Marisa Berenson acrilico su tela 60x100
Una rivisitazione dei volti che
segnarono il glamour tra la fine dei '60 e l'inizio dei settanta. Il progetto
di un un pannello di otto tele 160x 240, ma le tele possono anche essere
disposte singolarmente. Acrilici e inchiostro tipografico.
“ La pittura deve strappare la
figura al figurativo”[1],
la pittura antica secondo Deleuze che a sua volta cita Francis Bacon, non avrebbe con la figurazione
o l’illustrazione lo stesso rapporto della pittura moderna. Ma l’illustrazione
o la fotografia che rapporto hanno oggi con la pittura? E con la mia pittura?
Il confronto più immediato è certamente con la poetica di Warhol, in essa la
riproduzione meccanica dell’opera è puro
pretesto perché, su ogni tela c’è un intervento manuale che nonostante le molte
copie, rende unica ogni tela. I miei lavori partono da lì, per anni sono stato ossessionato
dalla pittura di Warhol e dalle sue campiture dense. Mi dicevano : “ Ma che
fai? Già l’ha fatto Warhol!” e io rispondevo “ magari i miei lavori fossero
come i suoi. Non c’è niente di più banale e falso che immaginare che la pittura
di Warhol sia facilmente imitabile: perché il rapporto che esiste tra le riproduzioni
di immagini dei suoli lavori che si vedono dovunque e la sua pittura è esattamente quello che diceva
Deleuze all’inizio citando Bacon: la pittura strappa la figura al figurativo. Così ma i miei lavori, nel tempo hanno
cercato un’autonomia e questa autonomia l’anno trovata nell’enfasi, ovvero, nello spazio di una
rappresentazione esagerata, enfatizzata appunto, o nella esagerazione cromatica
o nella dimensione, cercando di allontanarsi dalla fotografia da cui di solito
originariamente parto. Attraverso le molte app
messe a disposizione oggi dalla rete tutti credono in un certo modo di rifare
il verso a Warhol, ma appunto, rifanno solo il verso: nessuna app ci darà mai una tela e nessuna app permettera l’unicità di un’immagine
come prodotto unico anche se partita da un oggetto seriale . Una inedita zona
di reattività si evidenzia attraverso una serie di passaggi a catena: l’oggetto
diventa immagine, ma l’immagine a sua volta è guardata come oggetto.
Bisognerebbe forse smetterla di accostarsi alla pittura contemporanea come ad un
meta discorso che deve sempre rimandare a qualcosa d’altro.
Relativamente a queste ultime otto tele ho voluto ripercorrere l’allure di
un’epoca: diciamo che non mi interessa l’attualità, ma la contemporaneità come
spazio concettuale collocato dopo il moderno. Otto modelle che hanno segnato un
‘epoca densa e magmatica . Così ho voluto rifare il volto di Twiggy, la modella
ideale, l’epitome del look anni ’60 fotografata da Barry Lategan, con il taglio
di capelli creato per lei da Vidal Sasson e poi Jean Shrimpton, mitica
gamberetto e Donayle Luna e Benedetta Barzini e Penelope Three finendo con la
eterea Marisa Berenson dei primi anni ‘70. La solidità delle foto, tutte di
fotografi importantissimi, mi permette di poterle trattare, rimaneggiare, ritoccarne
il colore, l’esposizione e l’intensità cromatica successivamente riporto su
tela di grande formato e poi le campiture con pennellate grezze che spesso
debordano dall’area che ho voluto colorare come omaggio/citazione a Warhol, ma
anche alla pittura pittura. Oggetto reale della mia pittura: campiture ampie,
la figura, ciò che essa evoca o vuole evocare , colori primari, il contorno
delle figure che è come una membrana attraversata da un doppio scambio.
Qualcosa passa, sia in un senso che nell’altro. Se la mia pittura non vuole
avere nulla da narrare, nessuna storia da raccontare, propone comunque qualcosa
che ne definisce il funzionamento: questo qualcosa è la seduzione che le
immagini iconiche enfatizzate vogliono esercitare sul soggetto che guarda.
Franco Cuomo, ottobre 2012
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