domenica 29 giugno 2014

Vent'anni senza Lucio Amelio: il 2 luglio del 1994 moriva l'unico uomo che ha veramente amato l'arte contemporanea. Dopo la sua morte i galleristi più seri sono scappati da Napoli


In entrambi questi miei due romanzi Lucio Amelio è presente e, con lui un'epoca d'oro per l'arte a Napoli, che oggi non esiste più. Io l'ho conosciuto, era sempre disponibile al dialogo e alla conversazione colta ed elegante al motto di spirito leggero e garbato,  quando avevo la fortuna di trovarlo nella sua galleria a Piazza dei Martiri. Io poco più che ventenne. Mi invitava sempre a tutti i suoi vernissage non ancora opening, mi invitò anche al City hall Cafè quando arrivo Warhol. Oggi, a vent’anni dalla sua morte mi va di ricordarlo così a testimonianza di quanto un uomo come lui poteva dare ad un allora giovane me.
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" Dimenticavo di dirvi chi sono: mi chiamo NoonJohn. NoonJohn Goldin, ho 56 anni e come vi ho appena detto, sono americano. Sono arrivato a Napoli due anni fa perché mi ero stancato di stare a New York, perché la mia vita andava a rotoli dopo la scomparsa di Richie, perché era meglio che cambiassi aria e cercavo un’Europa non troppo europea. Nella galleria di Tony Shafrazy incontrai Lucio Amelio che mi invitò per un soggiorno estivo a Capri rimasi due settimane con lui e ripartii con la convinzione che mi sarei stabilito a Napoli, ma quando decisi di stabilirmi a Napoli lui era già morto da un anno. […]Una volta Lucio Amelio mi disse che l’arte a Napoli per poter esistere davvero aveva bisogno dell’onestà di chi la faceva e di niente altro, un valore difficilmente rintracciabile nella sua città. Stavamo sul balcone di casa sua con il golfo davanti a noi, e la città pigramente distesa sul mare. Era orgoglioso della sua città- benché ne conoscesse i lati peggiori- e lui me la faceva conoscere con la gioia e l’entusiasmo di un bambino - era la prima volta che venivo in vacanza a Napoli, era il 1980- avevo ventinove anni e Napoli era immersa in una energia pulsante di frenetica arte, io avevo tenuto il mio primo slideshow al CBGB di New York dove lui venne, fu lì che diventammo amici poi ci rincontrammo da Tony Shafrazy. Ospitava Warhol e Beuys insieme, perché lui li aveva voluti insieme: oggi mi sembra un ricordo lontanissimo. Col braccio mi cingeva la vita e con l’altro appoggiato alla ringhiera , mi parlava con quella sua cadenza lenta e un poco rauca: << Non devi chiedere mai nulla ai politici, perché un artista vero non ha bisogno di loro>> diceva <<questo è un maledettissimo vizio italiano che per fortuna voi americani che fate arte non avete>> Poi la sera mi portò in un posto che si chiamava City hall café – credo che ci sia ancora, credo che fosse aprile- dove ci fu l’incontro tra i due: un happening indimenticabile. A Novembre di quello stesso anno seppi del terremoto devastante che aveva colpito le zone interne ed in parte anche Napoli e lessi una sua memorabile dichiarazione sul
New York Times << Quella notte stessa ricevetti le prime telefonate. Gli artisti chiedevano: possiamo fare qualcosa? Subito ebbi l'idea che l'arte c'entrava in qualche modo. Si doveva rispondere all'evento catastrofico. C'era dell'energia nell'arte, tanta energia da potersi contrapporre a quella scatenata dalla Terra>>. Così nacque TERREMOTUS che io ho visto solo quando lui non c’era più . Rimasi con lui tutta la primavera poi non tornai più a Napoli se non per farvi ritorno un anno dopo la sua morte, con molti più anni e molta tristezza nell’anima, e ora questa città mi opprime ed ho voglia di tornare a casa. Non dimenticherò mai più quel periodo breve ed intenso e se ero ritornato era perché inconsciamente forse volevo riviverlo, ma da subito mi accorsi che molte cose non erano più le stesse e l’energie di quel tempo era scaduta in mesti rituali. Alternavamo i nostri soggiorni tra casa sua e Capri tra impeti erotici, mostre e cene. Una volta mi raccontò di quando vendette il suo primo quadro – quello di un pittore berlinese - ad un critico sorpreso e compiaciuto, che dovette scegliere l'opera grazie all' illuminazione di una torcia elettrica che lui teneva in mano nel suo sgarrupato spazio espositivo privo di corrente elettrica da poco aperto al Parco Margherita 85 che poi divenne la Modern Art Agency che gestiva insieme ad un suo socio, e che più tardi trasferì a Piazza dei Martiri. Allora era solo un ex studente di architettura reduce da un soggiorno in Germania, e si procurava da vivere con le traduzioni presso l'Italsider di Bagnoli, era la prima metà degli anni sessanta e lui scherzosamente, ma non troppo, parlava di quel periodo come della swinging Naples quasi a volerla contrapporre alla più nota swinging London."
Da "Quando gli angeli scappano via, Photo city ed.
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"Rise in maniera sguaiata, mentre Amelio ne condivideva l’espressività. Era Paola che traduceva in simultanea, rendendo il volutamente sgangherato newyorchese di Mapplethorpe, un italiano forbito e concettualmente elegante. Presi ancora qualche appunto, la ressa era insopportabile. Tutti erano li per farsi vedere, tutti che sorridevano finti, se qualcuno guardava le foto era solo perché alcune erano sconcertanti nella loro algida pornografia. Se fossero state altre opere sarebbero passate inosservate. Un club di persone assolutamente autoreferenziale: ci si vedeva per dire di essere stati visti ed era intellettualità finta e narcisistica. Non c’era nessuna verità in quel posto e l’unica possibile era silenziosa e faceva bella mostra di se sulle pareti della galleria e sul viso affilato e consunto di Amelio ed era una verità indifesa e innocente. Trovavo quella situazione assolutamente irreale, quel pubblico si stava trasformando e di lì a poco sarebbe diventato un’insulsa parodia di borghesia arricchita asservita ad un carro politico alla ricerca di prebende e protezioni".
da " Quell'estate psichedelica del '66, lampi di stampa Milano

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