mercoledì 14 maggio 2014

Peter Sloterdijk, Non siamo stati ancora salvati.Scenari antropotecnici in costruzione

Attraverso l'evolversi delle culture e delle politiche la natura umana è stata "addomesticata" e oggi gli uomini vivono in una sorta di recinto custodito o di "parco". Questo parco, che continua a riprodursi, altro non è che il nostro attuale mondo tecnologico. Così pensa Peter Sloterdijk, come leggiamo nel capitolo più provocatorio del suo libro (Regole per il parco umano) che ha già sollevato accese discussioni. L'intero libro, costituito da dieci saggi scritti tra il 1989 e il 2000, è in realtà una originale e sorprendente risposta all'umanismo di Heidegger in cui l'idea stessa di uomo sembrava destinata a trasformarsi radicalmente. Sloterdijk fa sua questa "svolta dell'essere" nell'epoca della tecnica, portandola alle estreme conseguenze. Heidegger risulta infine troppo ingenuo e naturalistico rispetto alla macchina storico-politica che ha portato all'esistenza "artificiale" di oggi e che Sloterdijk analizza in tutte le sue sfaccettature. Se per Heidegger solo un dio poteva salvarci, per Sloterdijk Non siamo ancora stati salvati: ma, suggerisce l'autore, si tratta davvero di attendere? E’ un attesa vana, perché non saremo salvati da nessuno se non da noi stessi. Peter Sloterdijk è nato nel 1947 a Karlsruhe dove è tuttora professore di Filosofia ed Estetica alla Hochschule für Gestaltung. Erede della Scuola di Francoforte, con interessi che spaziano dalla filosofia all'antropologia, dall'estetica alla biologia evolutiva, si è fatto conoscere sulla scena internazionale con i due volumi della Critica della ragione cinica (1983). Negli ultimi anni ha realizzato un ambizioso progetto, in cui interpreta l'intera storia del genere umano, dal titolo Sfere (tre volumi, 1988-2004). E’ quasi superfluo aggiungere che questo libro mi ha completamente rapito più di qualsiasi altra lettura, penso soprattutto questo se mi soffermo sulle sterili proposte di letteratura contemporanea e mi convinco sempre più che il testo filosofico può essere un vero e proprio testo letterario soprattutto oggi. Sloterdijk ha la straordinaria capacità di  catapultare in scenari di grande impatto emotivo e in questo libro lo fa sovvertendo le tesi salvifiche di Heidegger. Pensando Heidegger contro Heidegger, come lui si esprime, si tratta di capire che cosa abbia dato inizio al fenomeno umano, cioè quando l’uomo ha cominciato ad essere tale, e alla relazione tra essere e uomo. Se Heidegger parla della Lichtung dell’essere, ovvero dell’apertura, della radura dell’essere in cui l’uomo soggiorna, allora si tratta di pensare “come l’uomo sia giunto alla Lichtung o come la Lichtung sia giunta all’uomo. Dovremmo sapere come venne prodotto il lampo, nella cui luce il mondo ha potuto illuminarsi come mondo” (p. 122). Ovvero, come nella scena di 2001 Odissesa nello spazio l’indimenticabile film di Kubrick, come si generò la scintilla che permise a quella scimmia di avere consapevolezza che quell’osso potesse diventare un’altra cosa. Sloterdijk parte dalla necessità di quel che chiama il “circolo antropotecnico”. Per comprendere la “condizione umana”, egli afferma, non si deve presupporre l’uomo, ma è al contempo necessario avere come prospettiva la comprensione dell’uomo nello stato attuale di civilizzazione. A nulla vale elaborare una teoria antropologica se questa poi non chiarifica la condizione attuale del fenomeno umano. Dunque la sua tesi principale è che l’uomo sia un prodotto della Lichtung. Ma che cos’è la Lichtung?  E’ quell’apertura di cui si è accennato poc’anzi. Per rispondere a tale domanda, secondo Sloterdijk bisogna comprendere il processo di de-animalizzazione dell’animale che ha avuto come conseguenza la comparsa dell’uomo. Così, per Sloterdijk mentre l’animale si muove e vive nel suo ambiente (Umwelt) è proprio  dell’uomo quello di distanziarsi/uscire dall’ambiente per “irrompere nella dimensione ontologica priva di gabbia” (p. 128) che tradizionalmente chiamiamo “mondo”. Solo l’uomo, continua Sloterdijk, spezzando la gabbia dell’ambiente “viene al mondo”. Ed è proprio una teoria del “venire al mondo”, una teoria spaziale-orizzontale dell’evento del mondo e dell’evento dell’umano, quella che deve sostituire, o quanto meno integrare, la teoria della caduta verticale nell’esistenza preferita dallo Heidegger di Essere e tempo. Per Sloterdijk, l’uomo è un prodotto, naturalmente aperto ad ulteriori modificazioni, di meccanismi antropogenici pre-umani e non-umani (p. 132). E’ proprio questo punto che spinge il lettore verso scenari incredibili e radicali che spazzano via convinzioni e limiti ritenuti fino ad ora insuperabili. Nella Lettera sull’umanismo Heidegger, andando al di là della sua preferenza per la relazione tra l’essere e il tempo, ci dà, suo magrado, le parole-chiave del passaggio dall’ambiente al mondo: la casa dell’essere, l’esistenza come abitare. A patto da intendere tali espressioni in senso più concreto, c’è in esse, non esplicitata, una originale teoria dello spazio umano e dell’entrata in esso. Proponendosi di esplicitare tale teoria Sloterdijk introduce il concetto di sfera. La sfera, egli afferma, è qualcosa di molto vicino al concetto platonico di chora, ovvero : luogo, regione, contrada. Ebbene queste sfer , nel suo percosro teoretico, sono sono “descrivibili come i luoghi della risonanza interanimale e interpersonale, in cui i modi in cui gli esseri-viventi stanno insieme acquisiscono un potere plastico. […] È all’interno delle risonanze della sfera che dal muso animale si sviluppò il volto umano” (p. 137). Esse sono innanzi tutto paragonabili a delle “serre” in cui l’umanità dell’uomo è maturata e continua a maturare allontanandosi sempre più dall’animale originario che l’ha generato; sfere che si sono costituite come “aperture mediane” tra “ambiente” e “mondo”, come veri e propri “agenti di cambio” tra le forme di coesistenza corporeo-animali e quelle simbolico-umane “ (vedi p. 138).

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