea, la vit­to­ria delle destre in molti paesi euro­pei, il peg­gio­ra­mento delle con­di­zioni di vita della società. Sono pro­cessi scritti nella mate­riale com­po­si­zione del pre­sente, e nel rap­porto di forza tra le classi.
Ma natu­ral­mente non si può stare a guar­dare, per­ché si tratta anche di sopravvivere.
Ecco un pro­getto straor­di­na­ria­mente impor­tante: soprav­vi­vere col­let­ti­va­mente, sobria­mente, ai mar­gini, in attesa.Praticando filosofie che rifiutano l’esistente, che rifiutano le bugie dei media, che praticano una sobrietà intellettuale e ricercata. Riflet­tendo, imma­gi­nando, e dif­fon­dendo la coscienza di una pos­si­bi­lità che è iscritta nel sapere col­let­tivo, e per il momento non si can­cella: la pos­si­bi­lità di fare del sapere la leva per libe­rarci dallo sfruttamento.
Atten­dere il mat­tino come una talpa, fingendosi morti come fanno molti animali quando avvertono il pericolo estremo.