Gilles DELEUZE filosofo |
“ […] Non mi sento affatto un intellettuale,
un uomo istruito, per una ragione molto semplice: quando vedo qualcuno che è
colto mi spavento. Posso provare ammirazione per certi aspetti, per
altri assolutamente no. Si distingue bene una persona colta: ha un sapere
spaventoso su tutto. Se ne vedono molte di persone così fra gli intellettuali:
sanno tutto e sono al corrente di tutto. Sanno la storia italiana del
Rinascimento, conoscono la geografia del Polo Nord, insomma si può fare un
lungo elenco: sanno tutto, possono parlare di tutto, è terribile. Quando dico
che non sono istruito né sono un intellettuale intendo una cosa molto semplice,
e cioè che non ho nessun sapere “di riserva”. Almeno così non avranno problemi,
alla mia morte, perché non ci sarà da cercare nessun inedito, niente. Questo
perché non ho nessuna riserva, nessun sapere di scorta. E tutto quello che imparo, lo imparo per uno scopo. E quando lo
scopo è raggiunto, lo dimentico, in modo da essere costretto a ricominciare da
capo se, ad esempio dopo dieci anni, devo tornare sullo stesso argomento.
Ricominciare da capo mi dà molta gioia. Salvo qualche caso molto raro, come ad
esempio Spinoza che è nel mio cuore, dimentico tutto. Però in questo
caso parliamo del mio cuore non della mia testa. Non ammiro coloro che hanno
una cultura spaventosa perché sono persone che parlano. Sanno parlare e hanno
viaggiato, innanzitutto: viaggiano nella storia, nella geografia, ovunque. A
volte li vedo alla televisione, sono stupefacenti. Poiché sono pieno di
ammirazione posso anche fare i nomi: ad esempio Umberto Eco. È prodigioso,
qualsiasi cosa gli si dica è come se si spingesse un bottone e via, lui
comincia a parlare. Non posso dire di invidiarlo, sono stupefatto, ma non lo
invidio per niente. Da questo punto di vista cos’è la cultura? La cultura
consiste molto nel chiacchierare. Soprattutto ora che non insegno più, da
quando sono in pensione, mi sembra
sempre di più che parlare sia un po’ “sporco”. La scrittura è pulita, parlare è
sporco. Sporco perché parlare è sedurre. Non ho mai sopportato i convegni.
Fin da quando ero giovane, non li ho mai sopportati. Non viaggio, potrei
viaggiare anche se la mia salute me lo impedisce, ma non lo faccio perché i
viaggi degli intellettuali sono una buffonata. Non viaggiano, semplicemente si
spostano per parlare. Partono da un posto dove parlano, per andare in un altro
posto dove devono parlare. E poi parlano anche a pranzo, con gli intellettuali
del posto. Non smettono mai di
parlare, non lo sopporto. Parlare, parlare, parlare è insopportabile. Dunque,
siccome penso che la cultura sia molto legata alla parola, in questo senso
allora odio la cultura. Penso invece alla questione di “stare in
agguato”. Non credo alla cultura. Da un certo punto di vista credo agli
incontri. E gli incontri non si fanno con le persone. Si pensa sempre che gli
incontri si facciano con le persone. Ma
è terribile vedere gli intellettuali che si incontrano tra loro, la schifezza
dei convegni, un’infamia. Ma non si fanno incontri con le persone, si fanno incontri con le cose. Incontro
un quadro, incontro un’aria musicale, una musica, ecco cosa sono gli incontri.
Ma quando le persone vogliono anche incontrarsi tra di loro, incontrare altra
gente: questo non è un incontro. Sono deludenti, sono catastrofici gli incontri
con le persone. Quando vado al cinema non sono sicuro di fare un incontro.
Parto, sto in agguato, ci sarà forse qualcosa da incontrare? Un quadro, un
film, questo è formidabile.
Gilles Deleuze, un
breve passaggio tratto dal brano “C
comme culture”, in L’Abécédaire de Gilles Deleuze, a cura di Claire Parnet
con la regia di Pierre-André Boutang.
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