domenica 17 dicembre 2017

LETTERINA FILOSOFICA DOMENICALE: E' il pensiero che compie, non il fare.


"Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo domi­nio della tecnica. Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è affatto preparato a questo radicale mu­tamento del mondo.  Di gran lunga più inquietante è che non sia­mo ancora capaci di raggiungere, attraver­so un pensiero meditante, un confronto ade­guato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca”,
 
M. HEIDEGGER, L’abbandono (1959), p. 36


Noi non pensiamo  ancora in modo abbastanza decisivo, anzi forse ormai non pensiamo proprio più a ciò che dovrebbe essere l’essenza, il nucleo costitutivo dell’agire o più semplicemente del fare. Ho sentito spesso un imprenditore sostenere che l’importante è fare, non perdiamo tempo a pensare, sono frasi che la televisione, ma anche i social media propagandano massivamente ogni giorno . Ecco: questa è la deriva contemporanea di ciò che già – Heidegger definiva l’essenza dell’agire. Oggi si ritiene che il fare sia solo il produrre degli effetti, i più immediati possibili, la cui realtà viene valutata in base alla loro utilità. Possiamo dire purtroppo, che tutto oggi, dall’economico al politico,  si muove in questa direzione, ma non è così, la verità è, o meglio dovrebbe essere un’altra. Questo è uno scacco troppo forte al pensiero speculativo al pensiero che dovrebbe determinare le azioni e il fare stesso. L’essenza del fare, dell’agire, come già sapevano i Greci, non è ne gli effetti prodotti, ma si manifesta nel “portare a compimento”, ovvero, sviluppare qualcosa nella pienezza della sua essenza. Allora, accompagnare in questo percorso – la pienezza del pensare, significa producere: produrre, ovvero generare, creare dal latino producere, gignere, ferre o dal greco γεννᾶν, φύειν. Allora a questi imprenditori “innovativi”, a questi sedicenti “uomini del fare” , bisognerebbe ricordare che l’agire per l’agire è l’anticamera  di un devastante deserto di miseria pratica, di azioni svuotate di senso, una corsa verso il nulla nella quale, si manifestano solo danni, economici, politici, ambientali, poiché esso è dissociato dalla sua essenza. E’ sempre  il pensiero che “compie” e mai il fare. Ogni nostro operare si dovrebbe poggiare sul pensiero e dunque sul linguaggio che è la sua “casa”. Non è che il pensiero si fa azione solo perché da esso scaturiscono effetti o perché diventa pensiero applicato a qualcosa. No, il pensiero e il pensare agiscono già in quanto tali e lo fanno nel linguaggio. Se ne deduce che se il linguaggio è debole o  povero o trascurato, avremo un producere, un agire, debole, povero o trascurato. Tutto oggi si muove nella direzione di negare il linguaggio e dunque di negare il pensiero a favore di un agire e di un fare fini a se stessi. Ridurre linguaggio e pensiero ai minimi termini è oggi l’imperativo categorico che gli apparati tecnologici e mediatici impongono a tutti. Comprendere e smascherare questo processo è il compito di chi lavora con i bambini e i giovani, se si abdica a questo compito, come ormai accade da più parti significa consegnare il mondo futuro all’assenza definitiva e inesorabile dell’umano.   

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