lunedì 22 ottobre 2012

THE GLAMOUR OF 60'S: ovvero la "verità" nella mia pittura.


Marisa  Berenson  acrilico su tela 60x100
Una rivisitazione dei volti che segnarono il glamour tra la fine dei '60 e l'inizio dei settanta. Il progetto di un un pannello di otto tele 160x 240, ma le tele possono anche essere disposte singolarmente. Acrilici e inchiostro tipografico.
“ La pittura deve strappare la figura al figurativo”[1], la pittura antica secondo Deleuze che a sua volta cita  Francis Bacon, non avrebbe con la figurazione o l’illustrazione lo stesso rapporto della pittura moderna. Ma l’illustrazione o la fotografia che rapporto hanno oggi con la pittura? E con la mia pittura? Il confronto più immediato è certamente con la poetica di Warhol, in essa la riproduzione meccanica dell’opera  è puro pretesto perché, su ogni tela c’è un intervento manuale che nonostante le molte copie, rende unica ogni tela. I miei lavori partono da lì, per anni sono stato ossessionato dalla pittura di Warhol e dalle sue campiture dense. Mi dicevano : “ Ma che fai? Già l’ha fatto Warhol!” e io rispondevo “ magari i miei lavori fossero come i suoi. Non c’è niente di più banale e falso che immaginare che la pittura di Warhol sia facilmente imitabile: perché il rapporto che esiste tra le riproduzioni di immagini dei suoli lavori che si vedono dovunque e la sua pittura è esattamente quello che diceva Deleuze all’inizio citando Bacon: la pittura strappa la figura al figurativo. Così ma i miei lavori, nel tempo hanno cercato un’autonomia e questa autonomia l’anno trovata  nell’enfasi, ovvero, nello spazio di una rappresentazione esagerata, enfatizzata appunto, o nella esagerazione cromatica o nella dimensione, cercando di allontanarsi dalla fotografia da cui di solito originariamente parto. Attraverso le molte app messe a disposizione oggi dalla rete tutti credono in un certo modo di rifare il verso a Warhol, ma appunto, rifanno solo il verso: nessuna app ci darà mai una tela e nessuna app permettera l’unicità di un’immagine come prodotto unico anche se partita da un oggetto seriale . Una inedita zona di reattività si evidenzia attraverso una serie di passaggi a catena: l’oggetto diventa immagine, ma l’immagine a sua volta è guardata come oggetto. Bisognerebbe forse smetterla di accostarsi alla pittura contemporanea come ad  un meta discorso che deve sempre rimandare  a qualcosa d’altro. Relativamente a queste ultime otto tele ho voluto ripercorrere l’allure di un’epoca: diciamo che non mi interessa l’attualità, ma la contemporaneità come spazio concettuale collocato dopo il moderno. Otto modelle che hanno segnato un ‘epoca densa e magmatica . Così ho voluto rifare il volto di Twiggy, la modella ideale, l’epitome del look anni ’60 fotografata da Barry Lategan, con il taglio di capelli creato per lei da Vidal Sasson e poi Jean Shrimpton, mitica gamberetto e Donayle Luna e Benedetta Barzini e Penelope Three finendo con la eterea Marisa Berenson dei primi anni ‘70. La solidità delle foto, tutte di fotografi importantissimi, mi permette di poterle trattare, rimaneggiare, ritoccarne il colore, l’esposizione e l’intensità cromatica successivamente riporto su tela di grande formato e poi le campiture con pennellate grezze che spesso debordano dall’area che ho voluto colorare come omaggio/citazione a Warhol, ma anche alla pittura pittura. Oggetto reale della mia pittura: campiture ampie, la figura, ciò che essa evoca o vuole evocare , colori primari, il contorno delle figure che è come una membrana attraversata da un doppio scambio. Qualcosa passa, sia in un senso che nell’altro. Se la mia pittura non vuole avere nulla da narrare, nessuna storia da raccontare, propone comunque qualcosa che ne definisce il funzionamento: questo qualcosa è la seduzione che le immagini iconiche enfatizzate vogliono esercitare sul soggetto che guarda.
Franco Cuomo, ottobre 2012




[1] Gilles Deleuze, Francis Bacon, Logica della sensazione, Quodlibt, 2004,p.29 

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