" Quante volte, con Giovanni, più grande di loro di una trentina d'anni, le conversazioni si erano inoltrate fino a notte fonda, in una stanzetta che era poco più di uno sgabuzzino, sorseggiando wisky e ascoltando Coltrane e Miles Davis, con l'animo inquieto di chi vuole cambiare il mondo tutto in una volta.Si accaloravano vivamente quando parlavano di queste cose, Salvo era sempre lì silenzioso e Roberto, pur nella foga della conversazione, godeva della sua presenza, dei suoi capelli neri, della sua barba, che si era fatto crescere alla Che Guevara e che incorniciava il suo viso rotondo. Il tempo, quieto come nell'alta marea, li sosteneva per ore intere che non avevano né inizio, nè fine, ore tumultuose nelle quali tutti i pensieri avevano il loro diritto all'esistenza. Così, in quella piccola stanzetta si trasferiva il mondo, e tutti e tre, intuivano, immaginavano e persino i sensi si affinavano, come a volersi allontanare dal loro centro, per captare altre notizie, altre informazioni. Emergevano sensazioni esili e disgiunte e forse, per effetto del troppo whisky bevuto, luci e riflessi li facevano fluttuare in un vuoto che li rendeva irreali, mentre la tromba di In a silent way li riempiva lentamente ed ognuno di loro assaporava il dono incredibile dell'amicizia.[...] Ritornai da lui verso le sette, c'era ancora i sole, andavamo incontro all'estate e l'aria era calda di vento di scirocco. Roberto non coltivava una grande passione per i fornelli, ma la sua casa era molto ordinata, la cucina non era il suo forte. Portai due bottiglie di Vernaccia, che mettemmo subito in frigo, gli piaceva il vino.Venne ad aprirmi, mi poggiò la mano sulla spalla, ma non c'era nessun invito in quel gesto. Mi sbagliavo ancora una volta, ma mi aggredì una sorta di panico sottile, sempre la stessa indefinibile angoscia: chi era veramente Roberto? Cosa ci facevo io in quella casa con lui? Perché mi interessva il racconto della sua vita? Desideravo la sua compagnia, mi piaceva ascoltare quel tono particolare di voce, ma nello stesso tempo avrei preferito essere in un altro posto[...] Eravamo un poco offuscati dal vino, bevuto abbondantemente, io soprattutto, con la convinzione che se fosse successo qualcosa avrei potuto dare la colpa al fatto che fossi un poco brillo.Ci spostammo nell'altra stanza e ci accasciammo sul divano. Non accadde nulla, e parlammo di arte, l'interesse fisso di Roberto"
da "Quell'estate psichedelica del '66" Franco Cuomo, Lampi di Stampa, Milano,2006
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