Non riuscirò mai ad amare Paolo
Sorrentino, per l’eccesso di retorica e di sentimentalismo che profonde nei
suoi film. YOUTH è un film esteticamente perfetto ma dal quale trasuda un
improbabile quanto poco convincente rimpianto
macho-geriatrico per il tempo perduto. L’ho guardato alle 22, 15, da solo, in
una sala poco affollata, stranamente e prevalentemente da giovani della serie:
impegnati/buona borghesia cittadina/alternativi. A film finito, facendo finta
di andar via lentamente rubavo le loro impressioni: estraneità, indifferenza, “poca
comprensibilità del messaggio”, uno ha osato accennare un “troppo criptico”. La
verità è che Paolo Sorrentino – come già ebbi modo di scrivere per La grande
bellezza, non può pensare di raccontare quella che vorrebbe che fosse la sua
vecchiaia, sostenendo l’inganno che tutti i vecchi siano così o possano esserlo.
In più, bisognerebbe pure smetterla di perpetrare l’ideologia consolatoria che
a 80 e passa anni si debba pensare al futuro o si guardi ancora al futuro,
perché questa è una baggianata delle nostre stupide società edonistiche che
esorcizzano e allontanano l’idea della fine, del compimento del ciclo della
vita e dunque della morte. Nascondere vecchiaia e morte, che poi sono la vita,
dietro la rincorsa di una giovinezza nostalgicamente mitizzata è tipico del capitalismo tardo che ci vuole tutti attivi consumatori. La vecchiaia invece è proprio la fine di tutto questo, una liberazione,e quano è vissuta in salute è solo questo e niente altro. I giovani pensano al futuro perché hanno più tempo davanti
a loro e i vecchi al passato perché hanno tanto tempo dietro di loro. Se Sorrentino – come dichiara in un'intervista- pensa che : “Il
passaggio del tempo credo sia l’unico soggetto possibile e che realmente mi
interessa, almeno per quanto mi riguarda. Il fatto di sembrare vecchio per fare
un film sui vecchi mi permetterà in futuro di fare un film da giovane. Penso al
futuro come grande occasione di libertà, in senso concettuale: senza il
pensiero del futuro non abbiamo rispetto per il nostro passato”, se è così,
allora tratti la vecchiaia per quello che essa realmente è. Vivo giornalmente
con mia madre che ha 90 anni che non è un’intellettuale, ma pensate che se
forse lo fosse, mia madre o un altro novantenne potrebbe mai avere il senso del
futuro o semplicemente pensare al domani? Il film procede lentamente tra
citazioni a Novalis, Strawinsky, e aforismi
del tipo “ alla mia età tenersi in forma è una perdita di tempo” detta da Fred
Ballinger un magnifico e insuperabile Michael Caine o “ tu hai detto che le emozioni sono
sopravvalutate, ma hai detto una stronzata, le emozioni sono tutto quello che
abbiamo”, proferita da , Mick Boyle un altrettanto bravo ma più asciutto Harvey
Keitel, indugiando su splendide immagini troppo compiaciute: il vero limite di
tutto il film che ne fa quasi un estenuante video clip . In questo modo la trama si diluisce fino quasi a disperdersi,
e così il racconto diventa solo immagini: il monaco tibetano che levita, il finto
Hitler, la moglie anziana con l’alzheimer che fissa il vuoto dalla finestra, il
corpo nudo di una donna immerso nell’acqua, tra penombra e una musica molto
ambient e poi i «fellinismi» trionfanti soprattutto alla
fine, con l’incontro onirico tra il regista e i suoi personaggi in cerca
d’autore, in se stesso non un male, per un cinema che vuole essere colto come
il suo, ma che alla fine consegna tutta l’opera ad un freddo manierismo. Ed è proprio questa sequenza di immagini che, alla fine, mostra la vera debolezza del film o se
volete del racconto e che - mio parere - connota Sorrentino per quello che strutturalmente è:
un quarantenne cresciuto con una cultura coltissima senza alcun dubbio, ma nella quale prevalgono principalmente le immagini. Ed è la
sequenza di immagini che diventa un affastellamento di autoreferenzialità – di
cui Sorrentino è maestro – che le fa
apparire oltremodo estreme o distraesti agli occhi dello spettatore, così, queste ultime rischiano, a causa della loro
compressione nello spazio temporale del film, di smarrire il filo che le lega.
Di tutto il film ho goduto moltissimo solo della colonna sonora che dava una
suggestione emozionante e intensa ai fotogrammi, il pezzo "Ceiling
Gazing" di Mark Kozelek & Jimmy
Lavalle è un capolavoro di malinconia e delicatezza che quasi commuove mentre
sullo schermo scorrono le figure di vecchi silenziosi e soli immersi nell’acqua
come feti per una impossibile rinascita, o “ Just” che ricorda i cori di La
grande bellezza, o la bellissima You’ve got the love. Non è assolutamente un film brutto, ma
non è neanche bello nel senso di un capolavoro. Certamente è più curato di La
grande bellezza, con cui non si può non fare il confronto.
Quando ho scritto questo post non
sapevo della scelta della giuria di Cannes che ha escluso dalla Palma d'oro i
tre film italiani, preferendo Jacques Audiard per Dheepan che racconta la racconta la drammatica vicenda di tre
migranti dallo Sri Lanka, forse questo dovrebbe far riflettere un po' tutta la cultura italiana ripiegata su intimismi e sentimentalismi.
Il Manierismo è parte della nostra Kultura, così come l'autereferenzialità ed il volgere lo sguardo avanti per "recuperare" il passato. Se Sorrentino ha un "punto debole", è proprio nell'esserne specchio, da quella caciarona della Grande Bellezza, a quella della Forma e dell'Immagine come archetipi a cui far riferimento per creare e consolidare un ruolo sociale (che sia un politico, un direttore d'orchestra, un giornalista o un regista). Sicuramente nn c'è la magia della metafora in tutto questo, ma forse, proprio in tal senso, il film è più "comprensibile" di tanti altri in cui, a volte, si strizza troppo l'occhio ad una visione fantastica e surreale del vissuto quotidiano, fino a farne perdere i connotati reali. La vecchiaia può essere dominata dall'apatia o da un inconfessato senso di onnipotenza, così come spesso è un dolore ingestibile a determinare la voglia di nn-vivere. E' così che si può arrivare a dimenticare una moglie malata, come un'onta nel proprio egoistico percorso di successo, o sentirsi dei falliti frustrati se nn si riesce a lasciare una traccia indelebile di sè nel proprio lavoro. Sorrentino è un esteta che appartiene al nostro tempo, anche se la sua "arte" è imparagonabile a quella di Garrone, interprete sapiente, anche se molto più furbescamente, delle sensibilità dello spettatore, per altro abbastanza noiosamente nella sua ultima opera, ma ben veicolata a livello di aspettative "oniriche" dai Media. Fra i due film preferisco indubbiamente Youth, per la sua onestà, anche se nn è un capolavoro, ma più godibile, anche nelle musiche, oltre che nelle recitazioni e per l'ottima fotografia di Bigazzi.
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