In entrambi questi miei due romanzi Lucio Amelio è presente e, con lui un'epoca
d'oro per l'arte a Napoli, che oggi non esiste più. Io l'ho conosciuto, era
sempre disponibile al dialogo e alla conversazione colta ed elegante al motto di spirito
leggero e garbato, quando avevo la
fortuna di trovarlo nella sua galleria a Piazza dei Martiri. Io poco più che
ventenne. Mi invitava sempre a tutti i suoi vernissage non ancora opening, mi invitò anche al City hall Cafè quando arrivo Warhol.
Oggi, a vent’anni dalla sua morte mi va di ricordarlo così a testimonianza di
quanto un uomo come lui poteva dare ad un allora giovane me.
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" Dimenticavo di dirvi chi sono: mi chiamo NoonJohn. NoonJohn Goldin, ho 56
anni e come vi ho appena detto, sono americano. Sono arrivato a Napoli due anni
fa perché mi ero stancato di stare a New York, perché la mia vita andava a
rotoli dopo la scomparsa di Richie, perché era meglio che cambiassi aria e
cercavo un’Europa non troppo europea. Nella galleria di Tony Shafrazy incontrai
Lucio Amelio che mi invitò per un soggiorno estivo a Capri rimasi due settimane
con lui e ripartii con la convinzione che mi sarei stabilito a Napoli, ma
quando decisi di stabilirmi a Napoli lui era già morto da un anno. […]Una volta
Lucio Amelio mi disse che l’arte a Napoli per poter esistere davvero aveva
bisogno dell’onestà di chi la faceva e di niente altro, un valore difficilmente
rintracciabile nella sua città. Stavamo sul balcone di casa sua con il golfo
davanti a noi, e la città pigramente distesa sul mare. Era orgoglioso della sua
città- benché ne conoscesse i lati peggiori- e lui me la faceva conoscere con
la gioia e l’entusiasmo di un bambino - era la prima volta che venivo in
vacanza a Napoli, era il 1980- avevo ventinove anni e Napoli era immersa in una
energia pulsante di frenetica arte, io avevo tenuto il mio primo slideshow al
CBGB di New York dove lui venne, fu lì che diventammo amici poi ci rincontrammo
da Tony Shafrazy. Ospitava Warhol e Beuys insieme, perché lui li aveva voluti
insieme: oggi mi sembra un ricordo lontanissimo. Col braccio mi cingeva la vita
e con l’altro appoggiato alla ringhiera , mi parlava con quella sua cadenza
lenta e un poco rauca: << Non devi chiedere mai nulla ai politici, perché
un artista vero non ha bisogno di loro>> diceva <<questo è un
maledettissimo vizio italiano che per fortuna voi americani che fate arte non
avete>> Poi la sera mi portò in un posto che si chiamava City hall café –
credo che ci sia ancora, credo che fosse aprile- dove ci fu l’incontro tra i
due: un happening indimenticabile. A Novembre di quello stesso anno seppi del
terremoto devastante che aveva colpito le zone interne ed in parte anche Napoli
e lessi una sua memorabile dichiarazione sul
New
York Times << Quella notte stessa ricevetti le prime telefonate. Gli
artisti chiedevano: possiamo fare qualcosa? Subito ebbi l'idea che l'arte
c'entrava in qualche modo. Si doveva rispondere all'evento catastrofico. C'era
dell'energia nell'arte, tanta energia da potersi contrapporre a quella
scatenata dalla Terra>>. Così nacque TERREMOTUS che io ho visto solo
quando lui non c’era più . Rimasi con lui tutta la primavera poi non tornai più
a Napoli se non per farvi ritorno un anno dopo la sua morte, con molti più anni
e molta tristezza nell’anima, e ora questa città mi opprime ed ho voglia di
tornare a casa. Non dimenticherò mai più quel periodo breve ed intenso e se ero
ritornato era perché inconsciamente forse volevo riviverlo, ma da subito mi
accorsi che molte cose non erano più le stesse e l’energie di quel tempo era
scaduta in mesti rituali. Alternavamo i nostri soggiorni tra casa sua e Capri
tra impeti erotici, mostre e cene. Una volta mi raccontò di quando vendette il
suo primo quadro – quello di un pittore berlinese - ad un critico sorpreso e
compiaciuto, che dovette scegliere l'opera grazie all' illuminazione di una
torcia elettrica che lui teneva in mano nel suo sgarrupato spazio espositivo
privo di corrente elettrica da poco aperto al Parco Margherita 85 che poi
divenne la Modern Art Agency che gestiva insieme ad un suo socio, e che più
tardi trasferì a Piazza dei Martiri. Allora era solo un ex studente di architettura
reduce da un soggiorno in Germania, e si procurava da vivere con le traduzioni
presso l'Italsider di Bagnoli, era la prima metà degli anni sessanta e lui
scherzosamente, ma non troppo, parlava di quel periodo come della swinging
Naples quasi a volerla contrapporre alla più nota swinging London."
Da
"Quando gli angeli scappano via, Photo city ed.
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"Rise
in maniera sguaiata, mentre Amelio ne condivideva l’espressività. Era Paola che
traduceva in simultanea, rendendo il volutamente sgangherato newyorchese di
Mapplethorpe, un italiano forbito e concettualmente elegante. Presi ancora
qualche appunto, la ressa era insopportabile. Tutti erano li per farsi vedere,
tutti che sorridevano finti, se qualcuno guardava le foto era solo perché
alcune erano sconcertanti nella loro algida pornografia. Se fossero state altre
opere sarebbero passate inosservate. Un club di persone assolutamente
autoreferenziale: ci si vedeva per dire di essere stati visti ed era
intellettualità finta e narcisistica. Non c’era nessuna verità in quel posto e
l’unica possibile era silenziosa e faceva bella mostra di se sulle pareti della
galleria e sul viso affilato e consunto di Amelio ed era una verità indifesa e
innocente. Trovavo quella situazione assolutamente irreale, quel pubblico si
stava trasformando e di lì a poco sarebbe diventato un’insulsa parodia di
borghesia arricchita asservita ad un carro politico alla ricerca di prebende e
protezioni".
da
" Quell'estate psichedelica del '66, lampi di stampa Milano
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